domenica 10 marzo 2019

Predicazione di domenica 10 marzo 2019 su 1 Samuele 8 a cura di Daniel Attinger

LA TENTAZIONE DEL POTERE
(Biella, 10 marzo 2019)
Testi delle letture : 1 Sam 8,1-22; Lc 4,5-8
 1 Quando Samuele divenne vecchio, nominò i suoi figli giudici d'Israele. 2 Suo figlio primogenito si chiamava Ioel e il secondo Abia; essi esercitavano la funzione di giudici a Beer-Sceba. 3 I suoi figli però non seguivano le sue orme, ma si lasciavano sviare dall'avidità, accettavano regali e pervertivano il giudizio. 4 Allora tutti gli anziani d'Israele si radunarono, e andarono da Samuele a Rama 5 per dirgli: «Ecco tu sei ormai vecchio e i tuoi figli non seguono le tue orme; stabilisci dunque su di noi un re che ci amministri la giustizia, come lo hanno tutte le nazioni». 6 A Samuele dispiacque questa frase: «Dacci un re che amministri la giustizia in mezzo a noi». Perciò Samuele pregò il SIGNORE. 7 Allora il SIGNORE disse a Samuele: «Da' ascolto alla voce del popolo in tutto quello che ti dirà, poiché essi non hanno respinto te, ma me, affinché io non regni su di loro. 8 Agiscono con te come hanno sempre agito dal giorno che li feci salire dall'Egitto fino a oggi: mi hanno abbandonato per servire altri dèi. 9 Ora dunque da' ascolto alla loro voce; abbi cura però di avvertirli solennemente e di fare loro ben conoscere quale sarà il modo di agire del re che regnerà su di loro».
10 Samuele riferì tutte le parole del SIGNORE al popolo che gli domandava un re. 11 Disse: «Questo sarà il modo di agire del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli e li metterà sui carri e fra i suoi cavalieri e dovranno correre davanti al suo carro; 12 ne farà dei capitani di migliaia e dei capitani di cinquantine; li metterà ad arare le sue terre e a mietere i suoi campi, a fabbricare i suoi ordigni di guerra e gli attrezzi dei suoi carri. 13 Prenderà le vostre figlie per farsene delle profumiere, delle cuoche, delle fornaie. 14 Prenderà i vostri campi, le vostre vigne, i vostri migliori uliveti per darli ai suoi servitori. 15 Prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servitori. 16 Prenderà i vostri servi, le vostre serve, il fiore della vostra gioventù e i vostri asini per adoperarli nei suoi lavori. 17 Prenderà la decima delle vostre greggi e voi sarete suoi schiavi. 18 Allora griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno il SIGNORE non vi risponderà».
19 Il popolo rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele e disse: «No! Ci sarà un re su di noi; 20 anche noi saremo come tutte le nazioni; il nostro re amministrerà la giustizia in mezzo a noi, marcerà alla nostra testa e condurrà le nostre guerre». 21 Samuele, udite tutte le parole del popolo, le riferì al SIGNORE, 22 e il SIGNORE disse a Samuele: «Da' ascolto alla loro voce e fa' regnare su di loro un re». Samuele disse agli uomini d'Israele: «Ognuno ritorni alla sua città».

Cari fratelli e sorelle,
Siamo entrati nel tempo della quaresima, che fin dai primi tempi della Chiesa è stato messo a parte per la istruzione di quelli che desideravano entrare nella comunità dei credenti; più di un tempo di peni­tenza era un periodo di formazione dei catecumeni. Molto presto anche, in Oriente come in Occidente, questo tempo è stato segnato da varie tappe di cui ogni domenica di quaresima era come la soglia. È co­sì che, in Occidente, la prima tappa di questa formazione era la meditazione delle tentazioni di Gesù: sono il primo ostacolo che il credente deve superare per poter mettersi al seguito di Gesù Cristo.
Quest’anno l’assemblea del circuito della nostra Chiesa propone, come già l’anno scorso, di fare una serie di predicazioni tematiche e ha scelto per tema quello del potere. Associando le tentazioni di Cristo, tema della prima domenica di quaresima, alla proposta del circuito, ne esce una lettura inattesa di Cristo: Gesù è forse stato tentato dal potere?
Sembra impossibile, tanto più che ha più volte manifestato la sua volontà di mettersi al servizio di tutti. Non ha forse dichiarato che era in mezzo ai suoi discepoli come colui che serve, pur essendo il maestro e il Signore? Certo! Ma è stato tale proprio perché aveva vinto la tentazione del potere. Lo abbiamo sentito nell’evangelo secondo Luca, quando il diavolo gli mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: “Io ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché mi è stata data, e io la posso dare a chi voglio; tu dunque, prostrati davanti a me e ogni cosa sarà tua”.
Non immaginiamoci che, nel deserto, si sia presentato a Gesù un essere con le corna e la coda per fargli questa proposta; nel deserto Gesù era solo, solo di fronte a se stesso. Questa tentazione nasceva dal suo cuore. Così dice infatti la lettera di Giacomo: “Nessuno, quando è tentato, pensi di essere ten­tato da Dio, perché Dio non è tentato dal male e lui stesso non tenta alcuno. Ognuno invece è tentato dal proprio desiderio che lo attira e lo seduce” (Gc 1,13-14). Così è stato anche per Gesù.
Prima però di meditare su questo, interroghiamoci sul potere. Il testo del primo Libro di Samuele proposto per questa domenica ci può aiutare a dare una risposta.
Siamo in un periodo cruciale del popolo d’Israele: un tempo di passaggio. Prima Israele era un insieme di tribù nomadi che si erano man mano installate nella terra di Canaan e vivevano in un modo più o meno anarchico: “In quel tempo non c’era un re in Israele; ognuno faceva come gli sembrava bene” (Gdc 17,6). Tempo quindi di disordine e dunque di debolezza politica. Israele era regolarmente vittima di nemici che lo vincevano e lo riducevano in schiavitù, fino a quando Dio suscitava un salva­tore: i giudici, come Sansone, Gedeone e altri. L’ultimo di essi fu Samuele che, l’abbiamo sentito, diven­tato vecchio, stabilì i propri figli come giudici in Israele. Purtroppo, anziché mettersi al servizio del po­polo, questi figli abusavano del loro potere. Ciò provocò la collera del popolo che, venuto da Samuele, gli chiese di stabilire per essi un re, perché diventassero un popolo come gli altri. Abbiamo anche senti­to con quanta tristezza Samuele accolse questa richiesta. Ma Dio gli spiegò che doveva ascoltare la voce del popolo perché non era diretta contro Samuele, ma contro Dio stesso. Israele non voleva più che Dio regnasse su di lui, voleva un re in carne e ossa, come gli altri popoli della terra.
Samuele illustrò allora al popolo il “diritto del re”, piuttosto che le sue pretese. Ricorda ciò che, in quanto esercita il potere, il re esigerà dal popolo. Uno Stato o una monarchia infatti ha bisogno di un esercito, di una corte e di una burocrazia, e ciò significa tasse, corvée, espropriazioni, servi e serve, etc. Conclude poi: “Allora griderete a causa del re che avrete scelto, ma in quel giorno il Signore non vi ri­sponderà” (1Sam 8, 18).
Niente da fare: il popolo vuole il suo re … e poi ne dovrà subire le conseguenze: una successione di re “che – a parte qualche rara eccezione – fecero ciò che è male agli occhi del Signore”, fino a con­durre il popolo alla deportazione e all’esilio prima in Assiria, per il regno del Nord, poi a Babilonia, per il regno del Sud e Gerusalemme.
Cosa questo ci dice del potere? Vi è chiaramente uno scontro tra due visioni del potere: Samuele pensa al potere come una forza che, anziché proteggere il popolo, lo schiavizza, perché prende il posto di Dio stesso, il quale non ha esercitato, tramite i giudici, il “potere” ma la “giustizia”. Il popolo invece vuole un re potente che s’imponga, faccia guerra ai nemici e li vinca – a qualunque prezzo.
Non si può saltare immediatamente dai tempi biblici ad oggi, ma rimane vero che il potere – lo vediamo purtroppo non solo in Italia – affascina tanto chi lo esercita, che costui è pronto a tutto pur di conservare la sua poltrona; lo denunciavano già i profeti: chi è al potere dice di agire per il bene del popolo ma pasce solo se stesso (Ez 34,2).
Questo ci permette di gettare ora uno sguardo su ciò che avvenne a Gesù nel deserto. Fu tentato, perché era uomo come noi. Non dobbiamo pensare che il suo essere Figlio di Dio lo proteggesse dai pericoli che ogni essere umano corre. Anzi, è significativo che le tentazioni avvengano per lui, subito dopo che ha ricevuto il battesimo da Giovanni Battista e ha ascoltato la voce che lo designava come Figlio di Dio. “Ma allora – sembra dire Gesù –, se sono Figlio di Dio posso esercitare il potere su tutti i regni del mondo”. Sì, effettivamente, ma solo alla condizione di prosternarti davanti al potere del male, davanti al divisore. Non c’è potere buono o giusto; il potere è “diabolico”; tutt’al più ci potrà essere un potere meno cattivo di un altro.
Qual è la risposta che Gesù si dà alla tentazione del potere? “È scritto: ‘Ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio e renderai culto solo a lui’” (Lc 4,8). Gesù ha capito che non così si è figlio di Dio. L’esercizio del potere non fa i figli di Dio, ma i tiranni e i dittatori. Per essere e diventare figlio di Dio occorre prosternarsi davanti al Signore dell’universo la cui potenza non sta nel potere, ma nell’amore e la misericordia, nella forza disarmante di un bambino che nasce in una mangiatoia, nel dono di sé che fa il Crocifisso sotto la scritta: “Questi è il re dei Giudei”. Non il potere, ma l’obbedienza alla volontà di Dio fa i figli di Dio. Ciò che vale per Gesù vale anche per noi.
Forse direte: “Ma non sappiamo qual è la volontà di Dio, come allora potremmo obbedirgli?” Anche questa è una tentazione di potere. Vorremmo sapere ciò che è bene e male; lo vorremmo quasi scritto su due liste a nostra disposizione, il che ci esonererebbe di dover contare sul Dio vivente. Sa­premmo, ormai senza di lui, ciò che dobbiamo fare e ciò che non si deve fare … e saremmo prigionieri, non più del re, ma della nostra morale, di quelle due liste!
La vera questione non è: “Cosa Dio vuole che, in questo preciso caso, io faccia?”; è invece questa: “Desidero veramente, con tutto il mio essere, essere obbediente a Dio? È questa la mia più intima vo­lontà?”. Se così è, possiamo essere sicuri che, in un modo o in un altro, magari anche senza che ce ne accorgiamo, Dio ci farà fare la sua volontà. O per dirla in altro modo, il problema non è: Da quale boc­ca sentirò la volontà di Dio? Bensì: Il mio orecchio è davvero pronto ad ascoltarla? Se così è Dio trove­rà il modo di farcela sentire e, più ancora, di farcela fare, come ci ricorda il profeta Ezechiele:
[Dice il Signore:] Vi darò un cuore nuovo; metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne; metterò dentro di voi il mio Spirito e farò che cammi­niate secondo le mie leggi, che osserviate e pratichiate i miei precetti (Ez 36,26-27).
Che questo tempo di preparazione a Pasqua ci serva a desiderare davvero di essere, nelle mani del Signore, strumenti docili del suo volere di pace e di bene per tutte le sue creature.
Amen

lunedì 4 marzo 2019

Predicazione di domenica 3 marzo su Luca 10,38-42 a cura di Marco Gisola

Luca 10,38-42
letture: Amos 5, 21–24; 1 Corinzi 13


Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ricevette in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola. Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse: “Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta”.


Gesù è in cammino con i suoi discepoli verso Gerusalemme, dove troverà ad attenderlo la passione e la croce. Questo cammino è lungo e Gesù e i discepoli fanno molte tappe e molti incontri. Una tappa è a casa di Marta e Maria; dal testo sembra però che soltanto Gesù entri in casa delle due donne, non i discepoli.
Anche il vangelo di Giovanni ci racconta di due sorelle di nome Marta e Maria, ma ci parla soprattutto del loro fratello, Lazzaro, che muore e che Gesù riporta in vita. Luca invece, sembra non sapere nulla su Lazzaro.
La scena, che Luca racconta con molta naturalezza, non è invece per niente naturale: non era affatto normale che un uomo entrasse in casa di una o più donne se non ne era il marito. Gesù è accolto da Marta, ci dice il racconto; non è chiaro se la casa sia la sua o se le sorelle abitino insieme. Ma questo, ai fni del racconto, non è importante.
Il racconto mette l’accento su che cosa le due sorelle fanno: mentre Marta si dà da fare per trattare bene l’ospite, Maria si siede ai suoi piedi e ascolta la sua parola. Il testo dice proprio “ascolta la sua parola”, dando alla frase un significato solenne e mettendo Maria nella situazione della discepola seduta ai piedi del maestro.
Proprio la naturalezza di Luca nel raccontare questa scena è già rivoluzionaria: pensate che uno scritto ebraico del tempo diceva che era meglio bruciare le parole della Torah piuttosto che comunicarle alle donne. Le donne non erano nemmeno tenute a osservare la legge e nemmeno ad andare in sinagoga e se ci andavano dovevano stare separate dagli uomini, nella parte riservata alle donne.
Per l’Evangelo – sia nel senso di “buona notizia, sia nel senso del Vangelo scritto da Luca – è invece naturale che una donna sieda ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola. È naturale per Maria, che va contro le regole, ed è naturale anche per Gesù, che non solo non glielo impedisce, ma anzi la additerà come esempio alla sorella.
E il fatto che una donna possa essere discepola di Gesù esattamente come lo erano i discepoli maschi è la prima buona notizia che questo brano proclama alle donne e alla chiesa tutta, fatta di uomini e donne.
E se questo, come abbiamo detto, è normale per Gesù e per Maria, non lo è invece per Marta. Marta si sta occupando di servire Gesù come si serve un ospite, un ospite di riguardo evidentemente.
Non c’è nulla di male in quello che fa Marta, anzi l’ospitalità nella Bibbia è una pratica importantissima: Abramo ospita tre uomini che si rivelano essere messaggeri di Dio e la lettera agli ebrei (13,2)commenta questo brano dicendo: “Non dimenticate l'ospitalità; perché alcuni praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli”.
Il problema è che Marta rinchiude se stessa in questo ruolo e pensa che, come donna, non possa avere altro ruolo e non possa fare altro che preparare un buon pranzo o una buona cena per il suo ospite. Non considera l’ipotesi di diventare sua discepola. Non riesce nemmeno a immaginarsi di sedersi ai piedi di Gesù; secondo Marta non è quello il suo posto: il suo posto è in cucina.
E non solo: si arrabbia con sua sorella che l’ha lasciata sola nelle faccende di casa e quindi l’ha lasciata sola nel suo ruolo di donna che non può essere altro che quella che serve. Marta non riesce a pensare di essere altro che quella che serve.
Ho usato il verbo essere e non solo il verbo fare, perché non è solo questione di fare, è questione di essere: Marta intende preparare il pasto e servirlo perché pensa che questo sia il suo modo di essere e non ne vede altri.
Ma Gesù la rimprovera, anche se molto benevolmente: “Marta, Marta...” la ripetizione del nome è segno di affetto da parte di Gesù. Gesù le sta dicendo che, come Maria ha fatto, anche lei può fare altro e soprattutto può essere altro che una donna che serve gli uomini.
Con Gesù, davanti a Gesù, c’è per le donne la possibilità di scegliere di essere discepole, esattamente come per gli uomini.
Gesù sottolinea che Maria ha scelto la parte buona, perché ha scelto di ascoltare la parola di Gesù, mentre Marta ha scelto di non ascoltarla, di fare altro, per quanto buono e bello potesse essere quell’altro.
Gesù infatti non critica la scelta di Marta di servire e di occuparsi degli ospiti, ma critica la sua non scelta di ascoltare la sua parola in quel momento in cui questa possibilità le è offerta, in cui Gesù è lì. Solo che Marta non aveva capito che le fosse offerta questa possibilità, perché non era abituata.
Quindi il primo messaggio di questo racconto, il primo evangelo, nel senso di buona notizia è che anche le donne possono essere discepole e dedicarsi all’ascolto della Parola. Qualcuno sostiene che se Maria ha ascoltato la Parola, è possibile che ne sia diventata anche testimone e dunque annunciatrice, apostola.
Il racconto non arriva a questo, ma possiamo arrivarci noi nella nostra attualizzazione: chiunque ascolti la Parola, ne diventa anche testimone e annunciatore, donne o uomini che siano.
Ma c’è un secondo evangelo in questo brano: se il primo punto era la possibilità di scegliere di sedersi per ascoltare la parola, il secondo potremmo definirlo la necessità di scegliere di sedersi per ascoltare la parola: “una cosa sola è necessaria” dice Gesù a Marta.
Ci verrebbe da dire che nella vita ci sono tante cose necessarie, intanto per sopravvivere, come il lavoro, e poi ci sono tante incombenze quotidiane. Ma c’è una cosa necessaria, secondo Gesù, per vivere nella fede, una cosa davanti alla quale tutto il resto passa in secondo piano: ascoltare la sua Parola.
Certo, si vive anche senza ascoltare la parola, si vive anche senza andare in chiesa e non dobbiamo diventare come i farisei con cui spesso discute Gesù, che pensano di essere migliori degli altri perché osservano la legge alla perfezione. Sappiamo bene che non è affatto detto che chi non crede o non viene in chiesa sia peggiore di noi ci veniamo.
Ma Gesù vuole dirci che se hai incontrato una volta la sua parola che chiama, la sua parola che libera, la sua parola che perdona, la sua parola che guarisce, hai bisogno di incontrarla di nuovo ogni giorno, e non per sopravvivere, ma per vivere, cioè per dare senso alla tua vita, per dare senso a tutto il resto della tua vita.
Marta sbaglia a pensare che per lavorare deve rinunciare ad ascoltare. Il servizio non deve portare a rinunciare all’ascolto. L’ascolto è la cosa necessaria, il servizio deriva dall’ascolto, non può sostituirlo.
Sarebbe infatti sbagliato contrapporre l’ascolto di Maria e il lavoro di Marta, come se fossero due scelte alternative: o ascolto la Parola o mi do da fare, come se si potesse fare solo una di queste due cose. Il racconto ci vuole dire che l’ascolto dà senso al servizio e il servizio trae il suo senso dall’ascolto. l’ascolto porta all'impegno e l’impegno è orientato dall’ascolto della Parola.
Questo testo biblico non vuole farci scegliere tra l’essere Maria e l’essere Marta, tra l'ascolto e l’impegno. Vuole dirci che quando c’è la possibilità di ascoltare la parola, quella è la cosa necessaria, la cosa da fare in quel momento. Poi, dopo avere ascoltato la Parola, allora sì che ci sono tante, tantissime cose da fare per il nostro prossimo e il nostro mondo.
E tutto ciò che faremo dopo aver ascoltato la parola, sarà illuminato da questo ascolto, perché nell’ascolto si trova la forza, si trova la fiducia e la speranza necessarie per dare senso al nostro impegno e anche alle nostre fatiche.
Marta è chiamata anche ad ascoltare, Maria è chiamata anche a servire. E lo stesso vale ovviamente per i maschi: tutte e tutti chiamati a ascoltare la Parola e a servire.
La parte buona scelta da Maria – dice Gesù – cioè l’ascolto, non le sarà tolta. Tutto può esserci tolto, dagli eventi, dalle disgrazie della vita, dalle forze che vengono meno con il tempo; ma quello no, non può esserci tolto.
La parola, cioè la promessa che Dio ci rinnova ogni volta che ascoltiamo la sua parola, quella non viene meno e non ci sarà tolta, perché non si fonda sulla nostra debolezza o sulla nostra piccolezza, ma si fonda sull’amore di Dio, che non viene meno.
Se come Marta rimaniamo in cucina, rimaniamo cioè lontani dalla Parola, viviamo lo stesso, ma ci perdiamo qualcosa di essenziale della nostra vita, ci perdiamo Dio, ci perdiamo la possibilità di ascoltare la sua Parola di perdono, di giustizia, di riconciliazione, di amore, ciò che Gesù chiama la cosa “necessaria” per vivere nella fede.
Senza questa necessaria Parola di perdono, di giustizia, di riconciliazione, di amore, rischiamo di vivere solo in superficie questa vita che il Signore ci dona.
Che il Signore ci aiuti a far incontrare Marta e Maria nella vita di ciascuno e ciascuna di noi, ci aiuti a scegliere la parte buona ogni volta che ci è data la possibilità, perché quella parte buona non ci sarà tolta e ci accompagnerà tutta la vita.