domenica 18 ottobre 2020

Predicazione di domenica 18 ottobre 2020 su Efesini 4,20-32 a cura di Marco Gisola

Efesini 4,20-32

Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità. Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo. Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno. Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l'ascolta. Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione.
Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo.



Conoscere Cristo: questo è il tema di questa parte della lettera agli Efesini. Conoscere Cristo, conoscere che è morto e risorto per noi, conoscere che è stato mandato da Dio per noi, e che è stato respinto e crocifisso da noi, ma che Dio nonostante questo lo ha risuscitato per noi.

Conoscere che in lui incontriamo la grazia di Dio, il suo perdono, che non meritavamo e che ciononostante Cristo ci ha donato attraverso la sua morte e resurrezione.

Questo – mi direte – però non c’è nei versetti della lettera agli Efesini che abbiamo letto. Non c’è nel senso che non è detto con queste parole, ma c’è nella semplice e brevissima espressione “conoscere Cristo”.

Hanno fatto bene coloro che hanno preparato il lezionario, e hanno il compito non facile di scegliere i testi delle letture, a “ritagliare” in questo modo questa parte della lettera.

Hanno fatto bene perché così facendo hanno messo Cristo all’inizio e alla fine del nostro brano: “ conoscere Cristo” all’inizio e “perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” alla fine.

Infatti, le indicazioni pratiche che incontriamo qui trovano il loro senso profondo e la loro ragion d’essere nella conoscenza di Cristo e del suo perdono. Conoscere Cristo significa conoscere anche se stessi, anzi imparare a conoscersi in modo nuovo. Conoscere la novità che Cristo ci porta, significa conoscere e riconoscere l’essere umano vecchio che siamo.

L’apostolo che ha scritto queste righe – Paolo o un suo discepolo - non vuole dare una serie di regole, ma gettare uno sguardo su come è – o dovrebbe essere – “l’uomo nuovo”, l’essere umano nuovo che ha imparato a conoscere Cristo.



Questo essere umano nuovo deve spogliarsi dei vestiti vecchi, deve rivestire l’uomo nuovo, i panni del discepolo o della discepola di Cristo. Per i destinatari della lettera agli Efesini questo era evidente, perché prima erano pagani, non solo non conoscevano Cristo ma non conoscevano nemmeno Dio, avevano credenze e pratiche molto diverse.

Ora essi sono diventati cristiani e sono stati battezzati. L’immagine dello spogliarsi e del rivestirsi è infatti una tipica immagine battesimale e indica l’abbandono del vecchio e l’inizio di una vita nuova. Ma sappiamo bene che il vecchio e il nuovo convivono sempre dentro di noi, di questo conflitto tra la nostra volontà egocentrica e la volontà di Dio parla molto Paolo nelle sue lettere utilizzando quell’altra famosa immagine della carne e dello Spirito.

In queste righe vengono date delle indicazioni pratiche, quotidiane. Perché è lì, nel quotidiano, che siamo chiamati a diventare l’essere umano nuovo che Cristo ci dona di essere, applicando ciò che la Parola di Dio ci dice. E sono tutte indicazioni che hanno a che fare con le nostre relazioni con gli altri.

Che cosa ci dice l’apostolo? In che cosa consiste il «rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità»? Sono almeno quattro le indicazioni che ci dà oggi l’apostolo.



1. «bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri». La menzogna, la bugia, la mancanza di sincerità distrugge i rapporti umani, perché mina alla sua base la fiducia nei riguardi del prossimo.

«siamo membra gli uni degli altri» dice l’apostolo, quindi qui si riferisce in primo luogo ai rapporti all’interno della chiesa. E proprio qui la fiducia è il fondamento dei rapporti fraterni e sorerni dentro la comunità. Senza fiducia i rapporti non sono fraterni e sorerni, senza fiducia non siamo fratelli e sorelle.

Dire la verità vuol dire sincerità, confronto schietto anche di opinioni diverse. Essere membra gli uni degli altri non significa avere tutti la stessa opinione, ma confrontare le opinioni diverse non solo con rispetto – come sarebbe normale in ogni ambito umano – ma con amore. Significa non avere bisogno di pensarla allo stesso modo su tutto per volersi bene e camminare insieme.



2. Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo. Questa indicazione è molto interessante, perché l’apostolo non è un buonista, uno che dice “vogliamoci bene e non arrabbiamoci mai”, ma sa che l’ira, la rabbia è una realtà, anche nella chiesa, perché le divergenze e i conflitti fanno parte della nostra umanità.

Ci si arrabbia quando si è delusi, quando si è feriti. Quindi non dice “non arrabbiatevi”, ma dice arrabbiatevi e non peccate. Ovvero: se vi arrabbiate per qualcosa, questa rabbia non vi porti a peccare, cioè – almeno così mi sembra di poter interpretare – non vi porti alla vendetta, alla ripicca, ecc.

Non lasciatevi dominare dalla rabbia, ma dominate voi lei. È quello che Dio aveva detto a Caino prima che uccidesse Abele: «il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!» (Genesi 4,7).

E anzi dice di più: il sole non tramonti sopra la vostra ira, cioè cercate la riconciliazione. Questa parola riecheggia quella di Gesù, quando ha detto «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all'altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta» (Matteo 5,23-24).

Cercare la soluzione al conflitto fa parte della vita nuova a cui Gesù ci chiama. Altrimenti, dice l’apostolo, fate posto al diavolo; il diavolo è colui che divide, che separa le persone e le mette le une contro le altre. Non lasciategli spazio, dice Paolo, se lasciate spazio all’ira alla fine fate spazio anche al divisore, che non aspetta altro per dividervi, per allontanarvi gli uni dagli altri.

3. «Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno». Non sappiamo chi fosse che rubava e a che cosa Paolo si riferisca, forse (speriamo….) a quando erano ancora nel paganesimo… . Ma guardiamo alla parte positiva di questa esortazione: è un invito a lavorare onestamente.

Penso che per noi che siamo qui questo invito sia scontato, ma quanta gente invece pensa di poter vivere - e non solo vivere ma arricchirsi - in modo disonesto e non lo considera nemmeno tanto grave…! A partire da quelli che non pagano le tasse!

Mi sembra importante questa menzione del lavoro in una lettera di un apostolo all’inizio del cristianesimo.

Un cristiano, una cristiana vive del suo lavoro, non vive né di rendita, né di assistenzialismo. E la società che i cristiani dovrebbero contribuire a costruire dovrebbe essere fondata sul lavoro (la nostra Costituzione lo dice, ed è una bella notizia…!) e sul diritto al lavoro e a una paga giusta per un lavoro onesto, senza sfruttamento.

E l’altra cosa molto bella che dice questo brano è che non devi lavorare solo per poterti mantenere onestamente, ma per avere qualcosa da dare a chi è nel bisogno. L’obiettivo del lavorare non è solo la nostra vita, ma la condivisione con chi ha bisogno.

4. «Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l'ascolta».

E infine il parlare. Paolo sa quanto le parole possano fare male. Del resto sappiamo bene che la violenza fisica è spesse preceduta e accompagnata dalla violenza verbale. Ed è accaduto che è bastata la violenza verbale, sotto forma di denigrazione o persecuzione, per portare delle persone al suicidio.

Le parole possono costruire oppure demolire. L’essere umano nuovo è chiamato a parlare per costruire e non per demolire, a dire parole “buone”, che conferiscano grazia, che facciano del bene a chi le ascolta.

Chiamati a costruire, anche con le parole, a partire dalle parole che pronunciamo ogni giorno in ogni contesto. È in fondo una bella vocazione, una vocazione rivolta a tutti e tutte noi, e una bella testimonianza.



Il capitolo si chiude con un invito a «non rattristare lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione» probabilmente di nuovo un riferimento al battesimo. Siete battezzati – dice Paolo – su di voi è stato posto questo segno della redenzione che Cristo ha operato per voi.

Questa redenzione si veda nel vostro agire e nel vostro parlare, «Siate … benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo»

Chi conosce Cristo e conosce il suo perdono, ha imparato che la strada della misericordia che Cristo ha percorso verso di noi è la strada che Cristo stesso ci chiede di percorrere per andare incontro al nostro prossimo. È lì, davanti al prossimo, che, con le nostre azioni e le nostre parole, si vede se conosciamo Cristo.








lunedì 5 ottobre 2020

Messaggio rivolto dal past. Marco Gisola in occasione della "Giornata interreligiosa della pace e della fratellanza" tenutasi domenica 4 ottobre presso il Santuario di Graglia

 Giornata della pace e della fratellanza

Santuario di Graglia (BI) – 4 ottobre 2020


Oggi parliamo di pace e se apro il libro che sta alla base della fede cristiana, la Bibbia, vedo che la parola “pace” si incontra nella Bibbia molte volte.

C’è però un’altra parola, che incontriamo molte meno volte nella Bibbia e che anche nel nostro linguaggio usiamo di meno e che trovo però molto significativa.

È una parola che ha un significato simile ma un po’ diverso della parola pace: la parola riconciliazione.

La parola “riconciliazione” è usata nel Nuovo Testamento per parlare del significato della venuta di Gesù: la Bibbia dice che Gesù è venuto per riconciliare l’umanità con Dio.

Quindi Dio – per noi cristiani attraverso la persona di Gesù - è colui riconcilia e riconciliandoci con lui ci chiede di portare questo messaggio di riconciliazione e di vivere la riconciliazione. La Bibbia dice che siamo diaconi di riconciliazione, cioè servitori della riconciliazione.

Riconciliazione è una parola che trovo molto efficace – oltre che attuale – perché è molto concreta: la riconciliazione non è la pace, ma è il percorso che porta alla pace, il cammino che ha come meta la pace.

Ri-conciliazione ci parla di qualcosa che era separato e che viene ricomposto, ri-unito, di nemici che si riconciliano, cioè fanno la pace, smettendo di essere nemici.

Riconciliazione parla di una frattura sanata, di uno strappo ricomposto e quindi prende sul serio gli strappi e le fratture che riempiono la nostra vita, strappi che avvengono nella nostra relazione con Dio e nelle relazioni tra noi esseri umani, tra noi esseri umani e la natura, il creato.

Gli strappi sono le nostre colpe, sono gli strappi di cui noi esseri umani siamo responsabili. La mancanza di pace, il fatto di non essere riconciliati, ma di essere in conflitto, è una nostra responsabilità o, se preferite, una nostra colpa.

La parola riconciliazione prende sul serio anche le nostre colpe e le nostre responsabilità.

Queste colpe che generano strappi e provocano ferite sono principalmente la sete di potere, il desiderio di ricchezza, il desiderio di prevalere e di sopraffare, come abbiamo visto anche in molti fatti di cronaca di questi ultimi tempi.

Il non considerare l’altra persona sul mio stesso piano e come avente i miei stessi diritti.

La riconciliazione può avvenire solo tra uguali, solo se coloro che cercano la riconciliazione si riconoscono uguali nei diritti e nella dignità.

Il primo passo verso la riconciliazione e quindi verso la pace è riconoscersi tutti e tutte uguali.

Per concludere: da un punto di vista cristiano la pace con Dio è un dono, un dono di Dio: Dio ci riconcilia con sé attraverso il suo figlio Gesù.

E la pace tra gli esseri umani è un compito, la riconciliazione, o meglio la ricerca della riconciliazione è un compito che ci è affidato (una vocazione), un servizio, un lavoro, un cammino che è affidato alla nostra responsabilità, che parte dal fatto che siamo tutti e tutte uguali.

Un compito e una responsabilità spirituale innanzitutto, ma anche culturale, sociale, politica in senso lato, perché ha a che fare con i diritti e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.

La mia preghiera è che questo compito e questa responsabilità di cercare la riconciliazione e lavorare per la pace sia un compito che tutte le religioni - e anche i non religiosi - possano assumersi insieme.



Predicazione di domenica 4 ottobre 2020 su Matteo 15,21-28 a cura di Marco Gisola

Biella, 4 ottobre 2020

Matteo 15,21-28

Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.



Un dialogo serrato, potremmo dire una discussione tra Gesù e una anonima donna cananea. Chi ha vinto alla fine di questa discussione? Ma no, non è il dibattito tra Donald Trump e Joe Biden, dove sembra che la prima domanda che tutti si pongano il giorno dopo è “chi ha vinto?” senza preoccuparsi di che cosa hanno detto…

No, è un dialogo vero, quello tra Gesù e la donna, un dialogo in cui ci si ascolta e ci si prende sul serio.

Ma proviamo per un attimo, quasi per gioco, a ragionare in base al criterio “chi ha vinto”: dovremmo forse dire che ha vinto la donna; forse ha vinto la donna perché Gesù le ha dato ragione, ha vinto la donna perché ha portato Gesù a cambiare idea: Gesù prima del dialogo aveva un’idea e alla fine è uscito da questo dialogo con una idea diversa, anzi opposta a quella che aveva all’inizio.

Forse ha vinto la donna, perché in fondo ha ottenuto quello che voleva, cioè la guarigione della figlia.

Oppure hanno pareggiato? Forse hanno pareggiato, intanto perché per Gesù la guarigione della figlia della donna non è certo una sconfitta. E poi Gesù non viene costretto, ma viene convinto dalla donna. Qualcuno dice che Gesù viene convertito, altri che Gesù viene evangelizzato dalla donna.

Fatto sta che Gesù cambia idea. E forse questo racconto - che ci dice che persino Gesù è capace di cambiare idea – dovrebbe almeno farci capire che cambiare idea non è una sconfitta, ma può essere invece un passo avanti.

Ma anche Gesù ha un po’ vinto, o almeno non ha perso, perché in realtà anche la donna dà ragione a Gesù, quando gli dice che è vero che il pane è per i figli e non per i cagnolini.

E quindi chi ha vinto? Nessuno, ovviamente, perché non era né una competizione, né un conflitto, ma un dialogo, un dialogo sincero e aperto, un confronto serrato, in cui i due interlocutori hanno però saputo ascoltarsi. Forse allora hanno vinto tutti e due, oppure ha vinto la figlia della donna, che alla fine è stata guarita…

Oppure ha vinto… la fede: «“Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi”. E da quel momento sua figlia fu guarita».

Eh sì, perché tutto il brano porta qui, queste parole di Gesù sono non solo la conclusione, ma il culmine del racconto, che ci vuole dire che la fede (in questo caso la fede della donna) è più forte di tutte le differenze.

Gesù è in territorio pagano, la donna è una cananea, dunque una pagana, ma la sua fede in Gesù, il suo affidarsi a lui, porta alla “vittoria”, una vittoria senza sconfitti, perché la vittoria è la guarigione della figlia, la vittoria è la vita e sconfitta è casomai la morte o il male che questa ragazza si portava dentro.

Tutto il racconto porta lì, e senza questa conclusione – ammettiamolo – questo racconto lascerebbe l’amaro in bocca e Gesù stesso qui ci risulterebbe persino antipatico…

Un Gesù che quando la donna le si avvicina per chiedergli aiuto nemmeno le risponde! «Ma egli non le rispose parola », dice il testo. Gesù la ignora!

E quando i discepoli chiedono a Gesù di mandarla via, Gesù rincara la dose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele», come dire: io non sono venuto per lei, per i pagani, ma solo per gli ebrei.

Ma la donna insiste, non molla. E probabilmente è in questo suo insistere che Gesù riconosce la sua “grande” fede. Nella sua insistenza, ma anche in quello che dice.

Insistere vuol dire non rassegnarsi, vuol dire non perdere la speranza, vuol dire che quella donna aveva capito che di Gesù poteva fidarsi e a Gesù poteva affidarsi.

Ma la fede della donna non sta soltanto nella sua insistenza. Sta anche a mio avviso nel suo atteggiamento verso Gesù e verso il dono che lei spera e chiede di ricevere da lui.

Vediamo questo dialogo che continua a farci apparire Gesù come poco simpatico, se non indisponente: Gesù dice «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini».

Non è certo una bella cosa da dire a una donna angosciata che cerca la guarigione della figlia. I figli sono chiaramente gli ebrei e i cagnolini – cagnolini domestici - sono i pagani.

Al di là della frase poco simpatica, qui Gesù sembra essere convinto che la sua missione è solo per gli ebrei, non per i pagani. Gesù non risponde così perché è antipatico e nemmeno perché davanti a sé ha una donna, ma perché è una pagana.

Gesù si sente inviato soltanto al suo popolo, non agli altri popoli. Alla fine di questo racconto sembra aver cambiato idea, ma in questo momento questa è la sua convinzione.

La risposta della donna è molto intelligente: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Ma non è solo intelligente, non è solo astuta. Con queste parole la donna riconosce la precedenza del popolo ebraico.

Non la superiorità, ma la precedenza. È vero – dice la donna – tu sei venuto per il tuo popolo, per i figli di Israele, per i discendenti di Abramo, per quelli che Dio ha liberato dalla schiavitù d’Egitto, a cui ha dato la Torah, a cui ha mandato senza stancarsi i profeti… tu sei il messia di Israele… Ma…

C’è un ma: se è vero che questa enorme grazia della tua venuta è primariamente rivolta al tuo popolo, se è vero che questo enorme dono è prima di tutto per Israele, è anche vero che a me – cioè a noi pagani – bastano le briciole di questa grazia, gli avanzi di questo dono.

Le briciole della tua grazia sono più che sufficienti, gli avanzi del tuo dono – quello che cade dal tavolo e viene spazzato via oppure – appunto - mangiato dai cagnolini di casa – bastano perché mia figlia sia liberata e guarita.

Vorrei leggere queste parole della donna cananea non solo come una astutissima risposta alla frase un po’ sprezzante di Gesù, ma vorrei prendere sia le parole di Gesù, sia quelle della donna come affermazioni teologiche:

Gesù dice “io sono venuto per Israele”; la donna risponde: “Sì, tu sei venuto per Israele, ma i doni che porti al tuo popolo sono talmente sovrabbondanti che bastano perché anche noi pagani possiamo beneficiarne.

Ce n’è per tutti. Anche per me e anche per mia figlia.

La donna riconosce la precedenza del popolo di Israele, e non la vive come una umiliazione; d’altra parte la storia d’amore tra Dio e Israele durava da qualche secolo…

Se i cristiani avessero riconosciuto la precedenza di Israele e non si fossero, col tempo, sentiti superiori e poi quelli che avevano preso il posto di Israele, la storia sarebbe andata in modo diverso. Se i cristiani avessero imparato dalla donna cananea, la storia delle relazioni tra ebrei e cristiani sarebbe forse stata un’altra storia.

Il dialogo tra Gesù e la donna non è solo il dialogo tra uno che rifiuta (Gesù) e una che insiste per avere un miracolo (la donna), ma è un vero e proprio dialogo sul senso della missione di Gesù.

Per chi è venuto Gesù? Innanzitutto per il suo popolo, ma – ci dice questo racconto, se arriviamo fino alla fine – anche per chiunque abbia fede in lui. Ecco perché ha vinto la fede.

Gesù lo scopre qui, grazie a questo incontro? Prima lo aveva del tutto escluso? Dalle parole che dice alla donna sembra di sì, eppure aveva già guarito il figlio di un centurione romano, anche lui pagano… Ma sappiamo che i vangeli non sono un libro di matematica, in cui tutti i calcoli devono tornare…

Grande è la tua fede!” Non importa a che popolo appartieni, non importa la storia, la discendenza, la tradizione… Non importa nemmeno se sei donna o uomo, perché è significativo che in questo racconto sia una donna a parlare con Gesù, una donna non parlava in pubblico con un uomo… E lei non solo parla, ma dialoga, ribatte, insiste… perché grande è la sua fede.

Grande è la fede di chi pensa che bastano le briciole della grazia, le briciole dell’immenso amore di Gesù per essere salvati, liberati, guariti.

Riceviamo una lezione di fede da questa donna, una lezione di fede e di teologia. La riceve anche Gesù questa lezione, a quanto pare…

La grazia di Dio è per chiunque ha fede, per chiunque ha fede sono i doni di Dio. Tutto il resto non conta, il genere, la classe, il popolo, la provenienza, la cultura… solo la fede.

Questa lezione ci dà oggi questa donna, questa lezione ci dà la Parola di Dio attraverso questa donna. Ci dia il Signore di impararla e non dimenticarla e ci dia soprattutto una briciola della grande fede della donna cananea.