lunedì 7 gennaio 2019

Predicazione di domenica 6 gennaio 2019 su Matteo 2,1-12 a cura di Marco Gisola

Matteo 2,1-12
1 Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all'epoca del re Erode. Dei magi d'Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: 2 «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».
3 Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere. 5 Essi gli dissero: «In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta:
6 "E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda;
perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele"».
7 Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa; 8 e, mandandoli a Betlemme, disse loro: «Andate e chiedete informazioni precise sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch'io vada ad adorarlo».
9 Essi dunque, udito il re, partirono; e la stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov'era il bambino, vi si fermò sopra. 10 Quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. 12 Poi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per un'altra via.


L’episodio della visita dei magi a Gesù è un racconto molto particolare. Anzi, l’arrivo di questi sapienti dall’oriente guidati da una stella è quasi una nota stonata all’interno dei racconti della nascita di Gesù.
Appena Gesù, il messia di Israele, è nato, secondo Matteo, i primi personaggi che intervengono sulla scena sono dei pagani, dei sapienti circondati da un alone di mistero. Vengono dall’oriente, terra pagana e lontana, e seguono una stella, che già di per sé è una pratica che sa di paganesimo.
Essi appaiono qui e poi non si parlerà più di loro, forse non avranno più alcun contatto con Gesù, Matteo non ci dice più nulla.
Ma proprio per questo alone di mistero e per questa apparente incoerenza con il resto del racconto, il fatto che Matteo ci racconti questo episodio dà a questi simpatici personaggi un importanza particolare.
Che cosa significhi l’episodio in sé è abbastanza chiaro, al di là del mistero che li circonda: l’arrivo dei magi ci vuol dire che il ministero di Gesù, fin dalla sua nascita è già rivolto anche ai pagani. Gesù è appena nato e Dio già chiama dei pagani.
Matteo ci racconta che Gesù, appena nato, incontra l’ostilità di Erode, che era ebreo ed era circondato e consigliato dai sapienti di Israele, dagli esperti della scrittura e incontra invece la gioia e l’entusiasmo dei magi, questi uomini pagani che hanno intrapreso un lunghissimo viaggio per venire a visitare Gesù.
Quelli che erano geograficamente e religiosamente più vicini a Gesù non si accorgono di lui o gli sono addirittura ostili, mentre quelli che erano lontani, sia geograficamente, sia religiosamente, perché pagani, vengono ad adorarlo.
L’evangelo capovolge e sconvolge i nostri criteri di vicinanza e lontananza.
Gesù trova a volte discepoli migliori laddove non ce li si aspetterebbe e non li trova invece laddove dovrebbero esserci, dove ci si aspetterebbe che ci fossero.
Può accadere e accade che facciano maggiormente e meglio la volontà di Dio quelli che sono più lontani da lui, i pagani di oggi, che non quelli che si chiamano suoi discepoli.
La parola di Dio ci invita oggi a non dare mai nulla per scontato, a non dare per scontato il discepolato e la fedeltà, di coloro e di noi, che siamo vicini a Cristo perché portiamo il suo nome, e a non dare per scontato che altri non sono discepoli o discepole di Cristo perché apparentemente lontani da lui.
Questo mi sembra il messaggio centrale di questo racconto così suggestivo e un po’ misterioso. Vorrei ora sottolineare tre particolari di questo racconto che sono tra quelli che lo rendono così particolare e mi sembra ci pongano delle domande importanti.


Il primo è la stella. Inutile chiedersi che stella sia, se sia la cometa di Halley, quando, come e dove sia apparsa. Mi sembra chiaro che la stella è un mezzo di cui Dio si serve per condurre i magi a Betlemme. Il creatore dell’universo usa una delle sue creature per far venire i magi a Betlemme: “abbiamo visto la sua stella in oriente”, dicono i magi. La stella è il modo in cui Dio chiama i magi, il modo in cui Dio rivolge loro vocazione.
È la stella di Gesù, ovvero non una stella qualunque, ma una che Dio ha mandato, quasi fosse un angelo, con il preciso compito di attirare i magi. E pensare che l’Antico Testamento è chiaro nel proibire l’astrologia (Dt. 18,9ss.). È ai profeti e non agli astri che bisogna dare ascolto!
E quindi tanto più è particolare il fatto che Dio qui si serva di una stella. Ovviamente la stella in sé non conta nulla (non è che ora dobbiamo anche noi a metterci a guardare le stelle …!). la stella è un semplice “pezzo” di creazione, ma è il fatto che Dio se ne serva che conta.
Ciò che conta nel racconto non è la stella, ma ciò che la stella indica, dove la stella porta: a Cristo. Dio usa la lingua dei magi, le stelle appunto, per chiamarli e portarli da suo figlio.
Un secondo particolare che mi sembra importante è lo scopo per cui i magi vanno da Gesù: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono” (v. 11).
Matteo non ci dice se l’adorazione dei magi sia consistita in parole – e in questo caso che genere di parole – oppure sia stata silenziosa.
Possiamo solo notare che il momento dell’adorazione è l’unico momento del racconto in cui i magi si fermano.
Dopo il lungo viaggio di andata e prima dell’altrettanto lungo viaggio di ritorno, i magi si fermano ad adorare Gesù.
E dunque, anche se “adorare” è un verbo che non usiamo comunemente nel nostro linguaggio, il momento dell’adorazione potrebbe essere, nella nostra vita quotidiana e nel nostro culto, il momento in cui ci fermiamo, non facciamo nulla di ciò che siamo soliti fare e lasciamo che Dio riempia quel momento.
Per noi quel momento è forse soprattutto quello della lettura – personale o comunitaria – e dell’ascolto della sua Parola, mentre i magi non avevano una parola da ascoltare dal neonato Gesù. Ma in ogni caso, adorare significa fermarsi e mettere Cristo al centro, nella preghiera o nell’ascolto.
Adorare significa che non siamo noi ad agire, non siamo noi soggetti, ma il soggetto è Cristo, per i magi con il suo semplice “esserci”, per noi con il suo esserci e rivolgerci la sua parola.
Infine il terzo particolare importante sono naturalmente i doni. Al di là del significato simbolico dei doni, che sono doni degni di un re, è molto inconsueto che sia Gesù a ricevere qualcosa da parte degli esseri umani.
Al di là dell’ospitalità, della condivisione del cibo che molti offrono a Gesù, non ci viene mai raccontato che Gesù riceva dei doni e forse i magi sono gli unici nel Nuovo Testamento che offrono doni a Gesù.
In genere quando parliamo della nostra fede, ci consideriamo – giustamente – coloro che ricevono i doni di Dio, coloro che ricevono in dono, per grazia, il perdono, la fede, la vocazione. Solitamente nel nostro rapporto con Dio consideriamo Dio come colui che dona e noi come coloro che ricevono.
Nel racconto dei magi avviene invece l’esatto contrario: Gesù riceve e sono i magi, gli esseri umani a offrire, a donare. Ma non perché Gesù ne abbia bisogno, e del resto i magi non gli portano una coperta per riscaldarsi o un’altra cosa che possa essere utile a un neonato. I magi gli donano cose preziose, non cose necessarie.
Il dono esprime da un lato la regalità di Gesù e dall’altro la gioia e la gratitudine dei magi: «Quando videro la stella [sopra al luogo dov’era nato Gesù], si rallegrarono di grandissima gioia».
Il dettaglio interessante è che i magi gioiscono prima di vedere Gesù, appena la stella si ferma sopra la casa in cui c’è Gesù neonato. Basta loro sapere che hanno trovato il re che cercavano per far scoppiare la loro gioia.
Il momento dell’adorazione è il momento della gioia e della gratitudine. In quel momento non c’è nulla da chiedere, da domandare, da supplicare… c’è solo da gioire e da esprimere la propria gratitudine.
Siamo capaci di gioire davanti al Signore? E siamo capaci di portargli dei doni? Abbiamo qualcosa da offrire a Gesù?
Certo, nel ricevere la grazia possiamo solo andare da Cristo a mani vuote, ma per mostrare la nostra riconoscenza, per adorare Gesù nella nostra vita quotidiana, abbiamo molto da offrire.
Non dobbiamo portare doni a Gesù, che non è qui in carne ed ossa, ma al prossimo in cui Gesù ci viene incontro. Quello sì che è qui in carne ed ossa! Ed offrirgli qualcosa di prezioso, non qualcosa di superfluo.
Una fede che non sa gioire e non ha nulla da offrire, è una fede a cui manca qualcosa, che non ha ancora riconosciuto Gesù come re della propria vita.
Gioia e dono fanno parte della adorazione, dunque della fede, dunque del discepolato. Una fede senza gioia, un discepolato senza dono sono monchi, manca loro qualcosa.

Questo racconto della visita dei magi a Gesù ci dice quindi che Dio chiama anche i lontani, che la sua vocazione non ha limiti. Chiama a incontrare Gesù e la sua chiamata, cioè la sua Parola, è rivolta a tutti, a partire dai più lontani.
Ci dice che la prima reazione che si ha all'incontro con Gesù è l'adorazione, cioè lasciare che sia lui, il Cristo, al centro e non noi.
E ci dice che chi incontra Gesù è colmo di gioia e pronto a donare le sue cose più preziose.
Voglia il Signore continuare a rivolgere anche a noi questa sua chiamata.