Commentare
questo comandamento è difficile, perché mentre noi con adulterio
intendiamo in genere una questione che tocca principalmente la sfera
della morale, nell’Antico Israele la questione è soprattutto
giuridica.
La
definizione di adulterio la troviamo per esempio in Levitico 20,10:
“Se uno commette adulterio con la moglie di un altro, se commette
adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adultera
dovranno essere messi a morte”. È sottinteso che chi commette
adulterio sia un maschio e l’adulterio sta nel fatto di avere un
rapporto con una donna sposata.
Se
quello stesso uomo avesse un rapporto con una donna non sposata per
la legge di Israele non si tratterebbe di adulterio, anche se lui
fosse sposato. L'adulterio sta nel fatto che l’uomo, sposato o
meno, ha rapporti con la donna di un altro, sta nel fatto che sottrae
la moglie al suo prossimo, al marito della donna che ne veniva
considerato proprietario.
Quindi
il comandamento preso in sé non vieta all’uomo sposato di avere
rapporti sessuali con altre donne non sposate, o schiave, o
prostitute; vieta all’uomo di avere rapporti con altre donne
sposate. L’adulterio non è un peccato che l’uomo sposato
commette contro la propria moglie, ma contro il marito della donna
con cui si ha un rapporto.
Tra
l’altro, questo comandamento in sé non vieta nemmeno la poligamia,
che anticamente era praticata, poi sempre meno fino a che la
monogamia ha anche assunto un valore morale.
Dietro
a questo comandamento sta quindi una questione innanzitutto
giuridica: è necessario essere certi di chi sono gli eventuali figli
che nascono da un rapporto sessuale. La questione morale c’è, ma è
in secondo piano. Nella Torah ci sono altre prescrizioni che
disciplinano la sessualità in quanto tale, mentre qui al centro
della questione c’è la certezza della paternità.
Questa
questione della certezza della paternità, insieme all’idea che la
moglie – almeno nelle fasi più antiche – fosse considerata
proprietà del marito (come dimostra il decimo comandamento) è
all’origine del comandamento del divieto di adulterio,
che
per questa ragione è formulato soltanto al maschile: è il maschio
che commette adulterio rendendosi colpevole verso l’altro maschio,
cui “ruba” la moglie.
Oggi
noi non possiamo ovviamente accettare i presupposti che stanno dietro
a questo comandamento, che in quel tempo aveva come primo scopo
quello di tutelare la famiglia, e questo per due ragioni:
innanzitutto
la famiglia era l’unica istituzione sociale a poter garantire il
sostentamento e quindi la vita dei singoli, che molto difficilmente
potevano vivere da soli. L'adulterio e eventuali figli nati da questi
rapporti poteva far esplodere la famiglia e creare grosse difficoltà
materiali, oltre a mettere in crisi la trasmissione ereditaria del
pezzo di terra che ogni famiglia aveva in possesso.
Ma
c’è anche una questione teologica: la famiglia è il nucleo che si
tramanda di generazione in generazione l’eredità del capofamiglia
la terra che i figli erediteranno, e che è la terra che Dio ha dato
a quella famiglia quando Israele è giunto nella terra promessa dopo
la liberazione dall’Egitto.
Come
attualizzare oggi questo comandamento? Oggi che l’adulterio è
considerata una questione morale e non più giuridica, oggi che la
nostra legge afferma, almeno in teoria, la parità tra uomini e donne
e la moglie non è subordinata la marito (anche se il nuovo diritto
di famiglia è solo dell’anno 1975; prima di allora il
“capofamiglia” era comunque sempre l’uomo), oggi che veniamo
dopo la rivoluzione sessuale degli anni ‘60 e ‘70 e che la
famiglia è mutata così tanto.
Tre
piccoli pensieri, che pongo alla vostra riflessione:
1.
Intanto possiamo dire che la fedeltà all’interno di una coppia è
ben di più che una questione sessuale. La sessualità nei secoli è
stata da un lato demonizzata, identificata tout-court con
il peccato, considerata origine del peccato (la dottrina
del peccato originale di Agostino, secondo cui il peccato si
trasmette
per via sessuale).
E
d’altro lato, demonizzandola, si è dato alla sessualità, forse
involontariamente, un’enorme importanza. Questo grande peso
negativo dato alla sessualità, ha fatto sì che a molti sembrasse
sufficiente non “tradire” sessualmente il partner per essergli/le
fedeli.
Ma
forse ci sono molti altri modi di tradire il partner, ovvero di
sostituirlo/la con qualcuno o qualcosa altro, che può anche essere
un hobby o uno sport cui si dedica tutto il tempo libero, oppure il
lavoro…
2.
Paolo Ricca nella trasmissione radio “Uomini e Profeti”, il cui
testo è stato pubblicato poi nel libro “le dieci parole di Dio –
le Tavole della libertà e dell’amore” (Morcelliana, 1998), dice
che nella nostra società moderna c’è stato un divorzio tra la
sessualità e l’amore e che la sessualità viene consumata – come
si consuma ogni cosa nella società dei consumi – credendo che “sia
possibile vivere la sessualità prescindendo totalmente dal
sentimento dell’amore”, cosa che Ricca definisce “errore
profondo … che abbrutisce la sessualità e isterilisce l’amore”.
Dopo
essere stata demonizzata per secoli, ora la sessualità è esaltata e
soprattutto spettacolarizzata, è diventata – anche se ovviamente
non è così per tutti – un qualcosa da consumare, appunto. Così
facendo viene banalizzata e viene banalizzata la relazione sessuale.
Sesso
senza amore rischia di portare a vedere nell’altro un oggetto
funzionale al nostro piacere e non una persona, non un prossimo.
Sempre Ricca dice che questo divorzio tra sessualità e amore è una
delle radici della violenza con cui spesso si vive la sessualità e
il rapporto tra i sessi, vedi tutti i casi di femminicidio che
accadono mediamente ogni due giorni.
3.
infine, vorrei provare
a attualizzare questa parola partendo dalla considerazione che nella
Bibbia le parole fedeltà/infedeltà vengono usate principalmente per
descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo o tra Dio e i
credenti, più che per parlare del rapporto moglie-marito.
Tutto
l’Antico Testamento è incentrato sul fatto che Dio ha stabilito un patto
unilaterale con Israele, patto che Israele viola continuamente con la
sua infedeltà, mentre Dio, nella sua grande misericordia, rimane
fedele al suo patto e alle sue promesse.
Dio
però non si rassegna all’infedeltà di Israele e continua a
chiamarlo alla fedeltà; Dio opera senza stancarsi per trasformare il
suo popolo da infedele e fedele. E lo stesso fa con noi cristiani.
Non
è un caso che i termini prostituzione e fornicazione siano usati
nell’Antico Testamento come metafore dell’idolatria: adorare gli dèi pagani è
a volte definito fornicare, ovvero tradire la fedeltà all’unico
Dio.
Che
cosa corrisponde – o dovrebbe corrispondere – da parte nostra
alla fedeltà di Dio? Che cosa chiede il Dio fedele al credente che
spesso è infedele? Chiede ovviamente fedeltà anche da parte sua, ma
chiede un’altra cosa che deriva dalla fedeltà, ma non è la stessa
cosa: chiede fiducia.
La
stessa cosa che vale per il rapporto con Dio vale nel rapporto tra
esseri umani, nella chiesa e nella coppia: c’è bisogno di potersi
fidare l’uno dell’altro. L’antico comandamento che vieta
l’adulterio aveva tra i suoi scopi principale proprio questo: che
si potesse avere fiducia che i figli nati da una donna fossero del
marito e non di un altro.
Oggi
per noi ci sono tante altre questioni che caratterizzano la vita di
coppia, ma proprio nella complicazione che caratterizza la vita di
coppia di oggi, rimane essenziale la fiducia dell’uno nell’altro
partner della coppia.
Forse
non è esagerato dire che quando viene meno la fiducia, viene meno il
rapporto stesso.
Questa
bisogno di fiducia vale per ogni rapporto umano, per ogni rapporto
che voglia essere fraterno, a partire proprio dalla coppia.
Ci
aiuti il signore a vivere e a coltivare questa fiducia in tutti
nostri rapporti.
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