"Il mio tempo sta nelle tue mani" (Salmo 31, 16) | |
Alcuni passaggi della predicazione del teologo Karl Barth tenuta il 31 dicembre 1960 | |
Il tempo scorre sempre eguale ma noi abbiamo inventato il calendario per scandirlo, a fine anno finisce un tempo e poi ne inizia un altro. Il salmo (31, versetto 16) dice che il credente mette il suo tempo, ieri e domani nella mani di Dio. Il tempo per lui non è però solo il giorno di domani, è il suo destino. Offriamo qui i pensieri che su questo versetto ha espresso il teologo protestante Karl Barth in una sua predica il 31 dicembre 1960. Il mio tempo. Che significa? Il mio tempo non è altro se non la mia esistenza terrena: il mio passato, quindi, fin dalla nascita e il mio futuro fino alla morte. Inoltre, cosa più meravigliosa: il mio presente, il continuo passaggio dal passato al futuro, l'istante attuale che affiora di continuo per sparire di nuovo (...). «Il mio tempo» significa però, anche, qualche cosa d'altro. La parola che Lutero ha tradotto con «mio tempo» propriamente significa: la mia sorte. Il mio tempo è dunque la storia della mia vita: tutto ciò che accade durante la mia esistenza; tutto ciò che ho fatto oppure omesso e che in futuro farò oppure ometterò, persino quello che in quest'ora faccio o tralascio. Il mio tempo è la storia di tutta la mia vita con ciò che ho sofferto e operato e forse soffrirò e farò ancora; tutta la mia vita con quanto sono stato, sono e sarò. Questa mia vita è nelle tue mani! (...) Merita considerare bene in questa sede pure la parolina sta. Il mio tempo non giace, quindi, in qualche posto come una borsetta che qualcuno ha perduto nel tram o altrove. Non rotola nemmeno come una palla sfuggita da chissà quale mano. Nemmeno trema come fogliame nel bosco. Non dondola e vacilla come un ubriaco. Il tempo «sta». Viene trattenuto. Viene portato. È assicurato. Non «sta» per il fatto che io sia un giovane ben saldo sulle gambe: nessuno di noi lo è. Il tempo «sta» perché è nelle tue mani. E ciò che è nelle tue mani ha il carattere della stabilità. In te sta dunque: il mio ieri, il mio oggi e il mio domani con i suoi segreti e le sue manifestazioni palesi. Là c'è il mio tempo, la storia della mia vita; io stesso, già prima - molto prima - che nascessi ero nelle tue decisioni, dall'eternità. E là rimarrò: non soltanto fino alla mia morte, ma oltre essa, per sempre. Nulla, proprio nulla di ciò che è avvenuto, avviene e avverrà, andrà perso, dimenticato, cancellato. Io sono, io vivrò, anche se dovessi subito morire, perché la mia vita sta nelle tue mani. E solo ora viene la cosa principale: «II mio tempo sta nelle tue mani». (...) Non nelle mani di un oscuro, tetro destino dinanzi al quale si sente ribrezzo e si ha paura; con il quale si potrebbe discutere, lottare; con il quale ci si potrebbe battere, internamente e esternamente. Con il destino io potrei venire a discussione. Con te, mio Dio, non lo posso fare; non mi resta che accordarmi. Il mio tempo non si trova, nemmeno, nelle mani di qualche grande o piccolo uomo, al quale, prima o poi, mi appoggio, dal quale, lentamente, a poco a poco, potrei liberarmi. E la cosa più importante: il mio tempo non sta nelle mie mani. È una vera fortuna che io non debba ricorrere a me stesso, come persona di riguardo (...). Mi domanderete: ma Dio ha mani? (...) Che significa: mani di Dio? Permettetemi che mi esprima anzitutto così: le mani di Dio sono le sue opere, le sue azioni, le sue parole, le quali - lo sappiamo o non vogliamo saperlo - ci circondano da ogni lato, ci portano, ci sostengono. Tutto questo però potrebbe ancora essere detto e inteso soltanto metaforicamente, simbolicamente. C'è un punto, però, nel quale cessa l’immagine e il simbolismo e la faccenda delle mani di Dio diventa molto seria: là dove tutte le azioni, le opere e le parole di Dio hanno il loro inizio, il loro centro e il loro scopo: «le tue mani», le mani, cioè del nostro Salvatore Gesù Cristo. Sono quelle mani che egli ha ben aperte quando ha gridato: «Venite tutti da me, voi che siete stanchi e affaticati ed io vi ristorerò». Sono le mani con le quali egli ha benedetto i bambini; con le quali ha toccato e guarito i malati. Sono le mani con le quali egli ha spezzato il pane e l'ha distribuito ai cinquemila nel deserto e poi, ancora una volta, ai suoi discepoli, prima di morire. Sono infine e soprattutto quelle mani inchiodate in croce per la nostra riconciliazione con Dio. Fratelli e sorelle: queste sono le mani di Dio: le forti mani di un padre; le buone, delicate, tenere mani di una madre; le fedeli, soccorritrici mani di un amico; le mani misericordiose di Dio, nelle quali si trova il nostro tempo, nelle quali ci troviamo tutti noi. ________________________ tr. it. P. Vicentin, Morcelliana, Brescia 1969. il testo è riportato dal sito: www.chiesavaldese.org in data: venerdì 31 dicembre 2010, ore 18.40. | |
venerdì 31 dicembre 2010
VIVERE IL NOSTRO TEMPO
giovedì 30 dicembre 2010
CANI E GATTI NOSTRI AMICI ANCHE A CAPODANNO
28/12/2010 | |
Capodanno, i consigli per proteggere cani e gatti |
Ogni anno almeno 5 mila animali muoiono nella notte di San Silvestro per colpa dei "botti" | |||||||||||||||
ROMA
SUGGERIMENTI PER I PROPRIETARI DI CANI
CONSIGLI PER I PROPRIETARI DI GATTI
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mercoledì 29 dicembre 2010
PER UNA SPIRITUALITA' CONCRETA
martedì 28 dicembre 2010
CONTRO IL FREDDO ECUMENICO
CONTRO IL FREDDO ECUMENICOdi Luca Baratto | |
Intervista al Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, Olav Fykse Tveit | |
Il pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), è stato recentemente in visita a Roma per incontrare il papa, il cardinale Kurt Koch (presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani), nonché le chiese evangeliche italiane membro del Cec. Domenica 5 dicembre Fykse Tveit ha predicato nella chiesa metodista di via XX Settembre e ha partecipato a un pasto comunitario, incontrando i rappresentanti della Tavola valdese, dell’Opera per le chiese metodiste, della Chiesa luterana e della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Dopo l’incontro con le chiese evangeliche il segretario del Cec ha risposto ad alcune domande rivoltegli dal pastore Luca Baratto, dell’Agenzia stampa Nev. Che cosa può dirci del suo incontro in Vaticano con papa Benedetto XVI? «La mia impressione è stata di un incontro dai toni molto cordiali. In particolare Benedetto XVI ha sottolineato e riconosciuto l’importanza del lavoro del Cec in vista dell’unità della chiesa, incoraggiandoci a ricercare nuovi ambiti di collaborazione per esprimere la comune testimonianza dei cristiani nel mondo. Al papa ho portato tre doni: una teca di legno proveniente dalla Siria per ricordare la comune preoccupazione per i cristiani del Medio Oriente e per le tante sfide che si trovano ad affrontare; dentro la teca ho aggiunto due regali provenienti dalla mia terra, la Norvegia: un libro di poesie e un paio di guanti di lana. Questi guanti vogliono essere un segno per dire che l’inverno, per quanto rigido, può essere una stagione bellissima, se solo ci si equipaggia adeguatamente per difendersi dal freddo. Dico questo a chi afferma che oggi viviamo in una sorta di inverno ecumenico: anche in questa fredda stagione ecumenica possiamo andare avanti e continuare a lavorare per l’unità della chiesa». Lei è venuto a Roma anche per incontrare le chiese protestanti italiane. Qual è il messaggio che è venuto a portare agli evangelici del nostro paese? «Prima di tutto vorrei incoraggiare i protestanti italiani a continuare a sentirsi parte e a contribuire a quella comunione mondiale che è il Consiglio ecumenico, con le sue 349 chiese e i 550 milioni di cristiani che esso rappresenta. Noi non siamo soltanto un ufficio a Ginevra, ma una vera comunione di chiese che sono chiamate a essere insieme per rispondere alla chiamata che il Signore rivolge loro. Ho predicato nella chiesa metodista di Roma sul testo di Avvento di Luca 12, che ci chiede di vegliare, di essere consapevoli di ciò che accade attorno a noi, di essere pronti per la chiamata del Signore. Mi sembra che le chiese evangeliche italiane abbiano sentito e risposto alla chiamata del Signore ad accogliere lo straniero, il migrante, coloro che giungono in Italia per guadagnarsi e ricostruirsi una vita. E questo sono in grado di farlo insieme a tanti movimenti cattolici che hanno la stessa preoccupazione». È ormai da un anno che lei ha assunto la carica di segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese. Quali sono stati i punti più importanti del suo impegno? «La sfida maggiore consiste nel fatto che ci sono molte aspettative attorno al lavoro del Cec. Questo è un segnale senz’altro positivo di cui mi sono reso conto dai tanti inviti ricevuti da parte di chiese e di partner ecumenici per discutere insieme dei temi che caratterizzano la missione del Cec e che sono al centro della vita delle chiese. A questi inviti ho sempre risposto con molto piacere. In quest’anno di lavoro c’è stato poi uno sforzo per definire un piano finanziario sostenibile per le nostre strutture. Questo però si è accompagnato a una riflessione su ciò che c’è di veramente unico nella missione della nostra organizzazione e a un impegno a rendere le chiese membro sempre più partecipi di quanto accade. Voglio poi segnalare alcuni passi incoraggianti nelle relazioni con il mondo pentecostale e più in generale "evangelicale". Sono stato invitato alla Conferenza mondiale delle chiese pentecostali e anche alla Conferenza missionaria del Movimento di Losanna. In entrambi i casi mi è sembrato di riscontrare un comune interesse verso una chiamata all’unità della missione nel mondo». Nel considerare le iniziative intraprese nel 2010, sembra che il dialogo interreligioso stia diventando sempre più centrale nella riflessione del Cec. È così? «Il dialogo con comunità e persone di altre fedi rientra da sempre nelle priorità del Cec. Lo scorso novembre abbiamo avuto a Ginevra una importante consultazione cristiano-islamica, un evento che non esiterei a definire storico perché promosso insieme a due organizzazioni islamiche. Durante la consultazione abbiamo affrontato insieme alcune questioni che hanno evidenziato preoccupazioni comuni. Per esempio, insieme abbiamo potuto esprimere una ferma condanna dell’attentato alla chiesa di Baghdad, avvenuto proprio alla vigilia del nostro incontro. Abbiamo anche parlato del prossimo referendum in Sudan che dovrebbe decidere la secessione delle regioni del sud – a maggioranza cristiana ed animista – da quelle del nord, a maggioranza musulmana. La nostra comune preoccupazione è evitare che questo evento si trasformi in un conflitto religioso. Così è venuta anche la proposta di istituire una sorta di "unità di crisi" cristiano-islamica in grado di intervenire nei conflitti in cui membri e rappresentanti delle due religioni sembrano scontrarsi. Nel mondo di oggi è praticamente impossibile sopravvalutare l’importanza del dialogo interreligioso. Il Cec ha il dovere di portare un’autorevole parola cristiana in questo dialogo, così centrale per le sorti politiche e spirituali del mondo». Tratto da Riforma del 24 dicembre 2010 e riportato dal sito: www.chiesavaldese.org | |
sabato 25 dicembre 2010
E' NATALE OGNI VOLTA CHE...
QUANDO E’ NATALE ?
E’ Natale ogni volta
che si asciuga una lacrima
negli occhi di un bambino.
E’ Natale ogni volta
che si depongono le armi
ogni volta che si firma un accordo.
E' Natale ogni volta
che si interrompe una guerra
e si schiudono i pugni.
E’ Natale ogni volta
che si obbliga la miseria
ad andarsene via.
E’ Natale sulla terra
ogni giorno.
E’ Natale, fratello,
quando c’è l’amore.
Anonimo
tratto da:
Comitato Italiano per la CEVAA,
In Attesa del Mattino,
raccolta di testi di fede,
a cura di Renato Coïsson.
Stampato ma non pubblicato, Torre Pellice, 1991,
p. 121.
venerdì 24 dicembre 2010
NATALE ORIGINE DELLA TEOLOGIA CRISTIANA
Nessun sacerdote,
Nessun teologo,
stava alla mangiatoia di Betlemme.
Eppure la teologia cristiana
ha la sua origine
nel miracolo dei miracoli:
Dio divenne essere umano.
tratto da: Dietrich Bonhoeffer,
Meditazioni sul Natale,
a cura di Manfred Weber,
Claudiana editrice, Torino, 2004.
www.claudiana.it
mercoledì 22 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
DOMANDARE PER POTER RISPONDERE
Cerca di vivere con positiva intensità.
Nuota tra le contraddizioni umane.
Cammina per i sentieri del mondo.
Fantastica nel cielo dell’esistenza.
Viaggia sulle nubi della speranza.
Forgiati nelle prove con la sofferenza.
Vola alto nei meandri della lealtà.
Assapora il piacere della semina.
Corri verso le vette delle libertà.
Gusta i sapori forti degli ideali.
Comprendi il valore di amore e solidarietà.
Biasima indifferenza, ipocrisia e odio.
Valuta il peso specifico della carità.
Medita su dialogo, tolleranza, fedi.
Attrezzati per il sapere ascoltare.
Agisci per migliorare lo stato di cose presenti.
Combatti le cause delle ingiustizie sociali.
Presta attenzione ai responsi della verità.
Sii critico nel rapportarti alle ideologie.
Rifletti sulle dinamiche della realtà.
Tieni gratitudine per chi ti ha donato l’esistenza.
Abbi sempre voglia di imparare approfondendo.
Apprezza il dubbio più che le certezze assolute.
Rispetta il prossimo, la natura, il creato.
Sii savio, giusto, umile, consapevole.
Ricerca, crea, desidera camminare domandando.
Aldo
Fappani
sabato 18 dicembre 2010
19 dicembre 1943: alle origini della CARTA di CHIVASSO
Giovanna Pons,
La luce buona e la luce vera
Sermoni e interventi,
prefazione di Giorgio Bouchard,
Trauben editrice, Torino, pp. 204.
la Resistenza era
e sei uomini che vi erano
si erano dati appuntamento in casa
Due erano valdostani (Emile Chanoux
quattro erano valdesi (Osvaldo Coisson,
Nelle stanze
un continuo parlare a bassa voce. Ma nulla di più.
e che avrebbe finito per avere un valore simbolico
una vita vissuta in perfetto equilibrio
lunedì 13 dicembre 2010
SAPER RIDERE SAPER DISTINGUERE
RIDERE DI SE STESSO
Beati coloro che sanno ridere di loro stessi,
non hanno ancora finito di divertirsi.
Beati coloro che sanno distinguere una montagna
da una zolla, saranno evitati loro molti fastidi!
Beati coloro che sono capaci di riposarsi e di dormire
senza cercare delle scuse, diventeranno saggi!
Beati coloro che sanno tacere ed ascoltare,
impareranno un sacco di cose!
Beati coloro che sono abbastanza intelligenti
da non prendersi troppo sul serio,
saranno apprezzati da coloro che incontreranno!
Beati coloro che sono sensibili ai bisogni degli altri,
senza però ritenersi indispensabili,
saranno seminatori di gioia!
Beati voi se sapete guardare seriamente
le piccole cose e con calma le cose serie,
andrete lontano nella vita!
Beati voi se sapete ammirare un sorriso
e dimenticare una smorfia,
la vostra strada sarà piena di sole!
Beati voi se siete capaci di interpretare
sempre con amore le attitudini degli altri,
anche se le apparenze sono contrarie,
farete la figura di ingenui, ma la Carità ha questo prezzo!
Beati coloro che pensano prima di agire e pregano
prima di pensare,
eviteranno tante sciocchezze!
Beati soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore
in tutti coloro che incontrate,
avete trovato la vera luce e la vera saggezza!
tratto da:
Comitato Italiano per la CEVAA,
Quando è giorno?
raccolta di testi di fede, traduzione di Renato Coïsson,
Torre Pellice 1988, Trieste 1994, stampato ma non pubblicato,
p. 165.
mercoledì 8 dicembre 2010
BENEDIRE DIRE BENE
DIALOGHI CON PAOLO RICCA | |
Che cosa vuol dire «benedire»? | |
Desidero porre alcune domande sul tema della benedizione, perché vi sono aspetti che non comprendo. Penso di sapere che cosa sia una benedizione. Certe figure nella Bibbia sono state benedette dal Signore e alcuni miei amici anche loro hanno dichiaro di aver ricevuto, con gioia e riconoscenza, una benedizione particolare: a esempio la nascita di un figlio a lungo desiderato, oppure la ripresa fisica di una persona cara dopo una lunga malattia. Anch’io ho avuto nella mia vita momenti di gioia completa, quasi sublime, e forse in quei momenti il Signore mi aveva inviato la sua benedizione. O forse non è così? Era qualcos’altro? Ma quello che veramente non capisco è chi può pronunciare una benedizione e chi può riceverla. La benedizione è, tra l’altro, quella che il pastore o la pastora pronuncia alla fine del culto. A quanto pare anche il predicatore locale può chiedere o invocare la benedizione del Signore e, visto che la nostra chiesa non è clericale, non è che la benedizione del predicatore locale valga meno di quella del pastore. È proprio così? Ma il punto che mi lascia veramente confusa concerne quei brani nell’Antico Testamento dove l’essere umano (spesso il Salmista) benedice il Signore. Avrei pensato che la benedizione debba arrivare dal cielo a noi sulla terra. Infine: che cosa vuol dire la frase: «Io benedico il Signore»? Victoria Munsey – TorinoQuesta lettera contiene molte domande (alcune anche inespresse), che però, a ben guardare, si riducono a tre: (1) Che cos’è la benedizione dell’uomo da parte di Dio? (2) Chi la può pronunciare e forse conferire, e chi la può ricevere? (3) Che cosa significa la frase: «Io benedico il Signore»? Cercherò di rispondere a ciascuna, ma prima desidero felicitarmi con la nostra lettrice per il tema che, con la sua lettera, propone alla nostra riflessione in questo inizio d’anno: la «benedizione» è un tema bellissimo, il più bello che ci sia, non solo nella Bibbia, ma nell’esperienza umana, è una luce che illumina il mondo, una stella nella notte, una grazia preparata per noi. Eppure, in fondo, se ne parla poco, forse per un senso di pudore, ma più probabilmente perché dimentichiamo con facilità proprio questo lato fondamentale della vita e della fede. Ma veniamo alle domande. 1. Che cos’è la benedizione dell’uomo da parte di Dio? È un aspetto centrale della rivelazione di Dio. Per convincersene basta aprire la Chiave Biblica (*): ci sono almeno 260 passi che parlano di benedizione, sia da parte di Dio, sia da parte dell’uomo, dalla prima all’ultima pagina, nei più disparati contesti storici e culturali, individuali e collettivi. È vero che benedizione (e maledizione!) si trovano anche in altre culture e religioni antiche, dove, come nella Bibbia, sono di solito espresse attraverso una parola o una formula, spesso accompagnata da un gesto, come, a esempio, l’imposizione delle mani. Ma nella Bibbia la benedizione sovrabbonda. Perciò non stupisce che la nostra lettrice, che conosce la Bibbia, pensi di «sapere che cosa sia una benedizione». Sa quindi che benedizione non è solo la nascita di un figlio lungamente desiderato e atteso, ma lo è la nascita di ogni bambino, anche se inatteso e persino indesiderato. Non è un caso che nella Bibbia la prima benedizione di Dio sia direttamente collegata alla moltiplicazione della vita – prima di quella animale (Genesi 1, 22), poi di quella umana (Genesi 1, 28): per tutti gli esseri viventi la benedizione di Dio è la promessa e il dono di una posterità. E la nostra lettrice sicuramente sa che benedizione non è solo la guarigione da una lunga e grave malattia, ma lo è ogni guarigione, anche da piccoli malanni, ogni vittoria della vita, ogni palpito di vita. Ma non solo la vita è benedizione, lo è anche la vita nuova, e ancora di più la vita eterna (Salmo 133, 3). Prosperità, felicità, benessere, protezione, aiuto, salvezza, forza e pace sono benedizioni. Tutto ciò che di bello, buono, vero, giusto, amabile, santo, c’è nella vita di una persona e nella storia del mondo; tutto ciò che favorisce, arricchisce e abbellisce la vita; tutte le relazioni di amicizia, amore, fraternità, condivisione, solidarietà; tutto ciò che suscita qualche gioia – tutto questo è segno e frutto della benedizione divina. Somma benedizione è il perdono dei nostri peccati, la conoscenza di Dio, la storia di Gesù dalla nascita all’ascensione e la sua attuale signoria in cielo e sulla terra. Nella lettera del 28 luglio 1944 Bonhoeffer parla, con l’abituale profondità, della benedizione, descrivendola come del ponte che collega Dio alla felicità umana [l’immagine è mia, il pensiero è suo]. Egli però ricorda anche che essere benedetti non significa essere esentati dalla prova e dalla sofferenza. Giobbe è benedetto, ma attraversa tutto il lungo tunnel della sofferenza. Gesù è benedetto, ma finisce sulla croce. Nella Bibbia dunque non c’è contrapposizione assoluta tra benedizione e croce, né nell’Antico né nel Nuovo Testamento . La differenza tra loro «sta solo nel fatto che nell’Antico Testamento la benedizione racchiude in sé anche la croce, nel Nuovo la croce racchiude in sé anche la benedizione». Dio, dunque, è la fonte di ogni benedizione. È lui, anzi, la benedizione per eccellenza. E per capire bene che cos’è la benedizione, si osservi semplicemente che benedire significa alla lettera «dire bene». Dio infatti «dice bene» di noi quando dice che siamo giusti benché peccatori, perdonati benché colpevoli, figli benché prodighi. Dio benedice, cioè dice bene, perché pensa bene:«Io so i pensieri che medito per voi, dice l’Eterno, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza» (Geremia 29, 11). Dio dice quello che pensa e fa quello che dice. Egli benedice, cioè dice bene, perché pensa bene e fa bene. La benedizione è l’azione costante, l’occupazione quotidiana di Dio, è il cantus firmus dell’universo, e, in fondo, la nostra unica speranza. 2. Chi può pronunciare e forse conferire la benedizione? E chi può riceverla? Anche qui la Bibbia ci è maestra: la benedizione di Dio circola liberamente all’interno del suo popolo e diventa in qualche modo patrimonio comune. Dal tempo dei patriarchi in avanti le generazioni si susseguono di benedizione in benedizione. Anche Gesù ha benedetto: i pani da moltiplicare per sfamare la folla (Marco 6, 41), i bambini che ad altri davano fastidio (Marco 10, 41) e i discepoli, prima dell’Ascensione: è significativo che l’ultimo gesto di Gesù sulla terra, che riassume simbolicamente tutta la sua opera, sia stato un gesto di benedizione: «… mentre li benediceva, si dipartì da loro» (Luca 24, 51). Ma la parola biblica più eloquente in risposta alla seconda domanda della nostra lettrice è questa: «In lui [cioè nel Re Messia preannunciato dal Salmista] gli uomini si benediranno a vicenda» (Salmo 72, 17). La benedizione di Dio non è più monopolio di qualcuno (a esempio di un clero o di un’autorità di qualunque tipo), ma diventa una parola di grazia e favore divino che gli uomini e le donne, nel nome di Dio, si scambiano a vicenda. Chi dunque può pronunciare la benedizione? Chiunque, purché sappia quello che fa e creda nel Dio che benedice, il Dio d’Israele e di Gesù. Chi può conferire la benedizione? Nessuno, perché la benedizione appartiene a Dio solo, è lui l’unico titolare di ogni benedizione, a cominciare da quella urbi et orbi. Noi possiamo solo invocare la benedizione di Dio, non la possiamo dare, se non nel nome suo, che è l’unico che può e vuole effettivamente darla. E questa benedizione travalica i confini della chiesa, perché Gesù dice ai discepoli: «Benedite quelli che vi maledicono» (Luca 6, 28), e l’apostolo Paolo dice di sé: «Ingiuriati, benediciamo» (I Corinzi 4, 12). Cioè: la benedizione è più forte della maledizione, lo spirito e la parola di Gesù trasformano in benedizione la maledizione. In questo modo abbiamo già risposto implicitamente all’ultima parte della domanda: «Chi può ricevere la benedizione?». Come chiunque, nel nome di Dio, può dare la benedizione, così chiunque può riceverla, se ha fede nel Dio che benedice. E sarebbe bello che facessimo maggior uso della libertà cristiana di benedire e non lasciassimo la benedizione circoscritta all’ambito cultuale e liturgico, ma la innestassimo più frequentemente nella trama della vita quotidiana. Così sarebbe bello se, in particolari momenti, i padri e le madri benedicessero i loro figli, e se i figli, sempre in particolari momenti, benedicessero i loro genitori. Dico che sarebbe bello sia sul piano affettivo dei sentimenti umani, sia sul piano spirituale dei rapporti di fede. 3. Che cosa significa la frase: «Io benedico il Signore»? La risposta a questa domanda è facile. Benedire il Signore significa «dire bene» di lui, sia a lui sia al nostro prossimo. E «dire bene» di lui vuol dire manifestare, con le parole e con la vita, i due sentimenti costitutivi del nostro rapporto con lui: la gratitudine e la lode. Così si conclude il lungo percorso della benedizione divina che scende, sì, dal cielo sulla terra, come dice la nostra lettrice – scende come vita, salvezza e felicità –, ma poi sale dalla terra al cielo, come gratitudine e come lode. Certo, lo sappiamo, non tutto, nella vita umana, è benedizione, c’è anche la sventura e la prova; non tutto è grazia, c’è anche la disgrazia; non tutto è dono, c’è anche la rapina; non tutto è felicità, c’è anche la tribolazione. Perciò, nella Bibbia come nella vita, non c’è solo gratitudine e lode, ma anche gemito e protesta. Come diceva Bonhoeffer, benedizione e croce non si escludono. Ma appunto: la croce non esclude la benedizione, che può, benché contraddetta ma non vinta, tornare a Dio come gratitudine e lode. Così possiamo dire, malgrado tutto e sempre tenendo presente la storia di Gesù: Dio benedice, Dio sia benedetto. Dio è benedizione, e ci benedice affinché anche noi, modestamente, diventiamo, su questa terra, una piccola benedizione per chi ci sta accanto. ____________________ * La nostra casa editrice Claudiana ha pubblicato, nell'ottobre 2009, la Chiave Biblica compilata in base alla versione Nuova Riveduta della Bibbia. È uno strumento utilissimo, per non dire indispensabile, per conoscere a fondo la Sacra Scrittura. Ogni lettore della Bibbia dovrebbe possederla. Come chi ha una casa, deve avere le chiavi di casa, così chi ha una Bibbia, deve avere una Chiave Biblica. Costa un po’, 48 euro, ma non è molto per un’opera del genere, che richiede moltissimo lavoro e che dura tutta la vita. Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 15 gennaio 2010 riportato sul sito: www.chiesavaldese.org | |
venerdì 3 dicembre 2010
GUIDA ALLA BIBBIA
Questa Guida è strutturata in tre parti:
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