Matteo 9,35-10,7
Annunciate:
il Regno è vicino!
9,35 Gesù percorreva tutte le città e i villaggi,
insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e
guarendo ogni malattia e ogni infermità.
36 Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. 38 Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse».
10,1 Poi, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire qualunque malattia e qualunque infermità.
2 I nomi dei dodici apostoli sono questi:
il primo, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello; 3 Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo d'Alfeo e Taddeo; 4 Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, quello stesso che poi lo tradì.
5 Questi sono i dodici che Gesù mandò, dando loro queste istruzioni:
«Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, 6 ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele. 7 Andando, predicate e dite: "Il regno dei cieli è vicino"
36 Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. 38 Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse».
10,1 Poi, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire qualunque malattia e qualunque infermità.
2 I nomi dei dodici apostoli sono questi:
il primo, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello; 3 Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo d'Alfeo e Taddeo; 4 Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, quello stesso che poi lo tradì.
5 Questi sono i dodici che Gesù mandò, dando loro queste istruzioni:
«Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, 6 ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele. 7 Andando, predicate e dite: "Il regno dei cieli è vicino"
Sorelle
e fratelli carissimi,
Quindici
giorni fa, abbiamo celebrato la festa della Pentecoste che
ricorda il dono dello Spirito santo, che è la forza che anima
la Chiesa e ci conforma a Cristo stesso. Ora il Cristo è
per definizione colui che è stato inviato nel mondo per portarvi la
salvezza, cioè la rivelazione dell’amore di Dio per tutte le sue
creature. Allo stesso modo, lo Spirito santo manda noi nel mondo
perché diventiamo testimoni, là dove viviamo, di questo
amore di Dio. È ciò che ci ricordano le letture di oggi.
Nella
lettera ai Romani, Paolo ricorda che la salvezza è legata alla fede,
e che la fede dipende dall’ascolto della Parola di Dio, e
quindi da uomini e donne capaci di annunciare con le parole, certo,
ma anche e soprattutto con la loro vita, la gioiosa notizia
dell’amore di Dio. A niente serve parlare dell’amore di
Dio, se chi ne parla è scorbutico! La nostra parola sarà vera, se
illustra o commenta il nostro modo di vivere.
Nell’evangelo
di Matteo, che è il testo sul quale mi fermerò oggi, ci vien
detto da una parte che Gesù percorre le città e i villaggi della
Galilea per annunciarvi l’evangelo del Regno, e poi, dopo che
ha scelto i Dodici, li manda a fare, anch’essi la stessa cosa:
devono proclamare che il Regno dei cieli è vicino.
La
Chiesa dunque, noi, discepoli di Gesù, dobbiamo essere
missionari. Non nel senso abituale di missione intesa come viaggio in
terre pagane per proclamarvi l’Evangelo Si tratta molto di più
di essere, là dove siamo, dei testimoni viventi dell’Evangelo.
A questo riguardo è significativo che Gesù non dica nel nostro
testo: “Andate per tutto il mondo e annunciate l’Evangelo”,
come farà alla fine dell’Evangelo; qui sottolinea invece che i
discepoli non devono uscire da Israele: “Non andate fra i
pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi
piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele”.
Annunciare l’Evangelo a casa nostra è anche missione!
Nel
testo che abbiamo ascoltato vorrei sottolineare essenzialmente
due cose.
La
prima è questa: appena dopo aver detto ai suoi discepoli: “La
messe è grande, ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il
Signore della messe che mandi degli operai nella sua messe”, Gesù
dà dei poteri ai discepoli che ha scelto e li manda. Da ciò noi
impariamo che pregare perché Dio mandi degli operai nella sua vigna,
implica che accettiamo di diventare noi stessi quegli
operai. In altri termini, chiedere a Dio di suscitare delle vocazioni
nella sua Chiesa, significa dire a Dio: “Eccomi, manda me!”, come
fece Isaia quando Dio gli apparve nel tempio di Gerusalemme.
So
bene che vi è qualcosa di praticamente impossibile se vogliamo
essere realisti. Abbiamo tutti (o quasi) raggiunto un’età in
cui non possiamo più fare missione attiva, se posso dire. Ma forse
non è ciò che Gesù ci chiede qui, a Biella. La Parola di Dio è
sempre Evangelo, anche per una comunità piccola in cui vi sono
soprattutto persone anziane. Anche quando ci chiama ad essere
portatori di Evangelo, non ci carica di un peso insopportabile:
vuol suscitare in noi la gioia della salvezza. Ma come?
Permettetemi
di ricordarvi che qui, a Biella, non siete gli unici cristiani. Vi
sono altri evangelici, vi sono poi gli altri cristiani, cattolici o
ortodossi – perché la comunità ortodossa di Biella non è
indifferente! – con i quali possiamo imparare a vivere la
gioia dell’Evangelo. Non rinchiudiamoci nella nostra
identità “valdese” e “evangelica”. All’amore che
sapremo vivere con questi altri cristiani, quelli che non
conoscono il Cristo e la misericordia di Dio, scopriranno
che possono anch’essi rientrare in quel popolo che Dio ama.
La
seconda cosa che vorrei ritenere dall’Evangelo che abbiamo
ascoltato è che fra i Dodici che Gesù ha scelto non vi sono, se
posso dire così, dei “santi”: Pietro, al momento giusto,
rinnegherà il Signore, Giacomo e Giovanni, sono quelli che in un
momento di collera vorranno far scendere il fuoco della collera
di Dio sui Samaritani, perché non li hanno accolti, Bartolomeo –
probabilmente lo stesso che l’evangelo secondo Giovanni chiama
Natanaele – è un incorreggibile campanilista: è lui che dichiara,
a proposito del villaggio vicino al suo: “Può forse venire
qualcosa di buono da Nazareth?” Se pensiamo ora a Tommaso,
l’evangelo di Giovanni ci ricorda che era particolarmente
incredulo: credeva solo a ciò che poteva toccare. Matteo poi era un
esattore delle tasse, una specie di spremiagrumi umano senza
scrupoli di fronte alle sue vittime: per tutti il pubblicano era il
tipo per eccellenza del peccatore. E non è finito! C’è anche
Simone, il “Cananeo”; questo termine non evoca forse
gran che per voi, ma al tempo di Gesù era l’equivalente di
“terrorista”. Infine c’è Giuda, del quale Matteo precisa fin
dall’inizio che “fu colui che poi lo tradì”. Diamine! Gesù è
decisamente mal accompagnato, eppure sono stati tutti
scelti da Gesù stesso. Forse Gesù era privo di discernimento quando
ha scelto i suoi discepoli? Certamente no! La sua scelta è
esemplare!
Se
Gesù ha scelto questi per essere i suoi discepoli – e il
risultato, tutto sommato, non è stato negativo: duemila anni
dopo la Chiesa esiste ancora, suscita ancora delle vocazioni,
converte ancora uomini e donne che, ad un tratto, trovano nel
messaggio e nella vita di questo Gesù del quale parlano i
cristiani e le Chiese, un senso nuovo alla loro vita –, se dunque
Gesù ha scelto questi uomini per essere i suoi discepoli, saprà
anche cosa fare di noi, nonostante ciò che siamo!
Non
c’è dunque mai motivi per disperare. Ogni motivo invece è buono
per ridestare la forza del nostro impegno cristiano.
Allora
ancora una parola: in questo contesto una cosa è particolarmente
essenziale: la gioia! Due possono essere per la nostra vita di
comunità le fonti di una gioia riscoperta: in primo luogo la
condivisione della santa cena. Chiamata in greco “eucaristia”,
la santa cena significa “rendimento di grazie”; se dunque è
rendimento di grazie è perché suscita gioia, una gioia per la quale
possiamo dire grazie a Dio. Sarebbe importante che la cena
illumini ogni vostra domenica. In secondo luogo, la gioia
nasce nelle feste – non nelle “solennità”, ma nelle feste
giovanili, nelle feste contadine: là cioè dove ci si ritrova tra
amici, dove c’è comunione. Se rimaniamo fra noi, la festa è
atrofizzata e soffocata, rinchiusa nel nostro piccolo numero. Se
condivideremo le nostre feste con gli altri, allora ritroveremo
la gioia di essere cristiani, amici del Signore Gesù Cristo,
che è benedetto ora e per i secoli dei secoli.
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