NATALE 2017
Isaia
7,10-14
(letture: Luca
2,1-21; 2 Corinzi 12,1-10)
Il
SIGNORE parlò di nuovo ad Acaz, e gli disse: «Chiedi
un segno al SIGNORE, al tuo Dio! Chiedilo giù nei luoghi sottoterra
o nei luoghi eccelsi!» Acaz
rispose: «Non chiederò nulla; non tenterò il SIGNORE». Isaia
disse:
«Ora ascoltate, o casa di Davide! È forse poca cosa per voi lo stancare gli uomini, che volete stancare anche il mio Dio? Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
«Ora ascoltate, o casa di Davide! È forse poca cosa per voi lo stancare gli uomini, che volete stancare anche il mio Dio? Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
Un
brano non così noto ci è proposto quest’anno come testo della
vigilia di Natale. Non così noto, ma molto importante per
l’interpretazione della nascita di Gesù, perché è in questo
testo di Isaia che il profeta dice che la “giovane” partorirà un
figlio cui sarà dato nome Emmanuele. La traduzione greca dell’Antico
Testamento tradurrà quel “giovane”, che indicava una giovane
ragazza, con “vergine”, in modo che questo brano di Isaia diventò
una conferma della nascita di Gesù da Maria vergine per opera dello
Spirito Santo.
Il
testo inizia con un breve dialogo tra Dio e il re Acaz. Il re Acaz
non si fida di Dio, ha paura dei nemici che minacciano di attaccare
Israele e si preoccupa. Dio vorrebbe che non si preoccupasse, perché
c’è lui a proteggere Israele, ma come ben sappiamo è molto umano
ed è più facile contare sulle proprie forze che confidare in Dio. E
così Dio invita Acaz a chiedere un segno, per poter recuperare la
fiducia in Dio. Ma Acaz rifiuta di chiedere un segno, non vuole
tentare il Signore, dice. Questo rifiuto però non piace a Dio, che
manda il profeta a dire a tutto il popolo che lui un segno lo darà
alla casa di Davide e questo segno sarà che una giovane partorirà
un bambino. Gli studiosi dicono che probabilmente si riferiva al re
che avrebbe sostituito il re Acaz e che sarebbe stato, questa volta,
un re giusto e fedele.
Ma
questo brano è stato interpretato dai cristiani in senso messianico
e riferito a Gesù. Fin qui il testo in sé, che per i cristiani è
diventato una profezia riferita alla nascita di Gesù. La nascita è
definita un “segno”. Dio aveva proposto al re di scegliere lui un
segno, quello che voleva: “Chiedilo giù nei luoghi sottoterra o
nei luoghi eccelsi!”.
Che
cosa chiederemmo noi? Un segno cosmico che coinvolga il cielo e la
terra? Un segno portentoso come la guarigione di questo o di
quell’ammalato, o meglio ancora di tutti gli ammalati? La fine
della fame e della guerra? Insomma, potremmo sbizzarrirci e dare
sfogo a tutti nostri desideri, ovviamente ai più belli e ai più
giusti: pace, giustizia, libertà…. Ma non siamo noi a scegliere il
segno, è Dio che lo sceglie per noi. E che cosa sceglie? Un bambino…
la nascita di un bambino. Non dobbiamo fermarci all’aspetto
romantico del bambino, che fa tanta tenerezza; ogni bambino che nasce
fa molta tenerezza…
Ma
il profeta non si ferma al neonato, nel bambino lui vede l’uomo che
diventerà; anche perché a quei tempi un bambino non faceva
probabilmente tanta tenerezza come fa a noi ora. Un bambino era un
uomo in formazione, da uomo sarebbe stato prezioso e utile, per
lavorare, per fare la guerra, per fare una famiglia…. Da bambino
era semplicemente un uomo in divenire, un futuro uomo, era ancora
troppo debole troppo fragile, troppo bisognoso per essere prezioso.
Ma
proprio per questo è significativo che Dio scelga un bambino come
segno, dunque un segno fragile, che non da subito i suoi frutti. La
stessa parola "segno" è usata per indicare Gesù ai
pastori (Luca 2,12): "questo vi servirà di segno: troverete un
bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia". Gesù
che nasce a Betlemme è per noi questo segno. Gesù che nasce a
Betlemme è per noi questo segno.
1.
È
un segno fragile.
Ce lo dice tutta la storia del Natale; Luca ci racconta la storia del
censimento, del viaggio di Giuseppe e Maria, del fatto che non c’è
posto per loro nell’albergo, della mangiatoia che si trova in una
stalla o in una grotta adibita a stalla… e poi i pastori, uomini
impuri a causa del loro mestiere che sono i primi a visitare Gesù e
ad adorarlo.
Matteo
ci racconta la storia della strage degli innocenti, cioè dei bambini
che il re Erode fa uccidere perché è geloso e vuole eliminare colui
che pensa possa essere il suo rivale. E poi la storia dei Magi,
uomini saggi, astronomi che vengono da lontano ad adorare Gesù…
Insomma una storia di persone marginali, che stanno alla periferia
della società e della storia. Un segno fragile, che in sé sembra
non aver nulla da dire, un bambino che non si distingue da tutti gli
altri bambini che nascevano, che nascono e che nasceranno in questo
mondo.
Gesù
sarà un segno fragile dall’inizio alla fine, e soprattutto alla
fine, nella passione e nella croce, verrà fuori tutta la sua
fragilità. È un segno volutamente
fragile, perché Dio ha
voluto con
l’incarnazione rivelarsi attraverso la fragilità umana. Ma
rivelarsi attraverso la fragilità umana non vuol dire per Dio essere
meno Dio. Dio, in Gesù di Nazaret, nel neonato nella mangiatoia, è
altrettanto Dio di quando separava le acque del Mar Rosso per portare
Israele fuori dall’Egitto, altrettanto Dio di quando faceva trovare
la manna nel deserto e faceva scaturire acqua dalla roccia per
dissetare il suo popolo.
La
fragilità di Gesù è la forza di Dio, è la forza del regno che
Gesù porta in prima persona. Perché forza,
se Dio qui sembra così debole? Perché a Pasqua Gesù vincerà su
quelli che lo hanno crocifisso e vincerà di una vittoria del tutto
particolare, vincerà dopo aver perdonato chi lo aveva ucciso. È la
forza di chi vuole vincere senza sconfiggere, senza annientare, è la
forza dell’amore e del perdono. Lo aveva capito bene l'apostolo
Paolo, che ci ha lasciato nelle sue lettere alcune affermazioni che
sono delle perle teologiche: nel brano che abbiamo letto afferma
“quando sono debole, allora sono forte”.
Sì,
perché ciò che Dio ha fatto in Gesù è di esempio anche per noi, o
meglio è la nostra realtà: siamo deboli, ma la Parola di Dio ci
dice che in questa nostra debolezza sta la nostra forza. Non la forza
dei muscoli, ma della fede, non la forza delle armi, che fanno male,
ma del perdono, che fa bene a chi lo offre e a chi lo riceve. Questa
è la forza della debolezza, questa è la forza di Dio che si incarna
nella fragilità umana del neonato di Betlemme e vuole agire
attraverso ciascuno e ciascuna di noi, uomini e donne fragili, eppure
amati e amate da Dio, che ci ha riscattati in Cristo.
2.
Una seconda caratteristica di questo segno è che esso indica il
futuro. La giovane concepirà, partorirà, non è ancora successo
nulla, tutto deve ancora avvenire. E anche quando il bambino sarà
nato, un neonato è un futuro adulto, non può ancor fare nulla.
Tutto è ancora di là da venire. Anche per Gesù bisognerà
aspettare trenta anni prima che possa iniziare il suo ministero
pubblico. Deve prima diventare adulto, il neonato Gesù è ancora
soltanto un segno. E anche da adulto, Gesù annuncerà il suo regno
che è un regno futuro; che è già presente ogni volta che un essere
umano è guarito, perdonato e liberato da Gesù, ma è un regno che
attende il suo compimento finale e totale nel futuro. È stato così
in tutto il ministero di Gesù ed è così anche dopo Pasqua: Gesù è
risorto, ma attendiamo il compimento del suo regno futuro. La fede
cristiana è una fede protesa verso il futuro: attende il futuro,
prega per il futuro, spera nel futuro e lavora per il futuro.
Se
ci pensiamo bene anche i gesti liturgici che celebriamo insieme, che
nella storia sono stati chiamati sacramenti ma che chiamiamo appunto
anche “segni”, sono segni che condividono queste due
caratteristiche: sono segni fragili e guardano al futuro. Sono
radicati nel passato, nella storia di Gesù, ma sono come un dito che
indica dritto verso il futuro di Dio. Il battesimo è il segno che
“significa” la morte e resurrezione di Cristo e che ci dice che
Cristo è morto e risorto per tutti e quindi anche proprio per quella
persona – bambino o adulto che sia – che viene battezzata. È il
segno della nostra redenzione che è già avvenuta in speranza, ma
non è ancora evidente; è il segno della nostra vita nuova che siamo
chiamati ogni giorno a vivere, ma non è mai ancora realizzata. La
Cena è memoria dell’ultima cena, che a sua volta prefigura la
morte di Gesù, ma è anche segno del regno che viene, quel regno in
cui – come leggiamo nelle parole dell’ultima cena – Gesù berrà
il frutto della vigna “nuovo” insieme a noi. Tutto ciò che
facciamo e diciamo avviene perché Cristo è venuto e ha promesso di
tornare e dunque viviamo, crediamo e speriamo in vista del suo
ritorno, in vista del futuro.
Gesù
che nasce a Betlemme è segno della promessa di Dio. Il segno non è
una prova, ma appunto un segno, un qualcosa che significa
qualcos’altro; proprio come il neonato di Betlemme coricato nella
mangiatoia non dimostra nulla della sua messianicità e della sua
regalità, eppure è messia e re. Il Gesù neonato è un segno al
contrario, che mostra debolezza e fragilità, mentre noi vorremmo da
Dio forza e potenza; che indica il futuro mente noi vorremmo Dio in
azione qui e subito. Il segno del Natale non dimostra nulla, eppure
chiede la nostra fiducia.
Solo
un segno, eppure
un segno; segno della promessa di Dio, segno che contiene in sé
tutto ciò che sarà.
L'Emmanuele,
“Dio
con noi”, è “con noi” in questo modo: come una presenza
fragile che ci spinge a guardare al futuro, un segno di pace in un
mondo di conflitti; un segno di gioia in un mondo in cui troppi
esseri umani sono tristi; un segno di speranza in un mondo in cui
troppe persone disperano di se stesse e della loro vita.
Solo
un segno, eppure
un segno. Gesù nasce, Gesù viene; nel neonato coricato nella
mangiatoia abbiamo un segno, un segno delle grandi cose che Dio ha
promesso di fare per noi e che ha fatto nella vita, morte e
resurrezione di suo figlio. Il
Signore è fedele e mantiene le sue promesse. Questo segno ci è
dato, la promessa di Dio ci è data. Ciò che è iniziato quella
notte a Betlemme non lo ha fermato nemmeno la croce e non
può
essere fermato.
In
questo segno e in questa promessa si fondano tutta la nostra fede,
tutta la nostra speranza e tutta la nostra gioia.
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