Quanto
poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne
scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del
Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: «Pace
e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come
le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosí che quel giorno
abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete
figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle
tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e
siamo sobri; poiché quelli che dormono, dormono di notte, e
quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo
del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e
dell’amore e preso per elmo la speranza della salvezza. Dio
infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo
del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi
affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con
lui. Perciò, consolatevi a vicenda ed edificatevi gli uni gli
altri, come d’altronde già fate. (1 Tessalonicesi 5,1-11)
Paolo
si occupa, nel brano che abbiamo letto, dell’ “ultimo giorno”,
cioè del giorno del ritorno di Gesù. Se ne occupa innanzitutto per
dire che non è possibile sapere in anticipo quando questo giorno
verrà.
Sono
stati versati fiumi d’inchiostro e si sono fatte moltissime parole
per determinare con precisione il giorno del giudizio. Tentativi,
tutti, evidentemente falliti, perché la Scrittura è concorde, a
partire proprio da questa epistola di Paolo, probabilmente il testo
più antico del Nuovo Testamento, per giungere sino all’evangelo di
Luca, che abbiamo sentito prima, nell’affermare che il giorno del
ritorno del Signore non sarà annunciato da segni particolari. Anzi,
questo giorno è conosciuto soltanto dal padre, e neppure il Figlio
lo conosce. I tentativi dell’uomo di penetrare questo mistero sono
quindi sciocchi e destinati al ridicolo e al fallimento.
La
chiesa di Salonicco, alla quale scrive l’apostolo Paolo, credeva
nell’imminente ritorno del Signore. Era convinzione diffusa, anche
dello stesso Paolo, che Gesù sarebbe ritornato in gloria mentre essi
erano ancora in vita.
Il
fatto che alcuni credenti fossero morti durante questa attesa aveva
suscitato dei dubbi: che ne sarebbe stato di questi fratelli e
sorelle defunti, e degli altri che fossero morti prima del ritorno
del Signore ?
Paolo
consola questa comunità ricordando ai suoi membri che il giorno del
Signore deve venire all’improvviso, come senza preavviso un ladro
scardina una porta per introdursi in casa e rubare, o come
all’improvviso le doglie del parto assalgono la donna incinta
quando deve partorire.
Non
è un insegnamento nuovo, quello di Paolo: “voi sapete questo molto
bene”, scrive.
Evidentemente,
i Tessalonicesi sapevano tutto questo: però, a volte, è necessario
ripetere concetti già noti per riportarli alla memoria o per
sottolineare la loro importanza, anche per evitare letture sbagliate
o interpretazioni di comodo della sitauzione reale.
Nei
versetti 13 – 18 del capitolo 4 Paolo afferma che coloro i quali si
sono addormentati (cioè, sono morti) verranno risvegliati, e
parteciperanno anche loro all’incontro col Signore: “prima
risusciteranno i morti in Cristo, poi noi viventi, che saremo
rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare
il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore”.
Paolo
non si limita però a consolare e a rassicurare sulla sorte dei
defunti, vuole anche portare gioia e consolazione sulla sorte dei
viventi.
Quelli
che sono in Cristo, è il suo ragionamento, non sono nelle tenebre,
non appartengono alla notte, ma vivono nella luce di Cristo,
appartengono al giorno, cioè alla vita. Non vuol essere un discorso
moralistico, un invito a vegliare, anche se la veglia è necessaria,
ma è un’affermazione di vita, di una qualità propria del credente
(ontologica, se si vogliono usare parole difficili).
Poiché
i credenti sono destinati ad ottenere salvezza per mezzo di Gesù,
essi sono
del giorno, appartengono già sin da adesso al giorno; e rafforza
questa affermazione sottolineando come essi abbiano rivestito la
corazza della fede e dell’amore e indossato come elmo la speranza,
cioè la fiducia o, meglio, la certezza potremmo dire, della
salvezza. I verbi sono all’indicativo (non all’imperativo!), a
sottolineare come questa condizione sia attuale e sia opera non
dell’uomo ma di Dio.
La corazza e
l’elmo facevano parte dell’equipaggiamento dei soldati
dell’epoca, servivano da difesa contro i colpi dei nemici. Quello
che i credenti indossano è dunque un equipaggiamento difensivo, e
questo vuol dire che essi sono circondati e difesi dall’amore e
dalla grazia di Dio che li difende dal male e li salva dal peccato.
I cristiani, pur
appartenendo già alla luce, vivono tuttavia nel mondo, sono
giustificati nella fede ma pur sempre sottoposti alla tentazione,
allo stesso tempo giusti e peccatori, come diceva Lutero. Non
possiamo prescindere dalla grazia di Dio né affidarci alle nostre
forze per resistere al male.
Veramente Dio si
rivela qui come unico conforto per l’uomo, in vita e in morte, come
dice il Catechismo di Heidelberg.
Anche in questo
testo Paolo ci fa intendere, in modo certo meno diretto che in altri
suoi scritti, ma comunque chiaro, che ciò che importa per l’uomo è
come Dio lo vede, lo aiuta e lo salva. La pratica segue in modo, per
così dire, conseguente.
Concetto analogo
verrà espresso nella lettera agli Efesini (2,10), quando si dirà
che siamo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone che
Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.
E l’opera che
Paolo propone ai Tessalonicesi e a tutte le chiese che, come quella,
sono disorientate davanti al prolungarsi dell’attesa del ritorno
del Signore è quella di consolarsi vicendevolmente e di edificarsi
gli uni gli altri.
Non c’è nessuno
che possa ritenersi così forte da non aver bisogno di essere
consolato, e nessuno può, al contrario, ritenersi così debole da
non poter consolare un fratello.
Perché tutti
dipendiamo dalla grazia di Dio, e tutti siamo chiamati a
testimoniare, prima di tutto nella chiesa, questa grazia.
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