domenica 23 novembre 2014

Predicazione di domenica 23 novembre 2014 su 2 Pietro 3,8-13 di Marco Gisola

8 Ma voi, carissimi, non dimenticate quest'unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno. 9 Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. 10 Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate.
11 Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà, 12 mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio, in cui i cieli infocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno! 13 Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia.


La prima riflessione a cui ci porta il testo di oggi è sul tempo. Mi sembra che tutti noi, o almeno quelli che hanno superato i quarant’anni, viviamo particolarmente male il tempo che passa; invecchiare ci fa paura. Chi già è anziano vede le sue forze diminuire con tutti i problemi che questo si porta dietro. Chi è adulto sente magari i primi “sintomi” dell’invecchiamento, i primi capelli bianchi, un po’ di stanchezza e così via. Ma basta vedere i propri figli crescere e trasformarsi per percepire che il tempo passa inesorabilmente... Questo ci porta a misurare il tempo, a contare, non dico i giorni, ma sicuramente gli anni. E a farlo con una certa preoccupazione.
L’apostolo Pietro viene stamattina a dirci che “per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno”. Relativizza la misura del tempo. Un'affermazione che francamente mi ha sempre lasciato un po’ perplesso, perché mi è sempre sembrata una facile soluzione al problema del ritardo del ritorno di Cristo.
Il problema della generazione di chi ha scritto questa lettera - è infatti probabile che l’autore non sia l’apostolo Pietro, il discepolo e quindi contemporaneo di Gesù, ma qualcuno che scrive usando il suo nome verso la fine del primo secolo o all’inizio del secondo – è sì il tempo che passa, ma non nel senso che intendiamo noi; per quella generazione il problema è che il tempo passa e Cristo non ritorna.
Un giorno come mille anni e mille anni come un giorno. Questa frase mi lascia perplesso anche perché istintivamente mi verrebbe da dire: va bene per Dio sarà così, ma per me no! Per me i giorni sono giorni e possono essere giorni felici, giorni spensierati oppure giorni di angoscia e di dolore. Ogni giorno per me ha un senso e un valore. Perché il mio giorno deve essere relativizzato? E i miei anni sono i miei anni, e sappiamo che c’è un’età in cui pensiamo sia troppo presto per morire e per soffrire, ci sono casi in cui davvero il tempo che è dato di vivere è troppo poco. E ci sono casi in cui il tempo della sofferenza e del dolore è invece troppo. Come ci aiuta l'affermazione che per Dio mille anni sono come un giorno?
Il tempo, che ci assilla così tanto e che contiamo e misuriamo... che cos’è il tempo secondo Dio? L’autore di questa lettera ci dice che il tempo per Dio è espressione della sua pazienza: “Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento”. All’obiezione di chi dice che il ritardo di Cristo è ormai troppo lungo e che magari questo ritardo vuol dire che Cristo non tornerà, l’apostolo risponde affermando che non si tratta di ritardo, ma di pazienza, affinché tutti giungano al ravvedimento.
Dopo quasi duemila anni il nostro punto di vista è certamente diverso, ma l’idea che il tempo che Dio ci dà sia espressione della sua pazienza rimane importante per noi oggi come per i cristiani del primo secolo allora. Il tempo che hai è tempo di ravvedimento, tempo per ravvederti, ma non nel senso negativo e tenebroso che ha a volte questa parola, ma nel senso positivo che il tempo che ti è dato è una opportunità che Dio ti dà per cambiare, per convertirti, per costruire diversamente la tua vita. Penso a errori a cui si può rimediare, penso a scelte sbagliate da cui si può tornare indietro, a relazioni interrotte che potrebbero essere recuperate, a ferite che possono guarire.
E allora anche il fatto che il tempo per Dio sia relativo ha il suo senso profondo.
Forse vuol dire che non importa quanto tempo hai davanti a te, e quanto tempo hai dietro di te, non importa se hai 25 anni o ne hai 80. Ciò che importa è che a 25 anni come a 80 oggi è il tempo che Dio ti dà, oggi è l’opportunità che Dio ti dà di cambiare, di rimodellare la tua vita secondo la sua volontà.
Questa è la pazienza di Dio, che in fondo è un altro modo per dire: questa è la grazia di Dio. Dal punto di vista del tempo la grazia di Dio si chiama pazienza di Dio. Dal punto di vista del tempo che passa, la pazienza di Dio significa che non è troppo tardi.
È vero che a viste umane e nelle relazioni umane a volte succede che sia troppo tardi per fare qualcosa, è vero che l’occasione di ricostruire, di riconciliarsi, di chiedere o di concedere perdono passa magari un po’ di volte e poi non passa più. È vero che nelle nostre relazioni a volte bisogna rassegnarsi che è troppo tardi. Ma con Dio non è troppo tardi e nel futuro del suo regno forse chissà, anche gli errori e le fratture a cui non siamo riusciti a porre rimedio qui, là nelle mani di Dio saranno trasfigurati e troveranno riconciliazione e guarigione.
Il tempo passa, perché Dio è paziente e dunque non è troppo tardi.

Al centro del brano c’è una breve descrizione, diciamo così, apocalittica (i cieli che passano stridendo, gli elementi infiammati, la terra che brucia), c’è un’esortazione alla santità per accelerare i tempi della venuta del regno di Dio e infine viene ribadita la promessa: “secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia”.
In quest'ultimo versetto ci sono due grosse parole che tornano lungo tutta la Bibbia: promessa e giustizia. La nostra vita, e dunque anche il nostro tempo, di cui parlavamo prima, non è lasciata al caso, non è nemmeno lasciata completamente nelle nostre mani, che come si sa sono capaci di fare molti danni, ma è sotto una promessa, che è una promessa di grazia e non di condanna.
La promessa del regno non riguarda soltanto il nostro futuro, ma il nostro presente. Oggi noi stiamo sotto questa promessa, oggi attendiamo nuovi cieli e nuova terra. Che questo sia il nostro futuro, anche il tuo futuro è una grande consolazione che può dare senso e serenità alle nostre giornate. Questa promessa è anche un grosso stimolo a vivere del futuro che ci è promesso. Di che cosa vivi tu, cristiano? Ovvero: che cosa dà senso alla tua esistenza oggi? Alla tua esistenza di oggi dà senso la promessa di Dio sul tuo futuro. Il cristiano vive del suo futuro; e dal futuro promesso da Dio nella croce e nella resurrezione di Cristo il cristiano trae senso, forza, speranza, trae un progetto per la sua vita e la sua fede.
Il progetto è vivere già ora, anche se solo frammentariamente, a sprazzi, la giustizia che ci attende nei nuovi cieli e nella nuova terra che Dio ci ha promessi, cioè che Dio ha preparati per noi. Il futuro che Dio ci ha preparato orienta e guida il nostro presente.
Noi viviamo aspettando nuovi cieli e nuova terra, cioè qualcosa di completamente nuovo rispetto a ciò che viviamo ora, qualcosa di nuovo caratterizzato dalla giustizia, dalla giustizia di Dio, cioè dalla volontà di Dio. Nuova è la giustizia che abita nei cieli e nella terra che Dio ci ha preparati, vecchia è l'ingiustizia che regna nel nostro mondo. Nuova è la riconciliazione e la pace che vivremo con tutti in presenza di Dio, mentre vecchio è il conflitto che spesso viviamo nei rapporti umani e vecchia è la guerra che non smette di mietere vittime nel nostro mondo. E così via, potremmo fare molti altri esempi...
Viviamo aspettando, ma non nel senso passivo e noioso che ha a volte il verbo aspettare nella nostra esperienza (tipo aspettare in coda a qualche sportello...!). Viviamo aspettando nel senso che viviamo aspettandoci qualcosa di bello che deve venire, che deve accadere per noi, ci aspettiamo qualcosa dal futuro che non sia solo la ripetizione del presente, perché il futuro che Dio ci ha promesso è nuovo.
Nell’ottica della promessa di Dio vivere aspettando vuol dire vivere sperando e confidando in questa promessa che ci dice che la nostra vita non è in balìa del caso e nemmeno del caos, ma è orientata - potremmo dire: predestinata – ai nuovi cieli e alla nuova terra dove abita la giustizia di Dio.
Viviamo allora con fiducia e con gratitudine questa attesa, sapendo che il Signore è paziente e che il Signore è fedele.

1 commento:

piera ha detto...

SI EGLI E' VERAMENTE PAZIENTE E FEDELE!