"Fido"
è morto: che ne sarà di lui?» – così ho riassunto la lettera
del nostro lettore, che pone una bella domanda, ahimé alquanto
trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna, con
pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco
d’Assisi (1182-1226), che secondo quanto scrive il suo primo
biografo Tommaso da Celano «chiama col nome di fratello tutti gli
animali, benché in ogni specie prediliga quelli mansueti». Una
seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che riassunse la
sua vita e il suo pensiero nel principio del «rispetto per la vita»
in ogni sua manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando
considera sacra la vita come tale, quella delle piante e degli
animali tanto quanto quella dei suoi simili, e quando si dedica ad
aiutare ogni vita che ne ha bisogno». Una terza eccezione è Karl
Barth (1886-1968), che nella sua Dogmatica ha dedicato agli animali
(ma anche alle piante) molte pagine estremamente suggestive e
istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non solo.
Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e
pregevole Encyclopédie
du protestantisme pubblicata
a Ginevra e Parigi in prima edizione nel 1995 e in seconda «rivista,
corretta e accresciuta» nel 2006, contiene una voce sugli angeli (il
che va benissimo), ma non una sugli animali e tanto meno sulle piante
(il che va malissimo). Speriamo in una terza edizione ulteriormente
«corretta e accresciuta» che contenga queste voci ora mancanti. La
loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un vuoto, che sta
dentro di noi. Anche la Dogmatica in tre volumi di Gerhard Ebeling,
peraltro eccellente, parla molto della Natura, ma non
specificatamente di animali e piante. Ne parla invece il nostro
lettore, con una domanda molto specifica: c’è un aldilà per gli
animali? (per quelli «domestici», dice lui, ma io allargherei il
discorso a tutti).
La
sua domanda però ne contiene molte altre, a cominciare da quella
fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale, molto netta
nel racconto biblico, che parla di un «dominio» dell’uomo sugli
animali (Genesi 1, 28). Va però precisato che questo dominio,
comunque fatale per gli animali, non comportava, all’inizio, il
diritto dell’uomo di uccidere gli animali per cibarsene. Questo
diritto venne affermato solo più tardi, dopo il diluvio (Genesi 9,
3). La differenza tra l’uomo e l’animale è stata espressa, tra
gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur
sostenendo che Dio è in qualche modo «presente» in tutte le cose
da lui create, quindi anche negli animali, afferma però che tutti
gli animali, anche quelli superiori, sono «situati a grande distanza
dall’immagine di Dio» (longe a similitudine divina remota),
«mentre l’uomo si dice formato "a immagine e somiglianza"
di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è questa, ed
è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto
orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che
credono nella reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti
dell’Induismo) la differenza è così labile che l’anima
dell’uomo può cadere così in basso da finire, almeno
provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa,
impensabile nel quadro del pensiero biblico.
Detto
questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo sanno, ma non
sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri
animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo
definiva animale «razionale» (in greco loghikòn)
e «politico» (in greco: politikòn),
ma pur sempre un animale. Prima di lui già il racconto biblico della
creazione aveva significativamente accostato l’uomo al mondo
animale, collocando la sua creazione non in un giorno speciale
riservato a lui solo, ma associandolo nello stesso giorno, il sesto,
alla creazione degli animali terrestri. Prima di parlare della
differenza, occorrerebbe dunque illustrare la vicinanza e comune
appartenenza delle due condizioni, quella animale (che tra l’altro
ha la precedenza nell’ordine della creazione) e quella umana (che
segue). In questo quadro non è forse inutile riferire una
considerazione di carattere generale sul rapporto uomo-animali fatta
dallo scrittore francese Montaigne (1533-1592), segnalatami dal
pastore Angelo Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei suoi
celebri Essais Montaigne
rimprovera all’uomo il suo orgoglio e la sua presunzione quando si
arroga il diritto di giudicare gli animali: «Come può l’uomo
conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e
segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce
quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la
mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di
quanto io faccia con lei?». Noi li consideriamo bestie; forse anche
loro ci considerano bestie. In fondo, comprendiamo poco di loro, come
loro comprendono poco di noi. Perciò «bisogna che osserviamo la
parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo approssimativamente il
loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco nella stessa
misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non va
impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità.
Queste considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro
lettore: «C’è un aldilà per gli animali?».
A
questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra Scrittura, che
è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una
risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri
che consentono una risposta relativamente sicura, benché indiretta.
Il primo è la creazione, il secondo è il patto, il terzo è la
promessa messianica.
1.
Nella visione biblica la creazione è anzitutto creazione di animali
(e piante). L’uomo viene dopo, ed è confinato sulla terra, mentre
gli animali popolano anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il
creato se ci fosse solo l’uomo! Non sarebbe il creato uscito dalle
mani di Dio. Un creato senza animali è biblicamente impensabile.
Ecco perché insieme a Noè vengono salvati nell’arca anche gli
animali: questo può valere come figura di una salvezza comune.
Persino il Mar Morto, secondo il profeta Ezechiele, non resterà per
sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà un torrente che
vi si immergerà rendendo le sue acque «sane» (47, 5) e quindi
anch’esse popolate di animali marini (v. 9). Insomma, gli animali
fanno parte integrante della creazione, e non c’è alcun motivo per
ritenere che non facciano parte (in forme che, certo, non possiamo
immaginare) della nuova creazione, cioè di un nuovo cielo e una
nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà più,
secondo Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale;
comunque ci sarà un grande fiume e acqua in abbondanza).
2.
Non solo gli animali sono benedetti da Dio, come la coppia umana, in
vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono inclusi ed
esplicitamente menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il
cui simbolo è l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è
«perpetuo» (v. 16) e il suo contenuto è la vita che, in tutte le
sue espressioni e manifestazioni, non sarà più distrutta. Chi è
nel Patto – e gli animali ci sono – non è nella morte, ma nella
vita. L’uomo e gli animali sono ugualmente mortali (Ecclesiaste 3,
19-21!!), ma, in virtù del Patto, la loro morte non è definitiva.
3.
Secondo Isaia 11, 6-9 la promessa messianica è un mondo animale
riconciliato al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e
con l’uomo («il lattante si trastullerà sul buco del serpente»).
Questa promessa, che associa uomini e animali, può essere collegata
con il discorso di Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla
vanità», cioè alla morte, e perciò «geme insieme ed è in
travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla servitù della
corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte dentro
(Romani 8, 20-23). In questa creazione liberata, come ho detto al
punto 1, ci sono anche gli animali.
C’è
dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo padrone e
per tutti. C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella
domanda del nostro lettore e che è bene segnalare. L’insidia è di
considerare l’Aldilà una sostanziale fotocopia dell’Aldiquà e
il mondo futuro una semplice replica (migliorata) di quello attuale.
Sarà invece un mondo nuovo, e non si insisterà mai abbastanza sulla
portata di questo aggettivo. I rapporti tra le persone e quelli con
gli animali non saranno più quelli odierni, ma saranno trasfigurati,
cioè trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi,
trasparenti, felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà
«tutto in tutti» (I Corinzi 15, 28).
tratto
dalla rubrica "Dialoghi
con Paolo Ricca"
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