5
Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale
Signore, e quanto a noi ci dichiariamo vostri servi per amore di
Gesù; 6
perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è
quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della
conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù
Cristo.
7 Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi. 8 Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; 9 perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; 10 portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo;
7 Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi. 8 Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; 9 perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; 10 portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo;
Il
logo attuale delle chiese valdesi, che risale alla metà del XVII
secolo (apparso per la prima volta nel 1640 sul frontespizio di un
libro di Valerio Grosso, allora pastore a Bobbio, una trentina di
anni più tardi lo si trova nell'opera di Jean Léger, Histoire des
Vaudois des Alpes) è un candeliere che regge una fonte di luce
(fiamma o candela) circondata da sette stelle e accompagnato da una
scritta "in tenebris lux"
o "lux lucet in tenebris".
Si tratta di riferimenti scritturali evidenti: la scritta è tratta
dal passo evangelico dove Gesù (Vangelo di Giovanni 1,5) è definito
la luce che risplende nelle tenebre. Le stelle si riferiscono alla
visione di Apocalisse 1,16, dove Cristo in gloria tiene nella mano le
stelle che rappresentano le sette chiese dell'Asia in crisi e
persecuzione. Con questo duplice riferimento biblico i valdesi
intesero affermare la loro volontà di fedeltà alla verità
evangelica e la certezza di essere custoditi da Cristo nella
persecuzione.
Ho
voluto partire da questo riferimento storici dello stemma della
chiesa valdese perché esso riassume il significato più completo del
nostro essere valdesi e della nostra storia.
La
partenza è dal primo capitolo della Genesi al versetto 3 dove Dio
disse: “Sia luce!” E la luce fu. Dio vide che la luce era buona:
e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce “giorno”
e le tenebre “notte”. Fu sera, poi fu mattina: primo giorno.
E
l'Evangelo di Giovanni ha un inizio diverso da quelli di Luca e
Matteo che sono stati citati nei racconti del Natale di Gesù: è un
inizio che si richiama appunto alla Genesi.
“Nel
principio era la Parola, la Parola era con Dio e la Parola era Dio.
Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di
lei: e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In
lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende
nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta”.
Nella
lettera di Paolo ai Corinzi l'Evangelo di Giovanni viene reso
esplicito attraverso questa frase: “Noi infatti non predichiamo noi
stessi, ma Gesù Cristo quale Signore, e in quanto a noi ci
dichiariamo vostri servi per amore di Gesù; perché il Dio che
disse: Splenda la luce fra le tenebre è quello che risplendè
nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della
gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo”.
Paolo
scrisse questa seconda lettera ai Corinzi non molto tempo dopo la
prima (si può pensare agli anni 56 e 57). A Corinto erano arrivati
in quel periodo dei nuovi apostoli, degli evangelizzatori che avevano
non soltanto preso le loro distanze dalla persona di Paolo (anziché
riconoscerne l'autorità e il ruolo di privilegio nei confronti dei
Corinzi, essendo egli il fondatore di quella comunità); ma
addirittura erano giunti a contestare la sua autorità di apostolo e
di padre della comunità di Corinto.
E'
quindi un momento particolarmente drammatico e difficile per Paolo.
Corinto
è una città della Grecia centro meridionale del Peloponneso la cui
prima chiesa cristiana fu fondata da Paolo nel 51 dopo Cristo.
Tra la prima e seconda lettera di Paolo ai Corinzi vi sono stati dei fatti drammatici sia per quanto riguarda Paolo che probabilmente finì in carcere, mentre era in Asia, sia per quanto riguarda la chiesa di Corinto che, a causa di “falsi apostoli” come li considera lo stesso Paolo, ebbe discussioni molto accese.
La lettera, come la definiscono alcuni commentatori, è molto emotiva e presenta alcune disorganicità: e così il tono di Paolo passa dall'amaro e sarcastico a quello magnanimo e fiducioso.
C'è da aggiungere, infatti, che la situazione della chiesa di Corinto dopo che il discepolo Tito che, probabilmente era il latore della lettera, si era andata riappacificandosi con Paolo.
Le difficoltà derivavano comunque da quelle che erano le abitudini di una città greca e influenzata dal paganesimo a quelli che erano gli insegnamenti Gesù portati attraverso Paolo.
Tra la prima e seconda lettera di Paolo ai Corinzi vi sono stati dei fatti drammatici sia per quanto riguarda Paolo che probabilmente finì in carcere, mentre era in Asia, sia per quanto riguarda la chiesa di Corinto che, a causa di “falsi apostoli” come li considera lo stesso Paolo, ebbe discussioni molto accese.
La lettera, come la definiscono alcuni commentatori, è molto emotiva e presenta alcune disorganicità: e così il tono di Paolo passa dall'amaro e sarcastico a quello magnanimo e fiducioso.
C'è da aggiungere, infatti, che la situazione della chiesa di Corinto dopo che il discepolo Tito che, probabilmente era il latore della lettera, si era andata riappacificandosi con Paolo.
Le difficoltà derivavano comunque da quelle che erano le abitudini di una città greca e influenzata dal paganesimo a quelli che erano gli insegnamenti Gesù portati attraverso Paolo.
Ci
possiamo gloriare nella debolezza perché sappiamo già che Cristo
vince la debolezza. In questo senso possiamo comprendere le
beatitudini riecheggiate da Paolo (v. 10): essere poveri, afflitti,
affamati, perseguitati non è di per sé bello; ma è motivo di
beatitudine nella prospettiva del regno di Dio, poiché ai poveri,
agli afflitti, agli affamati e ai perseguitati è rivolta la promessa
di vittoria, di giustizia, di consolazione e di pace. Così anche
capiamo la scelta dei primi valdesi che attualizzarono le beatitudini
nella loro vita concreta.
“Riconoscere
la nostra debolezza significa, in ultima istanza, riconoscere
l’efficacia della Parola di Dio”. Così scrive il pastore
Marcello Salvaggio. Che così continua:
“Riconoscere
la nostra debolezza significa, in ultima istanza, riconoscere
l’efficacia della Parola di Dio, nella provvisorietà e
inadeguatezza delle nostre parole e delle nostre azioni. Paolo vuole
dirci che l’efficacia della Parola è paradossalmente ancora più
forte nella nostra debolezza, se solo sappiamo riconoscerla. Così la
forza dei nostri culti, dei nostri catechismi, delle nostre riunioni
quartierali, delle nostre corali, della nostra diaconia, della nostra
evangelizzazione, non sta principalmente nella partecipazione delle
persone o nella capacità persuasiva dei nostri metodi. La nostra
forza è unicamente l’Evangelo che riusciamo ad annunciare in
qualsiasi contesto ci troviamo, anche se siamo un piccolo gruppo o
stiamo vivendo un momento di crisi della vita spirituale. Questa
forza non va sprecata perché è la potenza di Dio, ma va ricercata e
sostenuta nella preghiera. Nostro compito, nostra vocazione è dunque
unicamente di metterci al servizio di Cristo e dell’Evangelo, come
Paolo ci insegna”.
Questi
versetti del capitolo 4 della seconda Lettera ai Corinzi ricordano
bene che l'incontro con Dio, con Cristo può avvenire non solo da
parte di chi predica in una grande chiesa, ma anche da pastori di
piccole chiese magari frequentate da poche unità di fedeli.
Era
quanto mi era successo a Rapallo un bel po' di anni fa: ero entrato
per la prima volta nella mia vita in una piccola chiesa battista
durante una domenica di pioggia intensa.
Ero
un adolescente e stavo cercando un momento in cui meditare sul perché
della mia esistenza. Mi trovai così in un locale che probabilmente
era stato un garage. Quindi un locale in cui ben lontano era il
pensiero di trovarmi in una chiesa almeno così come l'avevo
concepita finora. Avendo frequentato finora solo grandi chiese
cattoliche la mia idea di luoghi di culto era quella di un vasto
locale con tante statue, con un crocefisso, candelabri, candele,
dipinti, tanta gente. Tutto questo mi trasmetteva ormai freddezza e
non riuscivo più a concentrarmi sulle parole che pronunciava il
sacerdote sull'altare.
Nel
piccolo e disadorno locale di Rapallo il pastore battista con un
vestito normale, in cui l'unico distintivo era una piccola croce
sistemata nell'asola sinistra del colletto della sua giacca stava per
iniziare il culto (non sapevo ancora che si chiamava così) seguito
da un'anziana signora e da un ragazzo dall'aria un po' trasognata. Io
ero il terzo partecipante e il pastore ringraziò Dio per avermi
condotto in quel luogo che per la prima volta mi fece assistere ad
una cerimonia religiosa diversa dal solito.
Mi
ricordo soltanto alcune frasi non molto cordiali nei confronti del
Vaticano e della chiesa cattolica romana e il tono di carattere
colloquiale ben lontano dalla retorica ecclesiastica che avevo
sentito nelle chiese fino ad allora frequentate.
Ho
raccontato questo episodio della mia prima visita in una chiesa
protestante perché leggendo alcuni brani della seconda epistola ai
corinzi mi sono ricordato che il significato di quel che voleva dire
Paolo era proprio che l'incontro con Dio può avvenire anche da parte
di una persona semplice e la sua parola può essere trasmessa anche
in un locale altrettanto semplice.
Una
parola che può essere contenuta in un fragile vaso di creta ma non
per questo non meno importante e significativa: un vero e proprio
tesoro.
Questi
brani si adattano bene alle vicende delle nostre chiese. Poco fa ho
parlato di una chiesa battista in cui vi erano tre persone, ma oggi
potrei parlare anche della nostra chiesa valdese in cui diventa
sempre più difficile incontrare una decina di persone.
Eppure
questa chiesa valdese nata nella seconda metà del 1100 è sempre
stata frequentata da una sparuto numero di persone, all'inizio a
causa delle persecuzioni che decimavano le sorelle ed i fratelli di
allora la cui colpa era quella di leggere la Bibbia o pregare. Oggi
il numero ridotto è causa di una sempre più fragile attenzione
verso i culti di adorazione, ma la scintilla che ha dato origine al
movimento valdese non si spegne.
E
proprio nelle settimane scorse abbiamo assistito a culti realizzati
insieme al nostro pastore Marco Gisola dai bambini e bambine, dai
ragazzi e dalle ragazze della nostra chiesa.
Vi
è quindi una trasmissione della fede, delle nostre idee religiose
magari in modo discontinuo ma che dura nel tempo.
Sono
passati quasi vent'anni da quel 19 giugno 1997 i cui il pastore
Jonathan Terino mi regalò a nome della Comunità questa Bibbia che
oggi sto leggendo.
Anche
in quel caso il brano scelto fu scritto da Paolo della seconda
lettera a Timoteo . Con scrittura minuta ma chiara Jonathan
trascrisse questi versetti che mi rimasero sempre impressi anche nei
momenti in cui la fede mi appariva sempre più difficile da
professare.
Voglio
leggere questi versetti tratti dal capitolo 2 versetti 11: “Certa è
questa affermazione: se siamo morti con lui, con lui anche vivremo;
se abbiamo costanza, con lui anche regneremo; se lo rinnegheremo
anch'egli ci rinnegherà; se siamo infedeli, egli rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso”.
Nessun commento:
Posta un commento