VITA
DELLA PRIMA CHIESA
Atti 4,42-47
Sorelle
e fratelli carissimi,
Eccomi
nuovamente in mezzo a voi per celebrare questo giorno di domenica,
giorno del Signore. Quindici giorni fa, si celebrava la festa della
Pentecoste che ricorda il dono dello Spirito santo, che è la forza
che anima la Chiesa. Ho quindi scelto per questa domenica di
riflettere su ciò che caratterizzava la vita della prima
Chiesa, come la descrive Luca negli Atti degli apostoli.
S’impone
però una prima osservazione: ho parlato della “prima Chiesa”,
mentre in realtà, all’indomani della Pentecoste, Luca non
parla ancora di Chiesa; parla di “fratelli” o di quelli che
“hanno accolto la Parola”. La parola “Chiesa” appare
stranamente nel libro degli Atti solo al capitolo 5, alla fine
del tragico episodio di Anania e Saffira, come se si potesse parlare
di Chiesa solo dopo che essa ha fatto l’esperienza del peccato
(At 5,11). Qualcosa di simile era capitato anche a Israele. Al
momento dell’uscita dal paese di Egitto, gli israeliti,
ricordate, iniziano una lunga traversata del deserto, ma
quasi subito iniziano le mormorazioni e le ribellioni contro Mosè…
e contro Dio: chi ci darà dell’acqua, della carne… in
Egitto eravamo schiavi, ma almeno si mangiava, invece, tu, Mosè,
ci hai condotti qui per farci morire. Appena dopo questa
descrizione delle tentazioni nel deserto e dopo la
punizione per mano di Amaleq, il testo dell’Esodo dice:
I
figli d’Israele arrivarono nel deserto del Sinai e si accamparono
nel deserto. E continua: Israele si accampò qui (Es 19,2).
Questo
passaggio dal plurale (i figli d’Israele) al singolare
(Israele) è commentato dai rabbini come il risultato delle
prove subite nel deserto: solo dopo di esse le folle uscite
dall’Egitto sono diventate “il popolo d’Israele”: un
popolo segnato dalla prova, ma che ormai ha conquistato una
unanimità. Allo stesso modo potremmo dire che dopo la
Pentecoste i cristiani non sono ancora la Chiesa, ma una folla
di persone un po’ disparate. Appena prima del nostro testo,
Luca scrive:
Quelli
che accolsero la parola (di Pietro) furono battezzati e quel giorno
circa tremila persone si aggiunsero a loro (At 2,41).
Queste
persone sono tuttavia una realtà importante. Pensate: 3000 persone
dopo una sola predicazione! È ciò che permette a Luca di tracciare
un primo ritratto di quei cristiani e questo ritratto ci deve
servire di specchio nel quale siamo chiamati a guardarci
anche per verificare ciò che noi siamo realmente. Ecco allora il
nostro testo: ciò che caratterizza quest’assemblea è una
quadruplice perseveranza:
Erano
perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione,
nella frazione del pane e nelle preghiere.
Notiamo
anzitutto che la prima caratteristica è la perseveranza.
All’inizio del nostro cammino nella vita cristiana, forse non
abbiamo dato troppo peso a questa parola, c’interessava di più
il contenuto della nostra fede, la sua espressione retta e
buona. Ricordo, ad esempio, e ciò mi sembra significativo,
di tre sorelle di questa chiesa di Biella i cui nomi esprimevano bene
l’intenzione dei loro genitori. La prima si chiamava Nella, la
seconda Vera e la terza Luce. Era questo che contava – ed era
giusto! –: vivere alla luce di Colui che è la vera luce. Oggi però
siamo andati – un po’ tutti – avanti negli anni, e ora
misuriamo meglio l’importanza di questa prima caratteristica.
Essere cristiani implica anzitutto di imparare a durare, un po’
come fece Gesù poco dopo la sua trasfigurazione. Luca
scrive che Gesù “rese duro il suo volto per andare a
Gerusalemme” (Lc 9,51), espressione che si rende
solitamente così: “Gesù si mise risolutamente in cammino per
andare a Gerusalemme”. Notiamo però che è il volto di Gesù
che si rende duro, non il suo cuore! Se la perseveranza contiene
per noi l’idea di resistenza, e quindi di combattimento per
durare, non è l’idea che prevale nel verbo greco, il quale
contiene invece l’idea di “essere disponibili” o di “mettersi
alla disposizione di qualcuno”. La perseveranza è un lavoro su se
stessi per rendersi disponibili agli altri, ma anche agli eventi
e a ciò che ci capita.
Viene
poi precisato il contenuto di questa perseveranza: sono quattro
attività che certamente evocano la convinzione di Israele per il
quale “il mondo poggia su tre colonne: la torà, cioè
la Scrittura, la ‘avodà, cioè il culto, e le opere di
misericordia”. Ma mentre Luca riprende la convinzione
ebraica, ne modifica sensibilmente il contenuto.
Anzitutto
la torà diventa, sotto la penna di Luca, l’insegnamento
degli apostoli. La modifica non sta tanto nel fatto che Luca
sostituisce allo studio di un testo, quello di una parola viva. Per
Israele infatti la torà non è solo la Scrittura, ma la
rivelazione che Dio ha dato di sé sul Sinai, la quale si trova nelle
Scritture certo, ma lette e reinterpretate alla luce della fede. Nei
due casi l’accento cade sulla parola viva (degli apostoli per
i cristiani, dei rabbini per gli ebrei) che spiega la parola scritta.
Per i cristiani però, e là si trova la loro particolarità,
questa parola vivente è il Cristo così come lo raccontano
quelli che hanno vissuto con lui e l’hanno seguito sulle strade
della terra d’Israele.
Viene
poi, per Luca, la comunione, che corrisponde alle opere di
misericordia della tradizione ebraica. Luca quindi rovescia le
priorità: la comunione precede il culto, conformemente alla
parola detta dal Signore:
Se
dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti
ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là la
tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti
con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta (Mt 5,23-24).
Il
seguito del testo mostra bene quanto questa comunione non è
solo spirituale: si tratta in primo luogo di una messa in
comune di ciò che i cristiani hanno, di un mettere alla
disposizione di tutti ciò che ciascuno ha. È precisamente a
questo proposito che si verificherà il peccato di Anania e
Saffira. La posta in gioco nella comunione è fondamentalmente
l’identità cristiana: “se siamo stati totalmente uniti al
Cristo” (per riprendere l’espressione di Paolo, Rm 6,5), formiamo
un solo corpo nel quale ogni singolo membro dipende di tutte le
altre. La comunione è come la vita che anima e costruisce il
corpo.
Infine
Luca parla di preghiere e di frazione del pane,
laddove la tradizione ebraica parla di ‘avodà, di
culto. Forse con ciò Luca intende precisare da una parte che i
cristiani continuano a partecipare alla preghiera del
tempio, insieme con gli ebrei; il Cristo non ha chiesto a loro di
abbandonare la religione dei loro padri. È proprio ciò che
sottolinea chiaramente il testo che abbiamo letto: “ogni
giorno andavano assidui e concordi al tempio”. Ma Luca vuole anche
sottolineare che i cristiani hanno in più una preghiera
particolare, specifica: la “frazione del pane” – ciò che
chiamiamo la santa cena – grazie alla quale essi esprimono che la
loro comunione non è una semplice associazione o un
raggruppamento per sostenersi a vicenda ed essere più forti, ma la
partecipazione alla vita stessa di colui che, nel suo amore, ha
dato la sua vita per loro, come per noi. È significativo che Luca
non si preoccupi qui della preghiera individuale – che
evidentemente conosce e che per lui va da sé – ma della
preghiera comune e quindi liturgica: la partecipazione alla
preghiera nel tempio, e la celebrazione della santa cena. Anche se
situata in terza posizione, la pratica liturgica rimane
un’attività particolarmente essenziale, perché essa indica
la fonte da cui i cristiani traggono la loro esistenza, la loro
comunione, la loro comprensione dell’insegnamento degli
apostoli e la loro forza di perseverare nella loro fede,
nonostante le difficoltà.
In
questo tempo del dopo Pentecoste, chiediamo al Signore di dare
anche a noi quella forza di perseverare, senza stancarci,
nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna – che
occorre rinnovare ogni giorno – e nella frazione del pane e
nelle preghiere. E perché non chiederci come mai possiamo celebrare
tante domeniche senza rinnovare quel gesto – così
specifico dei cristiani – della frazione del pane? Essa era ed è
tuttora per molti cristiani ciò che fa della domenica un giorno
diverso dagli altri, il giorno del Signore!
In
queste perseveranze troviamo e troveremo la forza di essere su questa
terra dei segni viventi e gioiosi dell’amore col quale Dio ama, in
Cristo, il modo intero. A Lui siano rese ogni lode e ogni gloria ora
e per i secoli senza fine. Amen.
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