Romani
11,33-36
Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di
Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue
vie!
Infatti «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato
suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il
contraccambio?»Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui
sia la gloria in eterno. Amen.
Quanto
conosciamo Dio? Quanto siamo a conoscenza dei suoi progetti e dei
suoi giudizi? Molto poco dice Paolo in questa specie di inno, che
inserisce a questo punto della lettera ai romani.
Colpisce
questa frase a questo punto: Paolo ha appena scritto scritto pagine e
pagine proprio su Dio, e nella parte che viene appena prima di queste
parole ha affrontato in tre capitoli il delicatissimo tema del
rapporto tra Dio e Israele.
Paolo
ha appena parlato finora proprio dei giudizi di Dio e delle sue vie,
per esempio quando due versetti prima ha scritto, riferendosi a
Israele, che “i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili”.
Eppure,
dopo aver scritto undici densi capitoli su Dio, anche Paolo deve
ammettere: quanto poco conosco Dio, anzi quanto poco è possibile
conoscere Dio: “Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e
ininvestigabili le sue vie!”.
Nessuno
può pretendere di essere un consigliere di Dio, cioè di saperne più
di lui; e nessuno può pretendere di avere qualcosa da offrire a Dio
per averne un contraccambio, cioè di essere più ricco di lui. No,
non è possibile. La profondità della ricchezza, della sapienza e
della scienza di Dio sono
qualcosa di troppo grande per noi. Dio sa, noi no, noi non sappiamo,
non sappiamo quasi niente di Dio.
E
allora? Dobbiamo disperarci? Dio ci lascia brancolare nel buio? Paolo
non sembra affatto disperato, anzi, Paolo conclude questo inno con
una breve frase che contiene una specie di confessione di fede e una
lode: Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte
le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.
Perché
da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose è una
piccola confessione di fede; Paolo ci dice che tutto esiste perché
viene da Dio, grazie a Dio e per Dio. Anche noi. Anche tu esisti
perché vieni da Dio, che ti ha dato la vita, grazie a lui che ti ha
non solo creato, ma anche redento in Cristo e per lui, per vivere una
vita alla sua gloria, cioè una vita piena di senso e di speranza.
E
poi A lui sia la gloria in eterno. Amen è una lode: se Paolo
fosse disperato per il fatto di conoscere così poco di Dio non
concluderebbe con una lode. A lui sia la gloria in eterno. E
l’ultima parola Amen vuol dire in fondo: non c’è nulla da
aggiungere, è tutto.
Ho
scritto pagine e pagine su Dio e sulla sua grazia e ho addirittura
provato ad affrontare il rapporto di Dio e della sua grazia nei
confronti di Israele, perché non potevo non farlo, ma adesso la mia
ultima parola è: quanto poco conosco Dio, la mia ultima parola non
può che essere questa: Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e
ininvestigabili le sue vie!
Che
cosa vuol dirci Paolo con tutto questo? Non cade in contraddizione?
Prima parla a lungo di Dio, poi dice che le sue vie non le possiamo
conoscere e poi termina con una lode.
Che
cosa ci vuol dire? Io penso che Paolo ci voglia dire che, è vero che
conosciamo molto poco Dio, che non conosciamo quasi nulla di Dio, ma
che quel poco che conosciamo ci basta, è sufficiente, anzi
più che sufficiente.
Più
che sufficiente per confessare la nostra fede e per lodarlo. Più che
sufficiente per avere fiducia e per essergli grati. Gesù non è
venuto invano, è venuto a farci conoscere tutto quello che ci serve
per avere fiducia e per lodare Dio.
È
chiaro che di Dio conosciamo solo un frammento, che non lo conosciamo
quasi per nulla, ma appunto quasi per nulla, perché
quello che conosciamo, perché Gesù Cristo ce lo ha fatto conoscere,
ci basta, ci basta per vivere nella fiducia e nella lode, nella
speranza e nella gioia, nell’obbedienza e nella comunione.
E
di conseguenza ciò che non conosciamo di Dio non sarà più così
importante, perché ciò che conosciamo è l’essenziale. Conosciamo
l’essenziale di Dio ma anche l’essenziale di noi stessi.
Perché
in realtà anche di noi stessi in fondo conosciamo poco. Tanti
aspetti di noi stessi ci sono sconosciuti, certe nostre azioni,
reazioni, modi di fare e di agire non dipendono sempre dalla nostra
volontà, ma da come siamo fatti dentro, nel profondo.
Del
resto anche Paolo lo dice quando afferma che non fa il bene che vuole
fare, ma fa il male che non vorrebbe fare.
Ma
al di là della psicologia, la questione è un altra: la parola di
Dio non ci rivela soltanto chi è Dio, ma ci rivela anche chi siamo
noi. Ci dice, anche se non vorremmo mai ammetterlo, che siamo esseri
bisognosi di perdono.
Siamo
esseri bisognosi di perdono perché siamo incapaci di amare
veramente, siamo incapaci a volte persino di vedere il nostro
prossimo e le sue necessità, di accorgerci dell’altro e di che
cosa ha bisogno, perché tendiamo a mettere noi stessi al centro di
tutto.
Anche
quando amiamo, lo facciamo spesso per essere amati a nostra volta.
Quando parliamo di giustizia, pensiamo spesso ai nostri diritti e
così via. Tendiamo a metterci sempre al centro, che è un
atteggiamento molto umano, ma ingiusto.
Tutto
questo noi non vorremmo vederlo e spesso cerchiamo di non vederlo, ma
il Signore ce lo viene a dire: per questo Gesù è venuto tra noi.
Gesù
ci ha insegnato a mettere al centro l’altro, il prossimo, che è
una cosa molto difficile, e per impararla abbiamo davvero bisogno di
lui. Lui stesso ha vissuto mettendo non se stesso al centro ma le
persone che incontrava, dagli ammalati alle folle affamate, a tutte
le persone bisognose di guarigione e di perdono.
E
come ci dice che non siamo capaci ad amare? Amandoci! Gesù ci ha
amato fino alla croce, morendo per quelli che lo hanno abbandonato,
anzi di più: persino per quelli che lo hanno crocifisso!
Ecco
l’essenziale che grazie a Gesù ora conosciamo: che siamo incapaci
ad amare, ma che ciononostante siamo amati. E che l’amore di cui
Dio ci ha amati in Gesù vuole trasformarci.
Nei
primo versetti del capitolo successivo Paolo scrive: Non
conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il
rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza
quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.
L’amore
di Dio vuole trasformarci, vuole trasformare la nostra mente, cioè
il nostro modo di pensare e di vedere Dio e gli altri esseri umani.
Vuole che conosciamo – di nuovo questo verbo – quale è la sua
buona, gradita e perfetta volontà.
Dio
non è il giudice, ma è il Dio di grazia, il Padre misericordioso da
cui si può tornare anche quando si è toccato il fondo, come il
figlio della parabola.
E
gli altri non sono più estranei, ma sono il nostro prossimo, non
importa se ci sono simili oppure no, non importa nemmeno se li
conosciamo bene oppure no. Il samaritano della parabola non conosceva
l’uomo ferito che ha soccorso e non l’ha mai conosciuto: è stato
il suo prossimo nel momento in cui aveva bisogno di lui, punto e
basta.
Per
concludere, non è dunque un male se non conosciamo tutto di Dio, se
i suoi giudizi rimangono inscrutabili e le sue vie
rimangono ininvestigabili. In Gesù abbiamo conosciuto
l’essenziale, cioè la sua volontà di grazia e di riconciliazione.
Questo
ci basta. Ci basta per credere, ci basta per sperare, ci basta per
vivere con fiducia e gratitudine la nostra esistenza quotidiana, i
momenti belli della vita e anche quelli faticosi e dolorosi.
Ci
basta per amare, per vivere la meraviglia dell’amore libero e
gratuito, che non ha secondi fini, e ci basta per gioire quando
questo amore viene donato e ricevuto.
Ci
basta per lodare il Dio che ha fatto tutto
ciò e ha reso possibile tutto ciò e dirgli anche noi: A
lui sia la gloria in eterno. Amen
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