mercoledì 13 luglio 2016

Predicazione di Domenica 3 luglio 2016 su Romani 6,1-14 a cura di Marco Gisola

Romani 6,1-14

1 Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? 2 No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso?
3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. 5 Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. 6 Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; 7 infatti colui che è morto è libero dal peccato. 8 Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, 9 sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10 Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. 11 Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù.
12 Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidire alle sue concupiscenze; 13 e non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio;
14 infatti il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia.

1. Paolo, in questo primi versi del capitolo 6, parla del battesimo e questo testo è molto importante per la comprensione paolina del battesimo. Ma non è il battesimo il tema centrale di questo brano, il tema è la nuova vita del credente. Paolo parla del battesimo perché il battesimo è il segno o il sacramento che significa o annuncia l’evento centrale della salvezza, cioè la morte e la resurrezione di Gesù: Gesù è morto e risorto per te e il tuo battesimo ne è il segno, ne è l’annuncio, ne è la testimonianza. Un conto è dire: Gesù è morto e risorto per tutti, per l'umanità. Un altro conto è dire Gesù è morto e risorto per te. Come scrive Paolo Ricca nel libro che stiamo leggendo insieme, tu sei stato battezzato sul Golgota, nel luogo e nel momento in cui Gesù è morto per te. Il tuo battesimo significa che quella morte e la resurrezione che è seguita due giorni dopo sono accadute anche per te.
Sapete che nella nostra visione riformata non è che nel battesimo accade qualcosa di speciale, tanto meno non diremmo che si viene salvati attraverso il battesimo. Piuttosto possiamo dire che il battesimo è il segno, la testimonianza e l’annuncio della salvezza per chi riceva il battesimo. Gesù è morto e risorto per te anche senza il tuo battesimo, ma il tuo battesimo lo esprime e lo annuncia. Milioni di credenti sono stati e sono battezzati e questo fatto è il segno che il segno della salvezza è posto su molti e su ognuno, significa che la salvezza è per molti e per ognuno, è universale e personale contemporaneamente.
2. ma il tema di questi versetti non è principalmente il battesimo, bensì la vita del credente, semplificando potremmo dire che la domanda è: che cosa significa per noi che Cristo è morto e risorto per noi? Il testo di Paolo è molto complesso, perché la questione è complessa. Tra l’altro ho preferito leggere tutti i primi 14 versetti di questo capitolo, anziché soltanto i vv. da 3 a 8 indicati da lezionario, perché mi sembrava difficile tagliare il ragionamento che Paolo qui porta avanti, continuando ciò che aveva detto due versetti prima, alla fine del cap. 5:
Paolo scriveva: “dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (5,20) e qui riprende questa questione chiedendosi: Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? Dunque: siamo nella grazia o siamo nel peccato? O siamo in tutti e due? La questione è complessa e una delle ragioni per cui questo testo è complesso è perché in esso si incrociano due punti di vista, quello di Dio e quello umano.
Alcune affermazioni sono molto nette e affermano la grazia di Dio: “siamo stati sepolti con lui”, il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui”, e affermano che il peccato e il “vecchio uomo” appartengono al passato, come se il peccato, appunto, non ci riguardasse più.
Le affermazioni nette che esprimono la salvezza avvenuta sono il punto di vista di Dio: Dio ci salva nella sua grazia e dunque ai suoi occhi siamo salvati, questo è un fatto, che per noi è un dono, è opera di Dio che non può essere annullata. Per questo Gesù è morto, per compiere questa opera di salvezza, per compierla completamente, non un pezzettino, non a metà e nemmeno al 99 per cento. La salvezza è un 100%, nulla di meno, perché per nulla di meno Cristo è morto.
Altre affermazioni invece sono inviti, esortazioni rivolti al credente: “Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale”, oppure frasi che mettono davanti a una scelta: “non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio”. Queste frasi rappresentano il nostro punto di vista. E se il punto di vista di Dio è quello della certezza della salvezza, il nostro punto di vista è quello della lotta contro il peccato.
La salvezza è grazia nel senso che siamo graziati, ovvero ci è risparmiata la condanna, ma la colpa rimane. Non siamo certo senza colpa, non siamo senza peccato, ma anzi dobbiamo quotidianamente lottare contro questa colpa e contro questo peccato. Possiamo prestare le nostre membra al peccato come strumenti di iniquità oppure possiamo presentarle a Dio, come strumenti di giustizia. Le membra sono il nostro corpo, e spesso questo brano è stato interpretato in senso sessuale, ma per Paolo il corpo è molto di più, il corpo è la nostra intera persona, le nostre azioni, le nostre relazioni, le nostre scelte.
Possiamo scegliere bene o scegliere male, scegliere ciò che è sbagliato o scegliere ciò che è giusto. Questo vuol dire Paolo. Questa è la nostra realtà quotidiana, la nostra lotta quotidiana, lotta con noi stessi, con la parte egoista di noi stessi, con la parte che non vuole vedere il prossimo come prossimo, che non vuole vedere il prossimo come fratello o sorella, ma come avversario o nemico. Questa lotta è un fatto ed è così che viviamo il peccato dal nostro punto di vista umano. Ed è altrettanto un fatto che questo peccato contro cui lottiamo è stato vinto una volta per tutte da Gesù nella sua morte e resurrezione, anche se noi continuiamo a subirne gli effetti. Sono due fatti tutti e due veri, e guai se ne dimentichiamo uno dei due.
Se dimentichiamo il nostro peccato cadiamo nell’illusione di essere perfetti, di essere senza peccato e quindi nell'orgoglio e nella presunzione. Se dimentichiamo la grazia, il nostro peccato ci schiaccia e rischiamo di disperare della salvezza, cioè di non crederci più, di considerarla impossibile. Dobbiamo quindi tenere insieme queste due realtà: la realtà del nostro peccato e la realtà della nostra salvezza. Solo così evitiamo sia la presunzione di essere innocenti, sia la disperazione del colpevole.

3. Più volte in questo brano ritorna l’idea che il credente sa certe cose: all’inizio nella domanda retorica “O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?più avanti quando Paolo scrive: Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui. E poi ai vv. 8-9 quando scrive “Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più”. Qui non usa solo il verbo sapere, ma anche il verbo credere.
Paolo scrive ai cristiani di Roma, che non conosce, perché non è una comunità che ha fondato lui e non ci è mai stato anche se desidera tanto andarci, scrive loro perché sappiano e perché credano. Il sapere del cristiano non è un sapere fine a se stesso, un sapere per la soddisfazione di sapere, ma un sapere per credere. Che cosa, dunque, desidera Paolo che i cristiani di Roma credano?
Se riprendiamo l’immagine dei due punti di vista quello di Dio - ovvero della grazia - e il nostro - ovvero quello della lotta contro il peccato, potremmo dire che Paolo desidera che i cristiani di Roma credano nel punto di vista di Dio, senza ovviamente perdere il loro. Perché il peccato si vede, la lotta contro il peccato che è dentro di noi la conosciamo, perché la portiamo avanti ogni giorno e a volte ci fa stare male. Ma la grazia? Il fatto che questo peccato contro cui lottiamo è già stato sconfitto sulla croce e non può vincere? Questo non è per nulla evidente, anzi cozza contro la realtà che viviamo e vediamo ogni giorno.
Per questo è necessario crederci. Per questo è necessario sapere e credere che, come scrive Paolo, “il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia”. “Non avrà più potere su di voi” è il futuro, il futuro del Regno. Per ora ha potere su di noi e dobbiamo impiegare tutte le nostre forze per opporci a esso. Ma questo peccato – di cui Paolo parla come se fosse quasi una persona – non vincerà, perché Cristo lo ha vinto.
Questa Parola di oggi ci invita a credere che siamo qualcos'altro rispetto a quello che sappiamo e vediamo di noi stessi. Noi ci percepiamo come essere fragili e come persone colpevoli, e lo siamo. Ma non siamo solo questo. Siamo persone che tentano di camminare in novità di vita e di essere strumenti di giustizia, ma che raramente ci riescono. Ma non siamo solo questo.
Non siamo solo questo. Siamo anche ciò che Cristo ci ha resi: peccatori perdonati, colpevoli graziati. Il Signore ci aiuti a credere questo e questa certezza sia più forte di tutte le altre.


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