Luca
23,33-43
33
Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero
lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte.
35 Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!» 36 Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell'aceto e dicendo: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!»
38 Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.
39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 40 Ma l'altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso».
34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte.
35 Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!» 36 Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell'aceto e dicendo: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!»
38 Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.
39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 40 Ma l'altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso».
Con
questo culto siamo al centro, al cuore dell’evangelo: Gesù muore
per noi, muore lui, innocente, per noi colpevoli. Gesù, innocente,
condivide la sorte dei colpevoli per salvare i colpevoli. Su questo
brano vorrei condividere con voi tre pensieri:
1.
Le parole di Gesù «Padre, perdona loro, perché non sanno quello
che fanno» ci vogliono subito dire quale è, in Luca, il
significato principale della sua morte: il perdono.
La morte di Gesù è l’evento attraverso cui Dio perdona i
colpevoli, cioè è un vero perdono di chi veramente ha sbagliato, di
chi veramente ha fatto del male. Qui Gesù non sta parlando in
generale, sta parlando di chi e sta perdonando chi in quel momento lo
sta uccidendo…!
Nel
racconto della crocifissione dn Luca il tema del perdono è centrale.
Gesù perdona fino alla fine; al contrario di quel che ci dicono
Marco e Matteo, secondo Luca Gesù non prega con le famose parole del
salmo 22 “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”, non
sembra provare angoscia o rabbia o paura, Gesù è pienamente in sé
e svolge il suo compito fino alla fine: anche morendo perdona.
2.
Gesù resiste alla tentazione di scendere dalla croce. Questo
racconto ha una analogia con quello delle tentazioni di Gesù su cui
abbiamo riflettuto alcune settimane fa.
Chi
sta crocifiggendo Gesù dice: «Ha salvato altri, salvi se stesso,
se è il Cristo, l'Eletto di Dio!»; «Se tu sei il re dei Giudei,
salva te stesso!». Proprio
come nel racconto delle tentazioni c’è la parolina “se” che
esprime la tentazione cui
Gesù è sottoposto.
Se
sei Dio, fai questo e quest'altro, cioè fai quello che voglio io. Se
vuoi che creda in te, fai quello che voglio io. Le tentazioni del
diavolo erano di altro genere, ma anche lì c’era questa specie di
ricatto: se sei il figlio di Dio, fai questo, fai quell’altro. Se
non lo fai, non sei il figlio di Dio.
Salva
te stesso, gli dicono qui.
Ma Gesù non è venuto per
salvare se stesso, è venuto per salvare altri, per salvare noi. È
venuto a fare il contrario di quello che gli esseri umani (e il
diavolo nel racconto delle tentazioni)
gli chiedono:
è venuto non
a salvare se stesso,
ma a dare
se stesso,
la sua vita,
per salvare altri, non a salvare se stesso a scapito di altri, come
in genere fanno gli esseri
umani.
Perché
lo insultano in questo modo? Perché chi crocifigge Gesù è convinto
che Gesù sia un finto messia, cioè sia un bugiardo quando dice di
essere il figlio di Dio. Perché pensano sa un finto messia? Perché
secondo gli ebrei che hanno respinto Gesù il messia doveva essere
potente, doveva essere forte e hanno creduto
questo ancora fino alla domenica delle Palme, quando lo hanno accolto
trionfalmente.
E
per i romani, che non credevano nel messia, vale
però lo stesso discorso:
un re doveva essere un re forte e potente, altrimenti
non era un re, era un impostore.
Gesù
non cede alla tentazione della forza, rimane debole fino alla fine,
per questo è (umanamente) sconfitto, crocifisso, punito per questa
sua pretesa bugiarda.
Che
Gesù non dicesse bugie, che Gesù era veramente il messia, ce lo
dice solo la sua resurrezione il mattino di Pasqua, che però di
nuovo non è per nulla evidente, non è una manifestazione di forza
evidente a tutti (infatti alcuni crederanno che il corpo sia stato
rubato).
Che
Gesù è il figlio di Dio ce lo dice, paradossalmente, la croce.
Pasqua conferma la croce, a risuscitare sarà il crocifisso, non
qualcun altro.
La
regalità di Cristo ci viene rivelata solo nella croce e poi nella
Pasqua. Sulla croce c’è l’iscrizione che hanno fatto
scrivere i romani (Giovanni ci dice Pilato stesso): “Questo è il
re dei Giudei”.
Questa
scritta è allo stesso tempo ironica e profetica. Ironica, perché
scrivere sopra la testa di un uomo che viene crocifisso che è re è
una grossa umiliazione. Ma anche profetica, perché chi crede in lui
sa che Gesù è veramente re, anche se il suo regno non è di questo
mondo. Pilato è involontariamente profeta e dichiara a tutto il
mondo che Gesù è re…!
Gesù
non cede alla tentazione, che noi gli poniamo, di usare la forza per
dimostrare la sua messianicità, ma sceglie la via della debolezza,
che chiede la nostra fede. Sia la croce, sia la Pasqua chiedono la
nostra fede, la nostra fiducia, perché non sono evidenti. Non è la
forza dell’evidenza quella che usa Gesù, è un’altra forza,
quella del dono e del perdono. Una forza che vede e crede solo chi lo
incontra.
3.
Tra i tanti che lo insultano, c’è anche uno dei due cosiddetti
ladroni. Potrebbero essere degli zeloti, cioè dei rivoluzionari che
volevano ribellarsi con la forza contro i romani, oppure potrebbero
essere criminali comuni, dei comuni ladri.
Dei
due uno lo prende in giro come molte altre persone, anche lui lo
invita a salvare se stesso. l’altro invece non solo non insulta
Gesù, ma gli fa una domanda inconsueta che sembra dirci che lui ha
capito chi Gesù è veramente: gli chiede: «Gesù, ricòrdati di
me quando entrerai nel tuo regno!».
Il
malfattore “buono” non chiede che Gesù scenda dalla croce, ma
chiede di partecipare al suo regno e sembra capire che il regno passa
attraverso la croce. “Regno” è stata la parola centrale della
predicazione di Gesù e il malfattore sembra riconoscere che Gesù è
portatore di un Regno nuovo e diverso da tutti i regni.
A
riconoscerlo come re mentre sta per morire è un povero criminale,
condannato a morte anche lui nel medesimo modo, un crocifisso come
lui, riconosce nel Gesù crocifisso il re, cioè il messia, e gli
chiede di far parte del suo regno.
Questo
uomo, crocifisso insieme a Gesù, è l’ultimo essere umano che gli
rivolge la parola, l’ultimo con cui Gesù ha un dialogo; il
racconto proseguirà raccontando la morte di Gesù. Gesù pronuncerà
ancora una frase, ma sarà rivolta a Dio, a cui dirà una parola
piena di fiducia: “Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito”.
L’ultimo
dialogo di Gesù con una persona contiene una implicita confessione
di fede, perché se l’uomo chiede di poter entrare nel suo regno è
perché ci crede, e allo stesso tempo una preghiera, a cui Gesù
risponde con la promessa: «oggi tu sarai con me in paradiso».
Paradiso
è un parola che nella Bibbia troviamo soltanto tre volte (2 Corinzi
12:4; Apoc, 2,7); viene dalla lingua persiana, e indica un giardino.
Con questa parola greca, la traduzione greca dell’AT chiama il
giardino di Eden di Genesi 2.
Così
evidentemente si immaginavano l’aldilà gli ebrei che credevano
alla resurrezione.
C’è
quindi un annuncio del regno che Gesù fa un attimo prima di morire.
E a chi la fa? Non a un discepolo, ma uno sconosciuto, un ladruncolo
(o uno zelota, la sostanza non cambia) che glielo chiede in una
specie di preghiera.
Il
re del regno di Dio, il messia figlio di Dio, accoglie nel suo
giardino, promette il suo regno a un malfattore, che glielo ha
chiesto.
Questo
ci dice che non è mai tropo tardi, per chiedere a Gesù il suo
perdono. E nessun uomo, nemmeno il più colpevole, è escluso dalla
possibilità di chiederglielo. Come ci dice Luca, nemmeno un
delinquente crocifisso accanto a Gesù è escluso dal chiedergli
grazia e dall’ottenere la grazia di Dio.
La
parola di oggi ci dice che non è mai troppo tardi per chiedere il
perdono di Dio e che non c’è nessuno che ne è escluso a priori:
questo è l’evangelo della settimana santa e di Pasqua.
Che
il Signore ci dia di cogliere tutti i giorni che “oggi” - come
dice Gesù al malfattore - è il momento giusto per chiedere a Dio
di accoglierci nel suo regno. La risposta sarà anche per noi: “oggi
sarai con me in paradiso”.
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