Ebrei
4,12-13
Infatti
la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque
spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo
spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i
pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi
davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli
occhi di colui al quale dobbiamo render conto.
Oggi
iniziamo un ciclo di quattro predicazioni proposto dai pastori del
circuito su invito del consiglio del circuito. L’obiettivo era
quello di riflettere sulla comunità e sulle relazioni al suo
interno, spesso segnate da conflitti. Come tema generale abbiamo
quindi pensato alla “edificazione” della Comunità
Iniziamo
con questo brano della lettera agli Ebrei, libro biblico non molto
conosciuto, anche se il nostro lezionario comprende diversi testi
tratti da questa lettera. La lettera agli Ebrei, nonostante il nome,
non parla a ebrei, ma probabilmente a cristiani provenienti
dall’ebraismo. Viene chiamato “lettera” ma in realtà è più
un piccolo trattato che vuole istruire e edificare una comunità,
anche se non si sa quale comunità.
La
lettera agli Ebrei non inizia come una lettera, non ci sono saluti,
ma finisce con dei saluti e l’autore dice: “quelli d’Italia vi
salutano” e menziona Timoteo, per cui nell'antichità si è pensato
che l’autore fosse Paolo.
Il
linguaggio però è molto diverso da quello delle altre lettere di
Paolo, cosa che porta molti studiosi moderni a dire che questa
lettera non è di Paolo e che quindi non si sa chi l’abbia scritta
e nemmeno a chi sia stata scritta e quando.
Già
un padre della chiesa – Origene – nel terzo secolo diceva che
solo Dio sa chi abbia scritto questa lettera…
La
caratteristica
di questa lettera è il fatto che Gesù è descritto come il grande
sommo sacerdote. Utilizzando il linguaggio
del culto sacrificale, Ebrei ci dice che Gesù è allo stesso tempo
il sacerdote e la vittima del sacrificio che è stato la sua morte.
“Ma
venuto Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, egli, attraverso un
tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo,
cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel
luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il
proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna.
(9,11-12)
Il
sacrificio di Cristo è stato l’ultimo sacrificio. Proprio questo
fatto ha spinto i Riformatori a contestare l’idea medievale della
messa come ripetizione del sacrificio di Cristo.
Ma
veniamo al nostro testo:
I
due versetti che abbiamo letto costituiscono una parentesi quasi
poetica all’interno di un discorso
molto più lungo in cui l'autore
porta degli esempi negativi del comportamento di Israele nell’Antico
Testamento e invita i cristiani a cui scrive a comportarsi
diversamente.
Questi
due versetti mettono al
centro il tema della Parola di Dio, che è descritta come vivente
ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e
penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle
midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è
nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le
cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale
dobbiamo render conto.
È
dunque un brano che ci dice che la Parola di Dio giudica.
Ma lo dice non in termini giuridici, non parla della condanna
comminata
dal
giudice, ma dell’azione del giudicare. Il giudizio e la condanna
non sono la stessa cosa.
Il
testo usa l’immagine della spada: la parola di Dio che
giudica
è
paragonata alla
spada che
entra
nel
corpo;
il giudizio è descritto in modo fisico: in questa immagine in cui la
Parola di Dio è spada, noi siamo corpo.
E
il nostro corpo viene
penetrato dalla spada a doppio taglio che entra e divide. Ma dal
corpo si passa subito a ciò che non è fisico: la spada divide sì
le giunture dalle
midolla ma
anche l'anima
dallo spirito e
giudica i
sentimenti e i pensieri del cuore.
La
Parola di Dio dice questo brano, quella che ascoltiamo ogni domenica,
entra dentro la nostra anima, il nostro spirito, le nostre giunture,
le nostre midolla, scruta e giudica i pensieri del nostro cuore. È
un’immagine potente, che parla dell’efficacia della Parola.
La
Parola di Dio non è una parola che si ascolta soltanto, non
raggiunge soltanto le nostre orecchie e la nostra mente, non è
soltanto una parola che fa riflettere o emoziona.
Secondo
questa immagine, la Parola di Dio è una Parola che entra dentro di
noi. Questa immagine della Parola di Dio che entra in noi ci vuole
dire che Dio scruta, osserva la nostra vita e osserva anche ciò che
non vorremmo fargli vedere, ciò che forse non vorremmo fare vedere a
nessuno. Che forse vorremmo nascondere persino a noi stessi.
Come
dicevo prima qui il giudizio non è condanna; il giudizio implica
piuttosto l’idea che Dio ci vede e ci osserva dal di dentro.
Dio
vede e osserva perché, come dice il testo, siamo nudi davanti a lui.
Non è facile stare nudi davanti a qualcuno. Stare nudi davanti a
qualcuno è segno di grande intimità. Solo i bambini piccoli lo
fanno in un modo naturale, perché non conoscono ancora il pudore,
ovvero non hanno nulla da nascondere.
Adamo
ed Eva erano nudi nel giardino di Eden. Immagine del fatto che
potevano stare l’uno davanti all’altra e davanti a Dio così come
erano, perché non avevano nulla da nascondere. Dopo la
disobbedienza, si copriranno e si nasconderanno alla vista di Dio
perché avranno qualcosa da nascondere.
Anche
noi abbiamo qualcosa da nascondere davanti a Dio e anche davanti al
prossimo, abbiamo qualcosa che vorremmo nascondere, di cui ci
vergogniamo, o di cui semplicemente non siamo contenti.
Questa
parola ci dice che davanti a Dio non possiamo nascondere
nulla, che siamo nudi; potremmo anche dire trasparenti, perché Dio
vede dentro di noi, la spada che penetra dentro di noi mette a nudo
ciò che Dio vede.
Ecco
il giudizio, di cui parlano questi due versetti.
Ma
è davvero un giudizio o non
è piuttosto una grazia? È
da temere o da invocare che Dio guardi dentro di noi, che non
possiamo nascondergli nulla? È un giudizio, ma è anche una grazia.
La grazia ci porta innanzitutto a accettare e a
fare nostro il giudizio che
Dio pronuncia su di noi (così spiegava Paolo Ricca commentando La
libertà del cristiano di
Lutero) e dunque accettare il giudizio di
Dio
è, in fondo, liberante.
Non
possiamo nascondere nulla a Dio e dunque non abbiamo bisogno di
nascondere qualcosa a Dio. Questo è liberante. Liberante perché non
abbiamo più bisogno di nasconderci e di indossare la maschera del
cristiano perfetto, del pastore perfetto, del membro di chiesa
perfetto, dell’anziano di chiesa perfetto… Ma anche del padre o
della madre perfetta, del marito o della moglie perfetta, del figlio
o della figlia perfetta...
È
chiaro che ci è chiesto di tendere sempre al meglio, ma poiché il
meglio non sempre è alla nostra portata, possiamo essere cristiani,
membri di chiesa, pastori, figli, madri e padri, amici, colleghi ecc.
imperfetti, così come siamo.
Sapendo
bene che quello che siamo ha molti difetti e cercando di correggere
questi nostri difetti, ma senza fare finta di non averne, ovvero
senza mentire a noi stessi e agli altri. In fondo ciò che spesso
crea difficoltà di relazione e porta al conflitto è il pretendere
di essere quello che non si è che.
Sapere
che davanti a Dio siamo nudi, può invece
aiutarci
ad andare
verso gli altri, se non proprio (metaforicamente)
nudi,
almeno senza troppi vestiti, ovvero senza troppe maschere, senza
recitare la parte di ciò che non siamo, essendo
un po’ più autentici.
Nella
vita di ogni giorno, anche nella vita della chiesa, portiamo noi
stessi così come siamo, ovvero donne e uomini che stanno sotto il
giudizio di Dio, che a lui devono render conto, che hanno bisogno
della sua grazia per andare avanti in modo autentico.
Se
non siamo consapevoli di questo, la nostra vita non sarà autentica,
ma sarà falsata dalle nostre illusioni di essere giusti o di essere
meglio, dalle nostre maschere che indossiamo prima di tutto davanti a
noi stessi, mentendo a Dio, al prossimo e anche a noi stessi.
Le
nostre maschere stanno sotto il giudizio di Dio, che vede attraverso
e oltre le maschere che portiamo ogni giorno; riuscire a toglierle è
l’effetto liberante del giudizio, che è già grazia, effetto della
“Parola di Dio vivente ed efficace, più affilata di qualunque
spada a doppio taglio...”.
Che
questa Parola è davvero vivente ed efficace, che davvero penetra e
scruta
il nostro cuore e la nostra vita, che davvero quindi può trasformare
il nostro cuore e la nostra vita e
renderli più autentici,
questa è la fede dell’autore della lettera agli Ebrei.
Possa
essere questa
anche la nostra fede.
Nessun commento:
Posta un commento