1
Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti!
Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre.
2 Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano;
ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra,
3 e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria».
4 Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza;
ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio».
5 Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza.
6 Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre.
2 Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano;
ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra,
3 e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria».
4 Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza;
ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio».
5 Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza.
6 Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
Il
brano di oggi è uno dei cosiddetti “canti del Servo del Signore”,
che sono quattro brani del libro del profeta Isaia che parlano di un
personaggio chiamato “il servo”, al quale – come abbiamo letto
in questo brano - viene affidata una missione importante per Israele
e tutta l’umanità.
Chi
sia questo servo non è chiaro, gli studiosi discutono e hanno
opinioni diverse. Non è nemmeno chiaro se sia una persona singola –
magari lo stesso Isaia - oppure sia il popolo d’Israele.
Come
avete visto, anche nel brano di oggi c’è questa ambiguità: al v.
1 dice «Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha
pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre» e quindi sembra
una persona precisa con un nome preciso, ma al v. 3 dice: «[il
Signore] mi ha detto: “Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di
te io manifesterò la mia gloria”».
Quello
che è chiaro è che con queste parole Dio sta dando a qualcuno –
singolo o popolo che sia – un incarico, una missione. E poiché non
è solo il “servo del Signore” che ha ricevuto questo incarico,
non è soltanto il profeta Isaia, non è soltanto Israele che ha
ricevuto da Dio una chiamata, ma siamo anche noi, è per noi
istruttivo fermarci a vedere che cosa dice Dio in questo brano,
perché lo dice anche a noi.
Vorrei
ripercorrere questo brano con voi in quattro tappe.
1.
La prima tappa è la vocazione. «Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal
seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia
madre». Conosciamo affermazioni simili fatte da altri profeti, per
esempio Geremia (abbiamo letto il racconto della sua vocazione alcune
domeniche fa), ma anche dall’apostolo Paolo.
La
chiamata precede addirittura la nascita del chiamato. Dio non agisce
come agiamo noi quando cerchiamo una persona per darle un compito,
che prima cerchiamo di conoscerla, di vedere come è, come si
comporta, se ci ispira fiducia, se è brava a fare quello che deve
fare.
Dio
non cerca la persona adatta – come si dice: la persona giusta al
posto giusto – non fa una selezione tra i tanti per trovare l’uno
o l’una che gli serve. Dio sceglie e chiama prima che il
prescelto/a e il chiamato/a vengano al mondo.
Il
Servo del Signore – chiunque egli sia – non è la persona giusta,
è la persona scelta. È Dio che rende il Servo quello che sarà, non
è merito suo. Perché nessuno sarebbe degno di questo compito,
nessuno ne sarebbe all’altezza. È solo la scelta di Dio che rende
all’altezza. Ma all’altezza di cosa?
2.
Ed eccoci alla seconda tappa: la Parola: «Egli
ha reso la mia bocca come una spada tagliente...». il Servo proclama
la Parola di Dio, questo è il suo compito, per questo è stato
prescelto prima della sua nascita e per questo è stato chiamato.
La
Parola di Dio è paragonata a un’arma, una spada prima e una
freccia poi; la spada colpisce
vicino, la freccia lontano, la Parola di Dio vuole raggiungere tutti,
vicini e lontani, vuole raggiungere Israele che è il suo popolo, ma
anche tutti gli altri popoli.
Forse
ci crea qualche problema il fatto che la Parola di Dio venga
paragonata a un’arma? Proviamo a rovesciare il paragone: non la
Parola di Dio è un’arma, ma: l’arma di Dio è la sua Parola.
Dio
non ha altre armi, se non la sua parola, il profeta, il servo, il
popolo non hanno altre armi se non la Parola. I discepoli e le
discepole di Gesù non hanno altre armi se non la sua parola.
E
che cosa farà il servo armato soltanto della Parola di Dio? Al v. si
dice: «Tu sei il mio
servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». Il
servo – che sia esso il popolo o una singola persona, manifesterà
la gloria di Dio.
Ma
manifestare la gloria di Dio non una cosa generica o un’esperienza
puramente spirituale. Pochi capitoli prima il profeta aveva detto:
«il SIGNORE ha
riscattato Giacobbe e manifesta la sua gloria in Israele»
(Isaia 44,23).
È
l’annuncio della fine dell’esilio in Babilonia. Il Signore ha
riscattato, cioè liberato, Giacobbe – ovvero il popolo di Israele
(il nome del patriarca sta per tutto il popolo). Così Dio manifesta
la sua gloria: liberando, restituendo la libertà e la dignità al
suo popolo.
Il
Servo manifesterà la gloria di Dio annunciando la sua volontà di
liberazione per tutti i popoli.
3.
Ma… c’è un ma! «Ma
io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato
la mia forza». Al Servo di Dio sembra tutto inutile, gli sembra che
la sua predicazione sia destinata al fallimento. Quando nel nostro
brano è il suo di parlare, la sua è una parola di lamento.
Evidentemente
le cose non vanno come lui vorrebbe, la sua parola non è ascoltata
come sarebbe giusto, la reazione alla sua predicazione non è quella
che si attende.
Quante
volte anche a noi tutto ciò che facciamo sembra un apparente
fallimento, sembra inutile, un inutile spreco di tempo e di energia?
Quante volte ci sentiamo inadeguati, insufficienti al compito che Dio
ci dona? Ma Dio – come ha detto qualcuno - “ha scelto chi non è
importante per realizzare cose importanti”.
Grazie
a Dio, il lamento dura solo un breve momento e poi il profeta cambia
tono: «ma certo, il mio
diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio
Dio». Il tono del lamento fa spazio a quello della fiducia.
La
fiducia è che, nonostante le apparenti – o reali – sconfitte,
nonostante gli umani fallimenti, «il mio diritto è presso il
Signore», cioè fare la volontà di Dio è comunque giusto ed ha
comunque senso, anche quando i risultati non sono quelli che si
vorrebbe.
Questa
dialettica o tensione tra lamento e fiducia, è quella che viviamo
anche noi. Questo ci dice che il Signore ha scelto un Servo, un
profeta oppure un popolo, che ci somiglia, che si lascia scoraggiare
come noi, che ha dubbi come noi, che patisce i fallimenti come noi.
Che però riesce anche a guardare a Dio anziché a se stesso e ai
propri fallimenti e a recuperare la fiducia.
4.
Come reagisce Dio al lamento? Rinnovando l'incarico! Anzi
estendendolo: «È
troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e
per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce
delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità
della terra».
Il
suo servo non dovrà soltanto “rialzare”, ovvero annunciare la
liberazione delle tribù di Giacobbe e ricondurre gli scampati di
Israele, cioè i superstiti tra gli esiliati e i loro figli.
Non
dovrà soltanto annunciare la liberazione. Questo è troppo poco.
«voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia
salvezza fino alle estremità della terra».
La
salvezza rompe i confini, va oltre il popolo e si estende a tutta
l'umanità. Troviamo la stessa espressione nelle parole che Gesù
dirà ai suoi discepoli poco prima della sua Ascensione al cielo,
quando dice loro: «mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la
Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra» (Atti 1).
Da
cristiani, possiamo dire che questa promessa del profeta si realizza
per noi in Cristo e nell’annuncio della sua resurrezione e quindi
di una nuova speranza a tutta l'umanità.
Ma
la promessa è già qui, e dobbiamo dire che questa vocazione a
essere luce delle nazioni appartiene anche al popolo ebraico e che è
attraverso di esso che questa vocazione arriva anche noi.
Anche
a noi la Parola di Dio dice oggi: «È troppo poco ...». È troppo
poco che voi cristiani annunciate l’evangelo a voi stessi. Per
essere più concreti: è troppo poco che tu chiesa valdese di Biella
ti occupi di annunciare la Parola a te stessa, che tu cerchi la tua
consolazione, la tua speranza e la tua gioia nell’evangelo. È
troppo poco! Perché la luce dell’evangelo non è solo per te, è
per l’umanità.
Se
il Signore ci ha chiamati e ci ha rivolto il suo evangelo, non è
perché ce lo teniamo per noi, non è perché esso dia luce soltanto
alla nostra vita, ma perché questa luce sia portata fuori, per
illuminare le vite di molte altre persone.
Per
questo ci ha chiamati, per questo siamo chiesa, non per altro.
Il
Signore continui a illuminare, con il suo Spirito e la sua Parola, la
vita di molti, compresa la nostra, e servendosi anche di noi, fino
all'estremità della terra.
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