Predicazione tenuta da Stanislato Calati, pastore della Chiesa metodista di Vercelli-Vintebbio, alla Bocchetta di Margosio (Trivero) in occasione della Festa di Fra' Dolcino
Galati
5,13.14
Perché,
fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate
della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo
dell'amore servite gli uni agli altri; poiché tutta la legge è
adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te
stesso».
Care
sorelle e cari fratelli in Cristo Gesù, cari amici e care amiche qui
convenuti per commemorare fra’ Dolcino,
l’Evangelo
di Gesù Cristo, ci dice l’apostolo Paolo, è chiamata a libertà,
l’Evangelo è, se preferite, un’autentica vocazione alla libertà,
intesa nel senso più ampio possibile.
La
libertà dell’Evangelo è affrancamento da tutte le sovrastrutture
attraverso le quali, in ogni tempo e luogo, si esercita, come
sistema, l’oppressione di alcuni ad opera di altri.
La
libertà evangelica è appartenere a Dio e impegnare la libertà
stessa, che è dono di Dio, nella relazione d’amore con Dio stesso
e, come necessaria, irrinunciabile e incontenibile espansione
all’esterno, verso il mondo, nel fraterno, amorevole e vicendevole
servizio al prossimo.
E
non è esperienza che si limiti al Nuovo Testamento.
Il
popolo di Israele, liberato dall’Egitto, è invitato a vivere la
libertà ricevuta in dono da Dio nel servizio a Dio e nel servizio al
prossimo, questo, infatti, è il senso della Legge che, tramite Mosè,
viene donata a Israele; Gesù la riassume in amare Dio con tutto sé
stesso e amare il prossimo come sé stesso.
Non
meno che la libertà, la Legge è dono, che viene ancora ricordato e
festeggiato, nell’ebraismo, nel giorno della “gioia della Legge”,
in cui si conclude la lettura del Pentateuco e, immediatamente, la si
ricomincia.
Se
la libertà è un dono, altrettanto grande è il dono della Legge, un
manuale per l’uso corretto di quel dono che, appunto, è la
libertà.
Un
cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a
nessuno, un cristiano è servo volenteroso in ogni cosa, ed è
sottoposto ad ognuno.
Martin
Lutero riassume in questa apparente contrapposizione quella che
potremmo considerare l’essenza stessa dell’essere cristiani.
La
vocazione a libertà è, nello stesso tempo, vocazione al servizio:
in Cristo siamo liberati dal peso del doverci guadagnare la nostra
giustizia di fronte a Dio, pronti, così, a metterci al servizio
degli altri.
Nella
storia bimillenaria del Cristianesimo, questa vocazione alla libertà,
quando s’è assopita, s’è risvegliata ogni volta con il ritorno
alla Scrittura e alla sua centralità per la fede cristiana, proprio
come l’erba dei prati, appassita per il caldo e il secco
dell’estate, rinverdisce al cadere delle prime piogge di settembre.
I
primi martiri cristiani pagarono con la vita la scelta di
testimoniare la propria fede di fronte al mondo, sfidando, in nome di
Cristo, la repressione dell’autorità civile.
Purtroppo,
impostosi il Cristianesimo come religione civile, ufficiale e
obbligatoria, i perseguitati divennero presto persecutori.
Il
movimento di Valdo, e quello degli Apostolici di Gherardo prima e
Dolcino poi, unirono l’idea del ritorno alla fedeltà al Vangelo
alla riscoperta della Scrittura e nella scelta della povertà
espressero il rifiuto di un sistema politico e religioso, che
opprimeva le persone non meno delle coscienze.
Dolcino
in modo particolare incarnò la forza liberante ed eversiva
dell’Evangelo, che si contrappone alla religione ufficiale, alleata
del potere, e spesso potere essa stessa, che schiaccia e punisce chi
si ribella in nome della libertà, della giustizia e di una pace
autentica.
Secoli
dopo John Wesley propose l’Evangelo come via per l’affrancamento
dalle disperate condizioni di vita delle masse nell’Inghilterra del
XVIII secolo: un percorso che, passando per la riconquista di una
dignità personale ed individuale, si risolveva nella lotta per
ottenere condizioni di vita e di lavoro più umane.
Giorgio
Gaber, in una sua famosa canzone, cantava: La
libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un
moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è
partecipazione …
La
libertà, per un cristiano, non può essere vuoto, ma qualcosa da
riempire ed impegnare: non è né dev’essere - ammonisce l’apostolo
- occasione per vivere
secondo la carne, ma per servire l’uno l’altro,
secondo il comandamento dell’amore.
Approfondiamo
cosa significhi vivere secondo la carne e quali siano le opere della
carne.
Vi
inviterei subito, care sorelle e cari fratelli, ad allontanare dalla
vostra mente l’idea che la carne sia da identificare con il corpo,
e che, quindi, le opere della carne siano quelle che sono il prodotto
degli istinti che il corpo ha per sua natura, così la sessualità in
primo luogo, o i piaceri legati alla corporeità.
Il
cristianesimo, e non solo il cattolicesimo, è stato troppo spesso
incapace di superare un rapporto con la corporeità che non fosse di
negazione o di condanna, se non di repressione.
Carne
rappresenta certo la dimensione corporea, ma quando si pensi il corpo
come fosse l’unica realtà umana autentica, come se tutto l’essere
dell’uomo cominciasse e finisse lì; carne si contrappone a
Spirito, quando carne esprime l’incapacità totale di comprendere
le cose di Dio, di andare oltre il ristretto orizzonte della vita
materiale.
Opere
della carne sono la vita stessa dell’uomo, come se essa finisse con
la morte, come se, oltre questo orizzonte terrestre e terreno, non vi
fosse altro.
Esse
non sono in sé male, purché non soffochino la dimensione spirituale
dell’uomo e in particolare quella parte di noi che, aspirando
all’eternità, cerca una relazione autentica e profonda con
quell’Altro da noi che è Dio.
Tra
le opere della carne vanno comprese, sorelle e fratelli, amici e
amiche cari, quelle che si realizzano come dominio sugli altri, in un
sistema oppressivo per il quale l’altro diviene un mezzo, una cosa
da usare e gettar via quando non serva più, da eliminare,
addirittura, se ci impedisca di realizzare i nostri scopi.
Perché,
fratelli, voi siete stati chiamati a libertà … ma per mezzo
dell'amore servite gli uni agli altri…
Una fede fatta di sola devozione e
pietà, nella quale non trovi posto, concretamente e coerentemente
vissuto, il comandamento dell’amore, non è fede, forse è
religione, ma è la caricatura di una fede cristiana autentica.
La
libertà del cristiano è sì libertà dalla legge, ma non è una
libertà senza legge, perché, se non è la giustizia delle opere, ma
quella della fede che salva, non è, per questo, che le opere siano
senza valore o senza importanza.
La
visione protestante è spesso stata accusata, per ignoranza o
colpevole malafede, di predicare, sostenendo la salvezza per grazia
mediante la fede, l’inutilità delle opere.
John
Wesley ribatteva con queste parole: Così
sarebbe davvero, se parlassimo, come certuni fanno, d'una fede che
fosse staccata dalle buone opere; ma la fede della quale parliamo noi
non è tale, anzi è produttrice di tutte le buone opere e d'ogni
santità.
Siamo
da subito giusti, per la fede, agli occhi di Dio, ma rendere la
nostra vita, il nostro modo di essere e il nostro modo di pensare
coerenti con quella fede è un compito impegnativo, da svolgere lungo
tutta un’esistenza, quale grata risposta all’amore di Dio per
noi, un amore per il prossimo che opera per la giustizia, per la
difesa dei valori d’umanità e solidarietà, sempre cercando e
trovando nel dettato evangelico la bussola con cui orientarsi.
Particolarmente
in questi tempi di buio, chiusura ed egoismo diffusi, la nostra
presenza qui ha un significato ed un valore di memoria e
testimonianza importante, che vorrei riassumere, citando l’ultima
quartina delle “Rime in versetti dolciniani” di Aldo Fappani,
presidente del Centro Studi fra’ Dolcino:
Per
cui anche noi siamo qui per ricordare, invocare, rivendicare,
in
comunione con coloro che quelle gesta hanno voluto imitare
nei
precedenti secoli e ai nostri tempi al di qua e al di là del mare:
fratellanza,
giustizia, solidarietà, sacri valori sempre da rinnovare.
AMEN
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