“È Dio che produce in voi il volere e l’agire”, scrive Paolo ai cristiani di Filippi. La vostra volontà e il vostro agire, ciò che voi volete e voi fate, dice in pratica Paolo ai filippesi, viene da Dio.
Ma come - ci verrebbe da dire - che cosa vuol dire che Dio produce in me il volere e l’agire? E dove va a finire la mia autonomia, la mia libertà, la mia libera scelta? Dove vanno a finire la mia personalità, la mia cultura, la mia intelligenza? Il discorso di Paolo sembra veramente poco moderno.
Ovviamente non dobbiamo fraintendere ciò che dice Paolo pensando che Dio ci trasformi in robot che agiscono a comando e che non hanno personalità e autonomia. Non dobbiamo intendere l’affermazione di Paolo in senso meccanico, come se Dio ci trasformasse in automi che funzionano a comando.
Quando Paolo dice “è Dio che produce in voi il volere e l’agire” non fa un’affermazione meccanica, ma un’affermazione di fede. Paolo vuole dire ai filippesi: ciò che voi volete di buono e di bello e ciò che voi fate di buono e di bello non viene da voi, ma viene da Dio, è un dono di Dio.
L’affermazione che Dio produce in noi il volere e l’agire è accettabile solo in un’ottica di fede. Perché è solo la fede che mi dice che la volontà di Dio è più giusta della mia, che ciò che Dio vuole è più giusto di ciò che io voglio.
E che quindi è più giusto che sia la volontà di Dio a guidare le mie azioni che non la mia volontà.
Chiunque altro pretendesse di trasformare la mia volontà e di orientare le mie azioni commetterebbe un plagio, un delitto, mi sottrarrebbe la mia dignità, la mia personalità e la mia umanità. Se invece è Dio a trasformare la mia volontà, non mi sottrae nulla, ma - anzi - mi dona dignità, costruisce la mia personalità e mi restituisce la mia vera umanità.
È un dono e una grazia che Dio nella sua misericordia usi la sua volontà per trasformare la mia e la sua giustizia per orientare le mie azioni. Questo lo posso dire, però, solo dopo aver riconosciuto che la mia volontà e le mie azioni, senza la grazia e l’aiuto di Dio sarebbero vane e inutili, per non dire malvagie e dannose.
Se ci rendiamo conto che abbiamo bisogno che Dio intervenga nel nostro volere e nel nostro agire, gli saremo grati della sua azione.
Se ci rendiamo conto che abbiamo bisogno che nella nostra vita qualcuno ci dica che cosa fare e dove andare, che cosa è importante e che cosa non è importante, che cosa ci può rendere liberi - e dunque felici - e che cosa ci rende invece schiavi - e dunque infelici, se ci rendiamo conto di questo saremo grati al Signore che in Gesù Cristo ci ha mostrato la via della libertà e della giustizia, della gratuità e dell’amore.
È l’incontro con Gesù Cristo che trasforma la nostra volontà, l’incontro con la sua parola, con le sue azioni, con il dono che egli ha fatto di se stesso per noi. E questo non è un atto meccanico e non è un atto di forza, ma un atto di amore, un atto che ci fa innamorare e che per questo ci convince e ci trasforma.
E Paolo è molto acuto nell'individuare come luogo della conversione la volontà. La conversione non è la mia decisione di cambiare, ma è la decisione di Dio di cambiarmi attraverso l’incontro con Gesù Cristo.
E che cosa è che viene trasformato? Paolo dice il volere e l’agire. Non solo l’agire, non basta che le mie azioni siano trasformate dalla grazia di Dio. A Dio non basta che il mio fare sia trasformato, Egli vuole trasformare anche il mio volere.
Vuole che la mia volontà diventi simili alla sua, vuole che io voglia ciò che lui vuole.
E poi è troppo grosso il rischio di agire bene, ma in modo ipocrita. È troppo facile fare certe cose perché bisogna farle e se si fanno si ha la coscienza a posto. Dio non vuole degli automi ma nemmeno degli ipocriti. Dio vuole dei convertiti, cioè persone la cui volontà è stata trasformata dall’incontro con Cristo.
E del resto non basta nemmeno solo la volontà, senza l’azione. Se la conversione che Dio opera in noi è un’opera di trasformazione, allora essa deve produrre altre trasformazioni.
Se la grazia di Dio dona a noi peccatori la sua giustizia, allora il frutto della grazia e della conversione che ella opera in noi sarà la trasformazione dell’ingiustizia in giustizia.
Se la grazia di Dio dona a noi peccatori la sua libertà, il frutto della conversione che la grazia opera in noi sarà il cercare di trasformare la schiavitù in libertà.
Se la grazia di Dio mostra a noi peccatori il suo amore, il frutto della conversione che la grazia opera in noi sarà il cercare di trasformare l’odio che viviamo e vediamo intorno a noi in amore.
Questo l’adoperarsi “al compimento della vostra salvezza con timore e tremore”, di cui parla Paolo. Adoperarsi al compimento della propria salvezza non significa salvarsi da soli, non significa cercare di guadagnare la salvezza, perché la salvezza è già stata donata in Cristo. Ma significa vivere da salvati, significa rispondere e corrispondere all’opera della grazia di Dio.
La Riforma, che è nata dalla riscoperta dell’evangelo della grazia, ha preteso tantissimo dai suoi credenti, ha chiesto preghiera, studio della Bibbia, riflessione, e tanta, tantissima azione, tante opere.
La differenza che sembra piccola, ma che è enorme e fondamentale nel nostro rapporto con Dio, è che tu non agisci per ottenere la salvezza, ma agisci perché Dio te l’ha già donata.
Tu non agisci per farti perdonare, ma agisci perché sei già stato perdonato, non agisci per farti amare da Dio, ma agisci perché Dio ti ama e te lo ha dimostrato in Gesù Cristo.
Lutero diceva che Dio ci ha liberati da tutti i debiti che avevamo con lui - debiti che tra l’altro non avremmo mai potuto pagare - e che ora siamo quindi totalmente liberi e possiamo investire tutte le nostre energie per amare il nostro prossimo. Tutte le nostre energie, tutti i doni che lui ci ha fatto, tutto è ora lì pronto per essere messo al servizio del prossimo.
Questo significa adoperarsi per la propria salvezza. Vuol dire vivere fino in fondo il dono di Dio, vuol dire amare fino in fondo dell’amore con cui Dio stesso ci ha amati. Vuol dire condividere gratuitamente e fino in fondo i doni che Dio gratuitamente ci ha donato.
“Adoperatevi al compimento della vostra salvezza”, ma “con timore e tremore”; questa espressione che viene dall’Antico Testamento non c’entra con la paura. Il timore di Dio è la consapevolezza della grandezza di Dio da parte di chi è molto piccolo, è la consapevolezza della santità di Dio da parte di chi è misero, è la consapevolezza della giustizia e della misericordia di Dio da parte di chi è ingiusto e egoista.
“Con timore e tremore” vuol dire dubitare fortemente di noi stessi, della nostra giustizia e della nostra fedeltà ed essere invece certi della fedeltà e della giustizia di Dio – che è la sua grazia - e a lui soltanto affidarci.
Così come mettiamo nelle mani misericordiose di Dio le nostre colpe quando facciamo qualcosa di male, qualcosa che ferisce il nostro prossimo, allo stesso modo mettiamo nelle sue mani quello che di buon riusciremo a fare, dicendo a Dio: sei tu, Signore, che hai prodotto in noi il volere e anche la forza di farlo.
Perché ogni volta che vogliamo o realizziamo qualcosa di bello e di buono, non è grazie a noi e alla nostra buona volontà, ma è grazie alla sua buona volontà, che in Cristo ha incontrato la nostra e l’ha trasformata.
Che il Signore sia lodato per questo e continui senza stancarsi a cercarci e a trasformarci.
1 commento:
veramente meraviglioso! e' l'ideale poter leggere per intero tutto il testo, Grazie Pastore Marco Gisola, grazie veramente
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