Ma quando la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore per gli uomini sono stati manifestati, egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha sparso abbondantemente su di noi per mezzo di Cristo Gesù, nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna.
Nessuno
se ne era ancora accorto, ma tutto era già accaduto. Il Salvatore
era venuto nel mondo, ma nessuno se ne era reso conto. Gesù Cristo
era nato, ma ciò era accaduto in una sconosciuta stalla di Betlemme
e nessuno lo aveva notato. “La bontà di Dio, nostro Salvatore, e
il suo amore per gli uomini sono stati manifestati”, ma tutto ciò
è passato inosservato.
Il
testo che ci viene proposto oggi per il culto di Natale non è un
testo tipicamente natalizio, non è un brano che racconta la nascita
di Gesù, ma un testo che riflette sul senso della venuta - e in
questo senso della nascita - di Gesù.
“La
bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” si manifestano a
partire dalla stalla di Betlemme, così ci raccontano i Vangeli.
Tutto inizia con un parto, esperienza attraverso la quale tutti noi
siamo venuti al mondo, tutto inizia con una coppia costretta ad
allontanarsi da casa propria per fare un lungo viaggio, con la
difficoltà di trovare un posto dove questa coppia possa alloggiare e
dove far nascere questo bambino, che incarna la bontà di Dio e il
suo amore per gli uomini.
“La
bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” si manifestano con
un evento di cui gli esseri umani non si rendono conto - di cui non
potevano rendersi conto - ma che gli angeli celebrano cantando e
comunicando la loro gioia ai pastori, e per cui i sapienti
dall’oriente fanno un lunghissimo viaggio avvertiti da una stella.
Angeli
e astri si muovono per questo evento, ma nessun essere umano si rende
conto di nulla se non quelli avvertiti personalmente dagli angeli e
dagli astri. Del resto non potevano rendersene conto, perché era un
evento assolutamente comune: la nascita di un bambino – seppure in
condizioni difficili: lontani da casa, in una stalla… - ma era pur
sempre la nascita di un bambino come ne accadono ogni giorno in ogni
angolo della terra.
Questo
brano dell’epistola a Tito, letto a Natale, non può non portarci a
chiederci come
“la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” si sono
manifestati, a Natale e non solo a Natale. Dio si è manifestato in
Gesù in modo non eclatante, non spettacolare, non evidente, e questo
non solo a Natale, ma lungo tutta la vita di Gesù.
Gesù
non ha mai occupato posti di rilievo o di potere, non si è mai
legato a gruppi influenti e importanti. È stato una persona senza
potere e senza apparire.
Più
che quello che faceva, era quello che diceva a donare speranza e
gioia a molte persone e a gettarne molte altre nello scompiglio. È
stato, sì, un guaritore che ha ridato salute e quindi una vita degna
di questo a tante persone, ma è stato sopratutto un predicatore
itinerante che ha proclamato la beatitudine ai poveri, ai
perseguitati, agli operatori di pace, che ha indicato la via del
perdono da un lato e del servizio dall’altro come la volontà di
Dio per gli esseri umani.
Questo
modo di manifestarsi di Dio ha avuto il suo culmine nella croce,
nella morte di Gesù. La morte è stata la logica conseguenza del
fatto che Dio ha scelto che il suo figlio conducesse una vita come
tutti noi, che non poteva quindi che finire con la morte.
Ma
il come,
il modo in cui Gesù è morto, al pari del come
è venuto nel mondo, è di nuovo testimonianza della volontà di
abbassamento di Dio, del suo donarsi totalmente a noi: una morte
violenta, conseguenza del rifiuto di alcuni e dell’abbandono di
altri.
“La
bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” si manifestano
così, perché Dio così ha deciso. Ha deciso di manifestarsi
attraverso una semplice nascita in una ancor più semplice stalla,
attraverso una vita vissuta nella compagnia degli ultimi, e
attraverso una agonia e una morte vissute nella solitudine e
nell’incomprensione.
In
Gesù si è manifestata la volontà libera, gratuita e misericordiosa
di Dio, volontà che gli esseri umani hanno respinto, che noi abbiamo
respinto. E tutto ciò ha avuto il suo inizio a Natale, in quella
stalla di Betlemme, nella nascita di un bambino, certo un evento
straordinario per ogni genitore, ma un evento assolutamente comune,
che mostra come Gesù volesse essere uno di noi fin dalla sua
nascita.
Che
cosa ha significato questo evento per noi? “quando la bontà di
Dio, nostro Salvatore, e il suo amore per gli uomini sono stati
manifestati, Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia”. Nessuno se ne è accorto e nessuno ha
fatto nulla perché accadesse, ma la salvezza era già avvenuta.
L’evento
della nascita di Gesù, dell’incarnazione della Parola, la
decisione di Dio di venire in mezzo a noi come uno di noi, è una
evento di salvezza, una decisione di salvezza. Natale è la decisione
di Dio di salvare l’umanità. La venuta di Gesù non è una
decisione che Dio prende per metterci alla prova, per vedere come
l’umanità avrebbe trattato Gesù, se gli avesse creduto oppure no,
se avesse messo in pratica ciò che egli ha detto oppure no.
La
venuta di Gesù non è un metterci alla prova da parte di Dio,
semplicemente perché se quella fosse
stata una
prova, dovremmo concludere che l’umanità non ha superato la prova.
Gesù infatti è stato respinto, rifiutato, abbandonato, ucciso. Non
è stato accolto.
Se
la nostra salvezza dipendesse da quanto e da come noi accogliamo Gesù
e mettiamo in pratica ciò che egli ha detto, vediamo che sia ciò
che narrano i Vangeli, sia ciò che vediamo quotidianamente intorno a
noi ci dicono che con le nostre sole forze di certo la salvezza non
l’avremmo ottenuta.
La
salvezza, invece, viene,
come dice la lettera a Tito, viene da fuori di noi, viene da Dio; non
per niente il testo parla dell’opera dello Spirito e di Gesù, è
lui il “Salvatore”, è lui che ci salva.
La
venuta di Gesù è già un evento di salvezza fin dalla stalla di
Betlemme. Per questo Natale è una festa gioiosa, che non ha nulla
che fare con il fatto che noi siamo buoni o ‘più’ buoni, ma ha a
che fare esclusivamente con “la bontà di Dio e il suo amore per
gli uomini”.
Questo
evento di salvezza ha come prospettiva la vita eterna: “affinché,
giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della
vita eterna”. L’irruzione di Dio nella storia umana ha come
conseguenza la speranza. Speranza di vita eterna, ovvero speranza di
essere un giorno cittadini del regno di Dio, ma speranza anche che
Dio regni e la sua volontà sia fatta già qui ed ora.
La
vita eterna non soltanto un’altra vita, in un aldilà e che dura
per sempre, ma è una vita
altra da
vivere qui ed ora. Una vita che qui ed ora riserva a volte dolore ma
che è erede, cioè che guarda e si orienta, a quella vita dove
dolore non ci sarà più. Una vita che qui ed ora è vissuta in un
mondo pieno di ingiustizia, ma che guarda a quella vita dove non ci
sarà ingiustizia.
Per
questo è una vita di speranza.
Come una vita di speranza diventa quella di coloro che hanno
incontrato
Gesù, che sono venuti a contatto con la bontà ed il suo amore per
gli uomini.
In
chi incontra Gesù nasce la speranza, a partire dai pastori di
Betlemme, passando per i suoi discepoli, per tutte le persone che
Gesù ha incontrate e guarite, donando concretamente
speranza a chi non ne aveva restituendo loro salute, dignità e
libertà, ovvero una vita nuova, una vita altra,
e così con coloro
che hanno creduto in lui dopo la sua resurrezione, noi compresi.
Quando
ci si rende conto che “la bontà di Dio e il suo amore per gli
uomini sono stati manifestati” nasce la speranza nella vita altra
che la grazia di Dio rende possibile.
Nessuno
se ne era ancora accorto, ma tutto era già accaduto. Gesù Cristo
era nato, il Salvatore era venuto nel mondo in una sconosciuta stalla
di Betlemme e nessuno lo aveva notato. “La bontà di Dio, nostro
Salvatore, e il suo amore per gli uomini sono stati manifestati” in
questo neonato, in questo modo umile e debole.
Proprio
perché non si fa notare e non è evidente che nel neonato di
Betlemme si manifestano la bontà e l’amore di Dio, la sua salvezza
e la sua giustizia, c’è bisogno di annunciarlo. Noi abbiamo
ricevuto questo annuncio di salvezza, come i pastori di Betlemme,
come i magi e come Tito a cui l’apostolo rivolge questa lettera.
Ora
sta a noi ripetere l’annuncio, perché un dono così grande non
passi inosservato, perché l’evangelo di Gesù Cristo non resti
inascoltato e continui a dare speranza all’umanità.
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