Ogni
persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è
autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite
da Dio. Perciò chi resiste all'autorità si oppone all'ordine di
Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna;
infatti i magistrati non sono da temere per le
opere
buone, ma per le cattive. Tu, non vuoi temere l'autorità? Fa' il
bene e avrai la sua approvazione,
perché
il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il
male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un
ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male.
Perciò è necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della
punizione, ma anche per motivo di coscienza.
È
anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che
sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio.
Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta
l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore;
l'onore a chi l'onore.
Oggi è la domenica della legalità, domenica che il nostro sinodo
ha istituito su proposta delle chiese valdesi del Sud Italia. In
questa domenica tutte le nostre chiese sono invitate a riflettere su
questo tema e a commentare questa parola che l'apostolo Paolo scrive
al cap. 13 della sua lettera ai cristiani di Roma, in cui li invita a
sottomettersi all’autorità.
Come
protestanti abbiano qualche difficoltà davanti a questo testo perché
la storia del protestantesimo è spesso stata storia di disobbedienze
all’autorità da un lato e storia di persecuzioni
da parte dell’autorità dall’altro. Come coniugare questa storia
con le affermazioni dell’apostolo Paolo che dice che bisogna “stare
sottomessi” all’autorità? E per quale ragione Paolo arriva a
dire questo, quando l’autorità del suo tempo era l’impero
romano, un funzionario del quale – Pilato – aveva fatto
crocifiggere Gesù?
Proviamo
a superare il primo imbarazzo e vediamo il testo un po’ più da
vicino.
1.
la prima cosa che possiamo vedere in questo testo è che per Paolo è
chiaro che l’autorità civile – chiamiamola così – è al di
fuori della chiesa, per certi versi al di sopra della chiesa, nel
senso che non è la chiesa a fare le leggi per la società.
Per
le prime generazioni cristiane questo era evidente ed era scontato,
perché il cristianesimo era una piccola minoranza, la maggior parte
delle persone che vivevano nell’impero erano pagane. Per tutti
c'era un’autorità civile che era l’imperatore, anch’egli
pagano.
Oggi
grazie a Dio non c’è più un impero e non c’è più un
imperatore, non siamo più sudditi ma cittadini. Ma quello che Paolo
registra nel suo tempo vale ancora oggi: per tutti i cittadini - non
importa a quale religione appartengano o se non appartengano a
nessuna comunità religiosa – c’è un’unica legge, che è
quella dello stato, che può piacere o meno, può essere più o meno
giusta, ma è la stessa per tutti.
Non
è una comunità religiosa che fa le leggi che regolano la convivenza
civile, ma è un’autorità superiore alle comunità religiose, ed è
un’autorità uguale per tutti. Paolo non avrebbe usato questa
parola, ma a pensarci bene questo è un aspetto del principio della
laicità
dello stato.
Questa
situazione in cui si trova Paolo e le prime generazioni cristiane
finirà nel quarto secolo quando l’impero diventerà cristiano e
tutti i sudditi dell’impero dovranno essere cristiani.
Ci
sarà una sola comunità religiosa, legata a doppio filo con lo
Stato, cioè l’impero; tra chiesa e impero ci sarà un’alleanza
che durerà secoli, un’alleanza piena però di conflitti e lotte
(ad es. la famosa lotta per le investiture) per decidere chi sta
sopra e chi sta sotto.
Per
Paolo è chiaro che le due autorità sono distinte. Questo è un
principio che è ritornato preziosissimo in questi ultimi secoli in
cui viviamo di nuovo in una società plurale, sia all’interno del
cristianesimo (le diverse chiese cristiane), sia per la presenza di
persone di altre religioni o atee in mezzo a noi.
Esiste
un’autorità che sta sopra le comunità religiose e che fa le leggi
per tutti, che dovrebbe fare le leggi per il bene comune, garantendo
uguali diritti per tutti, senza guardare le appartenenze religiose.
In
Italia la laicità è un po’ monca, perché la chiesa
cattolico-romana ha una posizione privilegiata attraverso il
concordato che dà certi privilegi solo alla chiesa cattolica come
l’insegnamento della religione cattolica fatto da insegnanti scelti
dalla chiesa e pagati dallo Stato, ecc.
Però
il recente dibattito sulla proposta di legge sulle unioni civili ha
mostrato che il dibattito c’è, che le varie opinioni si
confrontano (possiamo ovviamente discutere sui toni) e che,
nonostante tutto sarà il parlamento a decidere. Il principio della
laicità dice che non sono le comunità religiose a decidere per
tutti, ma sono gli organi rappresentativi dei cittadini, in questo
caso il parlamento.
L’autorità
civile è fuori dalla chiesa, non sono le chiese cristiane a decidere
per tutti. Questo è presupposto dalle parole di Paolo in Romani 13.
La chiesa non ha il compito di governare il mondo, la società, ma
quello di annunciare al mondo l’evangelo di Gesù Cristo.
E
poiché l’evangelo è l’evangelo di Gesù Cristo, che
dall’autorità è stato crocifisso senza opporre resistenza, la
chiesa annuncia l'evangelo senza avere potere, senza alcuna autorità
se non quella dell’evangelo stesso.
2.
Fermiamoci un momento su questa affermazione di Paolo: “Non vi è
autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite
da Dio”. Questa affermazione a prima vista è sconcertante, però
non va fraintesa: Paolo non vuol dire che l’autorità è divina, e
non dice che tutto quello che l’autorità fa e decide è
automaticamente voluto da Dio. Dice che il fatto che vi
sia un’autorità è
voluto da Dio.
Questo
non dà all’autorità un potere assoluto, come se appunto
l'autorità fosse divina, ma anzi, al contrario: intanto chiarisce
che, se l’autorità viene da Dio essa è sotto Dio; e dire questo
all’interno dell’impero romano, nel quale si praticava il culto
dell’imperatore era già un’affermazione decisamente
controcorrente.
Se
viene da Dio è sotto Dio e Dio è anche il limite di quell’autorità,
che quindi non è assoluta, ma relativa, perché solo Dio è
assoluto.
Paolo
spiega che cosa vuol dire che l’autorità viene da Dio quando
scrive: “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene”.
Come possiamo interpretare questa frase?
La
parola ministro in greco è diacono, cioè servitore. Ministro dunque
non indica un potere ma un servizio. Il politico, secondo questa
ottica di Paolo, è un servo non un padrone. E chi serve? Secondo
Paolo serve Dio, ma non esercitando un compito religioso, bensì un
compito civile.
È
“un ministro di Dio per il tuo bene”. Il modo laico di servire
Dio da politico è quello di cercare il bene, oggi diremo il bene
comune, il bene di tutti, i diritti di tutti.
Se
l'autorità si mette al servizio del bene comune, allora adempie il
suo compito, la sua vocazione, potremmo dire utilizzando un termine
religioso. L’autorità è ministro di Dio anche se non ne è
consapevole, anche se non crede in Dio (come era del resto la
situazione al tempo di Paolo, con l’autorità che era quella
imperiale romana e pagana).
Per
il cristiano chi esercita un autorità è un servitore di Dio. E
anche se Paolo non lo dice, è ovvio che Dio rimane sopra l’autorità
e che quindi, se gli eventi portano a dover scegliere tra Dio e
l’autorità, bisogna scegliere Dio.
Questa
parole di Paolo non contraddicono quelle di Pietro nel libro degli
Atti degli Apostoli: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini.”
Se
l’autorità non è “ministro per il bene” come dice Paolo, ma
per il male, allora – non lo dice Paolo, ma lo dice Pietro negli
Atti e penso che Paolo sarebbe stato d’accordo – è lecito
disobbedirle. Se per obbedire all’autorità devo disobbedire a Dio,
allora devo scegliere Dio.
E
forse l’ultima parola vuol proprio dire questo: Rendete
a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta
l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore;
l'onore a chi l'onore. L’onore
lo si deve all’autorità se fa il suo dovere di cercare di bene il
timore – che è ben più dell’onore – va reso a Dio.
Sappiamo
che il timore di Dio, tipica espressione biblica, non c’entra con
la paura, ma è la consapevolezza che Dio è santo e io no. Il timore
di Dio è quello suscitato dalla santità di Dio di fronte alla mia
miseria, dalla grandezza di Dio di fronte alla mia piccolezza, dalla
bontà di Dio di fronte al mio peccato.
Che
cosa c'entra tutto questo discorso con il tema della legalità?
c’entra perché accanto al nostro impegno di singoli e di chiese
per la legalità, dobbiamo partire dal presupposto che le autorità
civili costituite sono lì per la legalità e per i diritti, per il
bene, e il bene di tutti.
In
questo senso e se sono serve del bene, bisogna sottomettersi
all’autorità, noi diremmo riconoscere che essa ha un compito, che
è il bene comune.
Ma
ciò vuol anche dire costantemente ricordare alle nostre autorità
qual è il loro compito, ovvero quello del bene per tutti, e
denunciarle quando pensano solo al bene loro proprio o solo a quello
di qualcuno e non di tutti.
Uno
studioso della legge dirà che questo è il diritto di ogni cittadino
che elegge i suoi governanti, l’apostolo ci ricorda che questo
nostro stare sotto ma contemporaneamente anche di fronte all’autorità
è non soltanto un diritto, ma anche un nostro compito come credenti.
Nessun commento:
Posta un commento