Romani
3, 21-28
Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la
giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i
profeti:
vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per
tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio -
ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la
redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede
nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato
tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia
nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che
ha fede in Gesù. Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle
opere? No, ma per la legge della fede;
poiché
riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere
della legge.
Questo
brano, proposto per la domenica della Riforma, è un testo chiave del
discorso di Paolo ai Romani ed è stato definito da Lutero il “punto
capitale e centrale della lettera ai Romani e dell’intera
Scrittura”.
Qui
è infatti riassunto in poche e chiare parole il rapporto che c’è
tra esseri umani e Dio, e il ruolo che essi hanno in questo rapporto
che possono essere riassunti dal peccato radicale dell’essere umano
e dalla grazia altrettanto radicale di Dio.
Infatti
non esiste grazia di Dio senza peccato umano. Se si accetta l’idea
della grazia di Dio non si può non accettare anche l’idea del
peccato radicale dell’essere umano, perché rifiutare una delle due
cose equivale a rifiutarle tutte e due.
Abbiamo
ascoltato il racconto evangelico del fariseo e del pubblicano (Luca
18,9-14) che salgono entrambi al tempio a pregare, e il fariseo
ringrazia di essere quello che è, e di non essere un peccatore come
il pubblicano, mentre quest’ultimo chiede semplicemente perdono per
le proprie colpe.
Il
fariseo di questo racconto è un uomo che crede
fermamente
alla grazia di Dio, che crede fermamente in un Dio misericordioso; il
suo errore non è quello di non credere alla grazia di Dio; il suo
errore è quello di non credere al proprio peccato!
E
proprio questo è il suo peccato principale: credere alla grazia
senza credere al peccato. Ma non ha senso credere alla grazia, se non
si crede al proprio peccato.
“Non
c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di
Dio”
dice
Paolo; tutti, non vi sono persone più vicine a Dio di altre: e
questa è per noi la cosa più difficile da accettare, anche dopo
duemila anni di cristianesimo e quasi cinquecento di Riforma.
È
difficile accettare che davanti a Dio non c’è distinzione e che
tutti sono peccatori, e quindi che ciascuno di noi è peccatore e lo
è fino in fondo.
Come
accettare che non ci sia distinzione davanti a Dio e alla sua grazia
tra chi va ogni domenica al culto e chi non ci va mai? Come accettare
che non ci sia distinzione davanti a Dio tra chi prega tutti i giorni
e chi non prega mai?
Come
accettare che non ci sia distinzione davanti a Dio tra noi, che ci
riteniamo buoni cittadini, e qualcuno che è detenuto in carcere per
aver commesso qualche reato? E in fondo: come accettare che non vi
sia distinzione davanti a Dio e alla sua grazia tra il fariseo e il
pubblicano?
Queste
parole: “non c’è distinzione, tutti hanno peccato” sono il
vero scandalo del cristianesimo, scandalo che rimarrà sempre uno
scandalo, perché non potrà mai essere accettato pienamente. Forse a
parole diciamo “è vero è proprio così, tutti hanno peccato e
sono privi della gloria di Dio”, ma in fondo in fondo ognuno pensa
di essere un po’ meglio di altri.
Molto
spesso diciamo: “eh sì, siamo tutti peccatori”. Ma quante volte
dicendo questo pensiamo dentro di noi: “eh sì, io
sono peccatore, proprio come tutti gli altri”? e quante volte la
frase “siamo tutti peccatori” non ha piuttosto lo scopo di
autogiustificarci nel senso del proverbiale mal
comune mezzo gaudio?
Finché
non verrà pienamente accettato lo scandalo del “non c’è
distinzione” (cioè forse mai!) ci saranno sempre disuguaglianze
tra gli esseri umani.
Perché
è questo scandalo che elimina le disuguaglianze tra gli esseri
umani, sono le parole “non c’è distinzione” che eliminano le
disuguaglianze tra gli esseri umani. Solo se tutti siamo egualmente
peccatori e egualmente privi della gloria di Dio, siamo tutti uguali.
Ma
finché qualcuno pensa di essere un po’ meglio, un po’ meno
peccatore, ci saranno sempre disuguaglianze e discriminazioni. È
quando i farisei si ritengono migliori dei pubblicani che esistono le
discriminazioni; è quando i bianchi si ritengono migliori dei neri,
quando gli uomini si ritengono migliori delle donne, quando i
laureati si ritengono migliori di quelli che hanno la seconda
elementare, quando i “furbi” si ritengono migliori degli onesti,
che esistono le discriminazioni …
Nel
nostro orgoglio non sappiamo accettare di essere tutti uguali, ognuno
vuole essere meglio e qualcosa di più di qualcun altro. Vogliamo
essere diversi da quel che siamo, cioè tutti peccatori, senza
distinzione.
La
Parola di Dio ci dice e ci ripete che invece è proprio così, che
“non c’è distinzione”.
Questo
significa che davanti a Dio abbiamo tutti le stesse possibilità,
perché l’unica possibilità per tutti è di ricevere da lui la sua
grazia.
Di
ricevere, non di offrire, non abbiamo nulla da offrirgli. l’unica
possibilità che abbiamo davanti a Dio è quella che ci dà lui, è
quella che lui, Dio, dona a chi vuole. Nella parabola questa
possibilità la dà al pubblicano, sebbene il fariseo avesse –
umanamente e religiosamente parlando - molto di più da offrirgli.
Questa
possibilità è la grazia: “tutti
hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati
gratuitamente per la sua grazia mediante la redenzione che è in
Cristo Gesù”.
Questa
possibilità è un dono, ed è certa. È certa a meno che, come il
fariseo, pensiamo di non averne bisogno, di non avere bisogno del
dono della grazia, ma di avere noi qualcosa da offrire a Dio.
È
certa, ma questa certezza non dipende da noi, dalle nostre opere, da
ciò che facciamo. Anzi: è certa, proprio perché
non dipende da noi, ma dipende esclusivamente da Dio, da ciò che lui
ha fatto in Cristo per noi (mica per lui, per noi!): “la
redenzione che è in Cristo Gesù”.
Perché
ottenessimo questo dono “Dio
lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel
suo sangue”.
Paolo usa il linguaggio sacrificale per dire che non è stato un
regalino quello che Dio ci ha fatto, ma un enorme dono, un
sacrificio, perché è costato la vita del suo figlio Gesù.
È
perché è costato la vita di Gesù che quel dono è certo, che il
perdono di Dio è una certezza, che la possibilità che Dio ci dona
di ricominciare è certa.
La
nostra fede riconosce e crede semplicemente tutto ciò. Non è un
merito nemmeno la nostra fede. La
fede non è un punto di arrivo. Il teologo svizzero Karl Barth
commentando questi versetti scriveva: “Non c’è ... nessun
itinerario di salvezza, nessuna scala graduata verso la fede... la
fede è sempre l’inizio”.
La
fede, la chiesa, il culto, la preghiera, la spiritualità personale
non sono mai il punto di arrivo, bensì sempre quello di partenza.
Punto di partenza per tentare ogni giorno di vivere una vita nella
gratitudine e nel discepolato.
Per
tentare ogni giorno di vivere riconoscenti per l'enorme dono che il
Signore ci ha fatto e quindi di restituire al nostro prossimo, di
condividere con il nostro prossimo un po’ di quel dono e di
quell’amore che abbiamo ricevuti.
La
grazia di Dio, che è dono, rivoluziona la nostra vita perché ci
inserisce nella logica del dono e vuole che la logica del dono
diventi la nostra vita quotidiana, che la logica del dono diventi il
modo in cui guardiamo negli occhi il nostro prossimo.
È
grazie
a questo dono di Dio che viviamo,
è grazie
a questo dono di Dio che speriamo,
è grazie a questo dono di Dio che amiamo.
Perché non avendo nulla da offrire a Dio, se non confessargli il
nostro peccato, riceviamo tutto da lui, per grazia, in dono.
La
Riforma, iniziata 499 anni fa, in fondo ha voluto far riscoprire ai
cristiani che il centro dell’evangelo è questo dono, questo
“tutto” che Dio ci ha donato in Cristo, in cambio del “nulla”
che possiamo offrirgli. E che su questo “tutto” che Dio ci ha
donato abbiamo la possibilità di costruire una vita piena di amore,
piena di speranza, piena di gioia.
Piena
di tutto ciò, perché lui l’ha riempita, nella sua grazia, del suo
dono di cui possiamo solo essere riconoscenti ogni giorno della
nostra vita.
Nessun commento:
Posta un commento