Il
primo segno di Gesù
Giovanni 2,1-12
letture: Osea 2,21-25; Apocalisse 21,9-14
1
Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c'era
la madre di Gesù. 2
E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. 3
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno
più vino». 4
Gesù le disse: «Che c'è fra me e te, o donna? L'ora mia non è
ancora venuta». 5
Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6
C'erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la
purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre
misure. 7
Gesù disse loro: «Riempite d'acqua i recipienti». Ed essi li
riempirono fino all'orlo. 8
Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola».
Ed essi gliene portarono. 9
Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata
vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i
servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse:
10
«Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto
abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono
fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
12 Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni.
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
12 Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni.
Tradizionalmente,
dai primi secoli del cristianesimo, sono stati associati alla festa
dell’Epifania che avete ricordato domenica scorsa tre misteri,
o tre manifestazioni:
– la
manifestazione
di Cristo al mondo pagano,
attraverso l’apparizione della stella e la visita dei magi
d’Oriente,
– la
manifestazione a Israele,
attraverso il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista e la
voce celeste che lo proclama: “mio figlio, amato”,
– e
la manifestazione ai discepoli,
attraverso il miracolo avvenuto durante le nozze a Cana; quello del
dono di un’abbondanza di vino, testo che si conclude, come abbiamo
sentito con le parole: “Gesù fece questo primo dei suoi segni in
Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli
credettero in lui” (Gv 2,12).
Ecco
perché ho scelto di centrare la mia predicazione su questo miracolo.
Faccio però subito notare che parliamo solitamente del “miracolo
di Cana”, mettendo così l’accento sulla straordinarietà
dell’evento, e ci chiediamo magari come
Gesù abbia fatto per cambiare l’acqua in vino, o addirittura se
possiamo credere in un tale miracolo che, per di più, offende la
sensibilità degli astemi! L’evangelo di Giovanni però non parla
di “miracolo”; usa sempre, per parlare dei prodigi compiuti da
Gesù, del termine “segno”. Ora, lo sappiamo, un segno è un
indicatore: indica qualcos’altro. È ciò che ricorda un celebre
proverbio cinese: “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda
il dito!”. Interrogarci sul come dell’atto di Gesù è
fuorviante; dobbiamo invece interrogarci su che cosa questo segno
indica. E l’evangelo ce lo rivela subito: indica la “gloria”
del Cristo. Ma in che senso questo gesto è portatore di una tale
rivelazione?
Senza
pretendere di esaurire i significati di questo episodio così ricco
di significati che occorrerebbe molto più tempo per scoprirne tutti
i sensi, vorrei accennare solo a tre dimensioni particolari di questo
evento, che sono anche tre ingredienti della gloria di Cristo.
Anzitutto,
questo racconto parla della partecipazione di Gesù a una festa. Cana
è oggi una città di circa 20000 abitanti, ma allora era un
villaggio forse appena più grande di Nazareth, dal momento che a
Cana si disprezzavano i Nazareni: “Può forse venire qualcosa di
buono da Nazareth?” (Gv 1,46) aveva chiesta Natanaele quando
Filippo gli aveva parlato di Gesù. Nel villaggio, c’è festa per
due giovani che si sono sposati. Come avviene ancora oggi nei
villaggi dell’Oriente, quando una famiglia è in festa, tutto il
villaggio partecipa alla festa. Così, a questa festa era stata
invitata Maria, la madre di Gesù, ma anche Gesù e i suoi discepoli.
Il gesto che Gesù compie, su richiesta della madre, di provvedere ad
un tratto a fornire un’enorme quantità di vino (si tratta di circa
600 litri di vino!) mostra che Gesù vuole che la festa possa
continuare nella gioia; Gesù non viene a guastare le nostre feste
con la serietà di colui che annuncia cose importanti. Per lui, oggi,
è importante che gli sposi possano far festa con i loro commensali.
Poco importa come Gesù abbia potuto cambiare l’acqua in vino:
l’importante è l’offerta di un vino a profusione… e di un vino
eccellente fino alla fine, perché la festa sia riuscita e la gioia
sia piena. In questo Gesù rivela qualcosa della sua gloria: essa
consiste nel trovare il modo di rendere gli esseri umani felici
e gioiosi. Dio non è un guastafeste; Dio si rallegra quando ci vede
nella gioia, perché il nostro Dio è un Dio gioioso. Ce lo ricorda
quella parabola dei talenti in cui i servi che hanno messo a profitto
i beni ricevuti sentono il Signore dichiarare: “Bene, servo buono e
fedele … entra nella gioia del tuo Signore!” (Mt 25,21.23).
Ecco una dimensione di Dio che noi, protestanti, abbiamo forse un po’
tendenza a dimenticare; rischiamo di prenderci troppo sul serio!
Accogliamo quindi questo sorriso di Dio manifestato a Cana: il nostro
è un Dio che ama la gioia!
Ma
vi è un’altra manifestazione in questo racconto: prima di
procedere al dono del vino, Gesù dà ordine ai servitori di riempire
di acqua sei recipienti che servivano per la purificazione dei
Giudei. Se Giovanni sente il bisogno di precisare che questi
recipienti avevano un ruolo cultuale, ci dev’essere un motivo.
Non si tratta solo di indicare la grandezza di queste giare, dal
momento che essa viene specificata: due-tre misure, cioè tra 70 e
100 litri ciascuna. Con il suo gesto Gesù intende dire che ora non
c’è più bisogno di acqua per rendersi puri davanti a Dio, l’acqua
non serve più; ciò che invece conta è la gioia dei commensali:
essa è espressione della purezza che si credeva di ottenere
attraverso le abluzioni. Ma quella gioia, non è solo quella
provocata dal vino, è invece la gioia che viene dal Cristo: è lui,
con la sua presenza, con la sua parola, e le sue azioni … anzi con
la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione che ci rende puri e
ci permette di stare alla presenza di Dio nella consapevolezza di
trovare in lui non un giudice che fa paura, ma un padre ricco di
tenerezza.
Ma
vi è ancora una terza manifestazione, più difficile da afferrare,
ma essenziale al nostro episodio. In Giovanni, Maria, la madre di
Gesù, appare solo qui e alla fine dell’evangelo, quando Gesù
è sulla croce. Questo lascia sottintendere che esista una relazione
tra questi due episodi, tanto più che qui come là, il nome di
Maria non è pronunciato, ma si parla solo della “madre di Gesù”
e, fatto più notevole ancora, in entrambe le scene Gesù si rivolge
alla madre chiamandola “Donna!”. “Che c’è fra te e me,
o donna?” e, sulla croce, vedendo sua madre e il discepolo amato,
Gesù dichiara: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Infine,
notiamo che è a Cana, durante quelle nozze, che Gesù accenna
per la prima volta alla sua ora, di cui sappiamo, per il resto
dell’evangelo, che è proprio l’ora della croce. Allora quale
relazione esiste tra quel matrimonio di Cana e la morte di
Cristo sulla croce?
Per
comprenderla è importante rilevare che qui Gesù partecipa a un
matrimonio, ma stranamente, non si parla affatto della sposa, e
lo sposo è solo appena nominato. In realtà, le due figure
importanti dell’episodio sono Gesù e sua madre, come al momento
della morte di Gesù. Qui, a Cana, Gesù non si rivolge solo a Maria
chiamandola “donna”, cosa tutto sommato piuttosto strana
sulle labbra di un figlio, ma Gesù sembra anche non riconoscere
alcun legame familiare con Maria: “Che c’è fra te e me?”.
Sembra che attraverso questo procedimento l’evangelista
intenda innescare un discorso simbolico, come se dicesse: Non
fermatevi alla relazione madre-figlio; guardate piuttosto a
quell’altra relazione: quella che esiste tra l’Uomo – quello
veramente autentico, come Dio lo vuole: Gesù – e la Donna –
quella che Dio cerca fin da principio per farne la sua Sposa:
quella di cui parla Dio nella profezie di Osea che abbiamo ascoltato,
quella di cui parla anche l’altro testo che abbiamo letto
nell’Apocalisse –.
Ebbene,
proprio questo sposalizio avviene sul Golgota; è là che l’Uomo –
così Pilato ha presentato Gesù alla folla: “Ecco l’Uomo!” (Gv
19,5) –, il nuovo Adamo si unisce alla Donna-madre, la nuova Eva; e
da questa unione nasce il primo figlio, il discepolo amato: “Donna,
ecco tuo figlio!”, che è figura di ogni cristiano. Certamente, la
croce rimane un orrido supplizio, ma nella fede Giovanni ha saputo
vedervi la sorgente da cui nasce la Chiesa, la Sposa dell’Agnello.
E noi, figli di queste nozze, diventiamo in questo modo parte della
gloria stessa di Cristo!
Allora,
nonostante la nostra debolezza e piccolezza, non cessiamo di rendere
grazie a Dio e al Figlio suo che ci ha amati fino a dare per noi la
sua vita. A Lui, lode e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
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