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Corinzi 5,14-20
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infatti l'amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa
conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; 15
e ch'egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più
per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. 16
Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di
vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di
vista umano, ora però non lo conosciamo più così. 17
Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose
vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. 18
E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo
di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. 19
Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non
imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola
della riconciliazione. 20
Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse
per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate
riconciliati con Dio.
Quest’anno,
in cui le chiese protestanti insieme alle altre chiese cristiane
ricordano l’inizio della Riforma Protestante, ci viene proposto per
la SPUC questo testo dell’apostolo Paolo. Un testo molto bello,
molto denso, di cui possiamo oggi solo sottolineare alcuni aspetti.
In
questo brano siamo al cuore dell’evangelo, e il cuore
dell’evangelo, della buona notizia per tutta l’umanità, è ciò
che Dio ha fatto per noi in Cristo. Questo è il tema di questo brano
di Paolo: ciò che Dio ha fatto per noi, cioè la morte e
resurrezione di Cristo.
Vorrei
provare a dire tre cose su questo testo così ricco:
1. la prima cosa
che vorrei dire è che qui Paolo parla di ciò che Dio ha fatto
usando una parola che nel Nuovo Testamento usa quasi soltanto lui, la
troviamo infatti alcune volte nelle sue lettere e solo due volte nei
vangeli: la parola riconciliazione.
Paolo
non usa il classico termine “salvezza”, non usa nemmeno il
termine che per lui è così importante “giustificazione”, ma -
appunto - “riconciliazione”. Nella chiesa di Corinto ci sono dei
conflitti che coinvolgono anche lui e che Paolo vuole tentare,
appunto, di riconciliare.
Per
riconciliare questi conflitti, Paolo fa appello a ciò che Dio ha
fatto per noi. Con la parola “riconciliazione” Paolo infatti
descrive ciò che Dio ha fatto per noi: “Dio ... ci ha
riconciliati con sé per mezzo di Cristo […]. Infatti Dio era in
Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini
le loro colpe”.
Dio
era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, cioè: la
riconciliazione è opera di Dio, di Dio soltanto: è lui che ha
deciso, è lui che ha operato.
Riconciliazione
vuol
dire fare pace. Se c’è bisogno di
fare pace, vuol dire che la
pace non c’è. Non c’era pace tra Dio e gli esseri umani, e
spesso ancora non c’è pace perché
noi esseri umani in fondo non vogliamo che Dio sia Dio, nel
senso che non vogliamo che
Dio regni sulle nostre vite, non vogliamo ascoltare quello che ha da
dirci e preferiamo fare di testa nostra, lasciandoci guidare, in
fondo, dal
nostro egoismo.
Questa
è la nostra colpa. E come
fa Dio a fare pace? Paolo ci dice: “non
imputando agli uomini le loro colpe”. E
questa è la grazia, che la
Riforma protestante ha rimesso al centro e che
Paolo qui descrive senza nominarla. La grazia, ovvero quell’amore
che ci spinge, costringe…..
Come
opera Dio la riconciliazione tra lui e noi? Tra lui, tre volte santo,
e noi, peccatori e colpevoli?
non imputandoci
le nostre
colpe.
Dio
mi dice e ti dice: tu sei colpevole, non sei innocente (e spesso il
peccato più grosso è proprio quello di ritenersi innocenti, come il
fariseo della parabola), ma io non ti imputo la tua colpevolezza,
ovvero non tengo conto della tua colpa. Questo non ti rende
innocente, ma ti giustifica, per usare quella parola che Paolo usa
così spesso. Rimani peccatore, ma un peccatore perdonato.
La
grazia giustifica e dunque
riconcilia, fa pace.
Ciascuno di noi
può quindi dire a Dio: Se
tu, Signore, non tieni conto della mia colpa, io posso trovare pace
in te. Perché Cristo è
morto e risuscitato per noi,
anche per noi,
come per tutta l’umanità.
Ecco
il cuore dell’evangelo, detto con una parola nuova, una parola che
dovremmo usare più spesso: riconciliazione.
La
riconciliazione parla della
stessa opera di Dio che chiamiamo salvezza,
o che chiamiamo
giustificazione, solo
che mette l’accento più sulle conseguenze dell’opera di Dio: Dio
riconcilia, Dio fa pace, firma un trattato
di pace unilaterale, e lo firma – scusate
l’immagine un po’ cruenta
– con il sangue di Gesù, versato per noi sulla croce.
Paolo
usa questa parola qui – e altrove nelle sue lettere – perché gli
interessa appunto parlar delle conseguenze dell’opera
riconciliatrice di Dio.
2.
E qui – e vengo alla seconda cosa che vorrei dire – la parola
chiave è “nuovo”. Se la guerra, il conflitto era la situazione
di prima, la pace è la nuova situazione.
Paolo
elenca almeno due novità,
due grosse,
enormi novità: la prima è
che “quelli che vivono non
vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato
per loro”. La tua vita
cambia, cambia obiettivo, cambia scopo. Lo scopo della tua vita
non sei più tu, non vivi più per te stesso, ma per Cristo, che è
morto e risuscitato per te.
Ciò
significa che Cristo è ora il Signore della tua vita, il
che ha molte, moltissime conseguenze. Ne dico solo una perché in
realtà chiedersi che cosa
voglia dire che
Cristo è il Signore della nostra vita equivale a chiedersi che cosa
voglia dire essere cristiani,
riflessione che dura tutta
la vita.
L’unica
cosa che
abbiamo il tempo di dire ora
è che se Cristo è il
Signore della nostra vita, nella nostra vita non ci sono altri
signori. E questa è la nostra libertà: sapere che l’unico a cui
dobbiamo obbedire
e rendere conto è il nostro Signore Gesù Cristo.
Questa
consapevolezza e questa
libertà l’hanno
testimoniata
nella storia cristiani di tutte le chiese,
a volte fino
al martirio;
non l’hanno fatto tutti –
forse l’hanno
fatto in pochi - e
non l’hanno fatto sempre,
ma di questi testimoni ce ne
sono nella storia di ciascuna delle nostre chiese.
La
seconda novità
è che “da ora in poi, noi
non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano” (nemmeno
Gesù, che non è solo più l’uomo Gesù, il falegname di Nazaret,
ma è il nostro Salvatore, o se preferite Riconciliatore).
Non
conosciamo più nessuno da un punto di vista umano,
perché “Se … uno è in
Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate:
ecco, sono diventate nuove”.
La
persona che hai di fianco, o incontri per strada
o sul lavoro
o nella vita sociale della
tua città non
è un persona
qualunque ma è
una sorella o un fratello per cui Cristo è morto e risorto,
anche se è un
estraneo.
Questa
è la novità frutto della riconciliazione che Dio ha operato tra lui
e noi: che possiamo vedere l’altro essere umano in modo
riconciliato, con occhi riconciliati, come colui o colei per cui
Cristo è morto e risorto.
Questo
cambia tutto; o meglio, cambierebbe tutto, se sapessimo viverlo
davvero. Anche e proprio tra noi: il cristiano dell’altra chiesa
non è solo un valdese, un ortodosso, un avventista, un cattolico…
è prima di tutto colui o colei per cui Cristo è morto e risorto.
Ma
anche nella nostra vita sociale fuori dalla chiesa: l’altro o
l'altra che incontro tutti i giorni o una sola volta in vita mia,
prima di essere simpatico o antipatico, italiano o straniero,
cristiano o musulmano, o buddista o ateo è colui o colei per cui
Cristo è morto e risorto. Non per cristianizzare tutti, ma perché
questo è il nostro punto di vista riconciliato, perché Dio ci
riconcilia con il prossimo, chiunque egli sia.
3.
Infine, la terza e ultima cosa: questo brano contiene anche un
compito per tutti e tutte noi: Paolo dice che Dio “ci ha affidato
il ministero della riconciliazione … ha messo in noi la parola
della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per
Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro”.
Siamo
ministri, ambasciatori della riconciliazione che Dio ha operato tra
lui e noi e delle riconciliazioni possibili tra noi esseri umani.
Perché Dio ha messo in noi la parola della riconciliazione, la
Parola dell’evangelo che ci annuncia che Dio ha fatto pace con noi,
parola che siamo chiamati a vivere, annunciare e testimoniare.
Siamo
tutti e tutte ministri, abbiamo un ministero - in greco è
“diaconia”, ovvero servizio - siamo quindi servi della
riconciliazione. Abbiamo un compito: vivere, dire e seminare
riconciliazione.
“Come
se Dio esortasse per mezzo nostro”, dice Paolo: Dio ha bisogno
della nostra voce e della nostra vita, dei nostri gesti e delle
nostre scelte per far conoscere questo grande dono della
riconciliazione, quella che lui ha operato in Cristo e quelle
possibili di cui abbiamo bisogno tra di noi.
Inutile
dire quanto bisogno c’è nel mondo bisogno di riconciliazione, a
partire dalle nostre famiglie e dalle nostre chiese fino ai numerosi
conflitti che insanguinano il mondo; già nella chiesa di Corinto, a
cui Paolo scrive, c’era bisogno di riconciliazione. È dunque
chiaro quanto bisogno c’è di ministri, di servi della
riconciliazione.
Oggi
siamo qui, cattolici, ortodossi, avventisti, valdesi, riconciliati da
Dio con sé e quindi tra di noi. Siamo qui come sorelle e fratelli
per cui Cristo è morto e risorto, a chiedere a Dio di aiutarci prima
di tutto a credere nella riconciliazione che ha operato in
Cristo, a credere che ci ha riconciliati con sé; poi a vivere
le grandi novità che questa riconciliazione comporta, guardando il
prossimo con occhi riconciliati.
E
infine a essere ministri, servi, ambasciatori della sua
riconciliazione per cercare di portarla laddove ce n’è bisogno. È
questo un compito che possiamo senza dubbio portare avanti insieme.
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