Luca
17,7-10
7
«Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà
forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a
metterti a tavola"? 8 Non gli
dirà invece: "Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi
finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu"? 9
Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello
che gli era stato comandato? 10 Così,
anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite:
"Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in
obbligo di fare"».
Una
parabola che sconcerta questa di Gesù, per l’immagine che usa e
che è facile fraintendere. Può anche sembrare fuori luogo in questa
domenica in cui ricordiamo la ricorrenza del XVII febbraio, ovvero la
festa della libertà, che ricorda la concessione dei diritti civili
ai valdesi nel lontano 1848. Celebriamo la libertà leggendo un testo
che parla di servi? Ma non è una contraddizione? Su questo ci
ritorniamo tra poco.
Partiamo
dal testo. Come sappiamo, nelle sue parabole Gesù prende sempre
spunto dalle cose che accadono intorno a sé, nel suo mondo e nella
sua società. In questo caso prende spunto dal rapporto che c’era
ai suoi tempi tra padroni e servitori. Ma sarebbe un errore
trasformare questa parabola in un’allegoria; prendere questa
parabola per allegoria vuol dire che noi sostituiamo Dio al padrone e
noi al servo e la interpretiamo come se Gesù volesse dirci che Dio è
il nostro padrone e noi siamo i suoi servi. Ma non è questo
l’intento di Gesù. Gesù non vuole dirci che Dio è il nostro
padrone e noi siamo i suoi servi e non vuole nemmeno dirci che Dio ci
tratta in modo sprezzante come fa il padrone di questa parabola e
come hanno spesso fatto tutti i padroni con i loro servi.
Attenzione
però: il tema della parabola non è come Dio ci considera, ma come
noi consideriamo noi stessi. Che cosa dice infatti Gesù dopo aver
raccontato la parabola? Dice: «Così, anche voi, quando avrete fatto
tutto ciò che vi è comandato, dite: “Noi siamo servi inutili;
abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”». Siamo noi
che dobbiamo considerarci servi inutili, non è Dio che ci considera
tali. Se Dio ci considerasse inutili non si sarebbe preso la pena di
inviare suo figlio in mezzo a noi e farlo arrivare fino alla croce
per la nostra salvezza. No, la parabola non è un giudizio di Dio su
di noi, ma è un insegnamento su come noi dobbiamo considerare noi
stessi. È una parabola che vuole insegnarci come considerare il
nostro fare, le nostre opere. Gesù con l’immagine del servo, vuole
sgombrare ogni dubbio: quello che fai nella tua vita da credente non
lo fai per avere qualcosa in cambio.
Come
dobbiamo valutare le nostre opere, il nostro agire? Per prima cosa -
se vogliamo rimanere nell’immagine della parabola di Gesù -
potremmo dire che ciò che facciamo è nostro dovere: «abbiamo
fatto quello che eravamo in obbligo di fare». Gesù vuole dirci che
nei confronti di Dio – se proprio vogliamo usare una metafora
economica – non siamo creditori, ma siamo debitori. Siamo debitori
di tutto: della vita – della nostra vita in senso biologico e di
tutte le vite di cui siamo circondati, dagli affetti alle sorelle e
ai fratelli, fino alla natura – siamo debitori della nuova
vita, cioè della vita che viviamo nella fede.
Gli
dobbiamo la salvezza, cioè il fatto che Gesù è venuto, è morto e
risorto anche per noi, anche per me e per te. Gli dobbiamo il
perdono, cioè il fatto che ci guarda con gli occhi della
misericordia e non con gli occhi del giudizio; gli dobbiamo la
chiamata che ci rivolge ogni giorno, gli dobbiamo la fede che è
anch’essa un suo dono, gli dobbiamo la speranza di cui ha riempito
la nostra vita. E gli dobbiamo anche la comunità in cui ci ha
inseriti, per non lasciarci soli. In questo senso l’immagine del
servo è chiara ed esplicita. Non è Dio che deve qualcosa a noi, ma
il contrario, siamo noi che gli dobbiamo tutto.
Questo
modo di parlare di ciò che facciamo, l’essere servi di Dio, si
affianca e integra l’altro modo tipico della teologia protestante
per parlare delle nostre opere, che è la gratitudine: noi
operiamo per gratitudine nei confronti di quel Dio che ci ha donato
tutto. Gli siamo debitori di tutto, come dicevamo prima, ma non
possiamo dargli nulla, perché Dio non ha bisogno che noi gli diamo
qualcosa. Chi è invece che ha bisogno che noi gli diamo qualcosa? È
il prossimo di cui ci parla l’evangelo molte volte e in molti modi.
La
tua gratitudine nei confronti di Dio la manifesti nell’amore per il
prossimo; Dio vuole che restituiamo un piccola, minima parte
dell’enorme debito che abbiamo nei suoi confronti e che non potremo
mai saldare, donandoci al prossimo. Gratitudine verso il nostro Dio
misericordioso e servizio del nostro Dio che è il Signore della
nostra vita. Non dobbiamo dimenticare questo aspetto del nostro
rapporto con Dio: Dio è il nostro salvatore ma è anche il nostro
Signore, nel senso che vuole regnare sulle nostre vite e, come
dicevamo due domeniche fa con i bambini, vuole che la sua volontà
accada attraverso di noi.
È
il Dio tenero e misericordioso, ma anche il Dio esigente, che ci
chiede con forza di seguire la sua volontà e non la nostra. In
questo senso servi, nel senso che siamo chiamati a fare la volontà
di qualcun altro e non la nostra; ma poiché quel qualcun altro è
Dio, il Dio che ci salva e ci libera, essere suoi servi e fare la sua
volontà non è affatto degradante e dispregiativo. Essere servi di
Dio non è affatto degradante, tutt’altro: è un onore e un dono.
Dio
vuole, ci chiede che noi operiamo per la pace, per la giustizia, per
l'uguaglianza, per risollevare quelli che sono a terra, per ridare
dignità agli emarginati, per ridare speranza ai disperati, insomma
vuole che facciamo quello che ha fatto Gesù, ovviamente con le
nostre capacità e le nostre forze.
Questo
significa essere suoi servi. E quando abbiamo fatto tutto questo –
ma è chiaro che non riusciremo mai a fare tutto ciò che il Signore
vuole da noi, magari qualche frammento - ma quand’anche avessimo
fatto tutto ciò che il Signore ci chiede, dovremmo dire come il
servo della parabola: siamo servi inutili, ciò che ho fatto non è
un merito, non comporta una ricompensa, non mi sono guadagnato nulla,
ma ho solo fatto il mio dovere di discepolo di Gesù, di servo di
quel Signore che vuole essere servito nel prossimo che ha bisogno
della mia presenza e del mio amore.
Ma
servi inutili vuol anche dire che noi non siamo indispensabili
all’opera del Signore, mentre lui è indispensabile a noi; vuol
dire che noi non facciamo nulla che non possa fare qualcun altro,
mentre Dio ha fatto per noi quello che nessun altro può fare. Non
siamo indispensabili, eppure il Signore ci ha scelti come suoi servi;
avrebbe potuto non sceglierci e invece ci ha scelti e in questa
scelta si è manifestata la sua grazia. E avendoci scelti, noi ora
siamo suoi servi, non nel senso dispregiativo che ha per noi questa
parola, ma nel senso che siamo al suo servizio.
E
non solo essere servi di Dio non ha nulla di umiliante, ma al
contrario la Bibbia ci dice che in fondo essere servi di Dio è
l’unico modo per essere veramente liberi. Nella concezione biblica
non esiste la libertà assoluta: o si è servi di Dio o si è servi
di qualcuno o qualcosa altro. Qualcosa deve guidare la nostra
esistenza, le nostre scelte. Possiamo essere servi di noi stessi,
dei nostri desideri, in ultima analisi del nostro ego e del nostro
egoismo; possiamo essere servi di un leader, di un capo, di una guida
umana che ci fa da padroni; possiamo essere servi di un’ideologia
(e spesso l’ideologia è portata avanti da un capo e le due cose
vanno insieme) e essere servi convinti di quella ideologia, o
convinti che quel capo ha veramente ragione. Oppure possiamo essere
servi di Dio, come ci ha insegnato Gesù, e quindi liberi dal nostro
egoismo, liberi da ogni capo e liberi da ogni ideologia.
Ricordo
che anni fa in occasione di un culto con la confermazione di alcuni
ragazzi/e, il collega che presiedeva il culto fece inginocchiare quei
ragazzi/e, cosa per noi inusuale, e disse loro una cosa che mi è
piaciuta molto e che a volte gli “copio”: Disse loro: “oggi
voi vi inginocchiate qui davanti a Dio, al vostro Signore, per non
dovervi inginocchiare mai nella vostra vita davanti a nessun altro
signore”.
Il
Dio di Gesù Cristo è l’unico Signore che libera, ed è un grande
dono esser suoi servi. Servi inutili, nel senso che non operiamo per
avere un utile, ma agiamo perché il Signore ce lo chiede, dunque
perché è giusto, e per amore, perché il Signore ci chiede di amare
e amare nella Bibbia vuol dire servire, come ha detto e fatto Gesù,
che si è fatto servo fino alla croce. Il compito è sconfinato:
ovunque c’è dolore, o colpa, o tristezza, o solitudine, o
conflitto, lì c’è un servizio che Dio ci chiama a compiere, per
portare conforto, riconciliazione, speranza.
Ci
dia il Signore di poter andare davanti a lui ogni sera e dirgli:
Signore,
Tu mi hai fatto la grazia di chiamarmi a essere tuo servo e ti questo
non ti ringrazierò mai abbastanza. Ho cercato di essere un servo
fedele, ma so di averlo fatto spesso poco e male.
E
so anche che quando ho fatto tutto ciò che era nelle mie
possibilità, rimango un servo inutile e continuo ad avere bisogno
del tuo perdono e della tua grazia.
Continua,
Signore, nella tua grazia, a perdonare i miei errori e a chiamarmi al
tuo servizio, perché è beato chi tu chiami al tuo servizio, perché
solo al tuo servizio c’è la vera libertà.
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