Le due facce della gratuità
Il terremoto che ha così duramente devastato l'Abruzzo si è verificato in uno dei periodi più significativi dell'anno liturgico cristiano. Ha colpito nella notte successiva alla domenica delle Palme e ha visto la primissima emergenza prolungarsi nella Settimana santa, rendendo certamente più difficile e delicato ai predicatori accostarsi ai testi della Passione di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione.
Una lettera inviata da una lettrice a un noto quotidiano nazionale riportava questa riflessione: la domenica del 5 aprile moltissime persone si sono recate nelle chiese, hanno ricevuto il ramoscello d'ulivo simbolo di pace, alcune si sono spinte in pellegrinaggio verso i santuari preposti. Poi sono tornate a casa e nella notte è arrivata la catastrofe. Sono state, le loro, delle preghiere inefficaci? La loro pietà solo un insieme di inutili gesti superstiziosi? Oppure è Dio che è rimasto silenzioso, incapace di agire nel mondo, assente?
Non credo di avere risposte a queste domande, solo una riflessione che da tempo mi accompagna. E cioè che tutta la vita umana è, nel bene e nel male, segnata dalla dimensione della gratuità. Gratuità è una parola che i credenti conoscono bene, per loro rassicurante: rimanda alla grazia di Dio, all'amore che dà senza pretendere nulla in cambio, alla dimensione del dono che Gesù esprime nel modo più alto offrendo se stesso per la vita dei molti.
Eppure gratuità è una parola ambivalente, da maneggiare con cura, perché davvero descrive l'interezza dell'esistenza umana: quella sensata e salvifica dell'evangelo – il dono -, ma anche quella insensata e devastante delle catastrofi - l'arbitrio. Di un'azione che non ha senso, non ha spiegazione, non ha logica diciamo che è gratuita; qualcosa che riceviamo come dono inaspettato capace di cambiare in meglio la nostra vita, diciamo anche qui che è gratuito. La morte tra le macerie è gratuita; la salvezza di Dio e il suo amore – ma anche l'amore di un nostro caro, il gesto solidale del nostro prossimo – sono gratuiti. Forse, la difficoltà della fede a gestire queste situazioni tanto drammatiche sta anche nel fatto che è la stessa parola a definire morte e vita, distruzione e salvezza.
Noi viviamo quotidianamente a contatto con questo doppio significato della parola gratuità, divisa tra ciò che è puro arbitrio e ciò che è puro dono; qualche volta vedendo solo il primo, altre volte sperimentando anche il secondo. E' l'ambito del nostro esistere nel quale talvolta, come Giobbe, ci troviamo a chiedere (a urlare!) conto a Dio di quanto capita a noi e attorno a noi, ma anche nel quale, altre volte, veniamo colti dalla grazia del Signore che ci accompagna in ogni nostra situazione e ci dona senso e vita laddove non avremmo pensato di trovarli.
Un cristiano non è certamente meno esposto di altri all'arbitrio e all'insensatezza del vivere. La fede non cerca risposte incontrovertibili, né può rimanere soddisfatta da chi attribuisce ogni cosa che succede a Dio – si rischierebbe di confondere l'onnipotenza con l'arbitrio -, né chi lo ritiene estraneo a tutto ciò che di male si verifica – dove si sarebbe nascosto nella notte del 6 aprile il Dio onnipresente? Mi sembra invece saggio ciò che diceva il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, ucciso in un campo di concentramento nazista e che qui cito a memoria: "Non tutto quel che succede dipende da Dio, ma in tutto quel che succede Dio è presente”. È un programma difficile: cercare tra le macerie dell'insensatezza del vivere, la mano nascosta del Dio che ancora ci guida verso la vita laddove regna la morte.
tratto dal sito: www.fedevangelica.it
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