Hanno avuto una certa risonanza mediatica le parole del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, secondo cui le recenti esternazioni del pontefice sono state oggetto di «attacchi pretestuosi, discutibili e insolenti». Ci si perdoni l’ardire, ma l’impressione è che ampiamente discutibili fossero, anzitutto, i pronunciamenti di Benedetto XVI. E questo è proprio quanto buona parte della stampa internazionale ha cercato di fare: discutere. Ogni rilievo mosso poi, com’è ovvio, è passibile di replica: ma pare che tale prassi sia sconosciuta Oltretevere, dove si preferisce tacciare la libertà d’opinione di mancanza di rispetto. Una sorta di «lesa maestà», alla quale il Vaticano reagisce con risentimento e indignazione. Al dissenso, a quanto pare, le gerarchie cattoliche non sono avvezze: non è contemplato, non è lecito nemmeno farvi accenno. Vige piuttosto il diktat dell’omologazione, il tacito presupposto secondo cui le affermazioni papali attinenti alle questioni etiche non sono in alcun modo discutibili. Il fatto che tale pretesa sia del tutto infondata e illusoria è di una tale evidenza che pare superfluo ribadirlo. Più importante, forse, può risultare soffermarsi su due aspetti.
Il primo di essi riguarda l’egemonia culturale che la chiesa cattolico-romana sembra aver perso, sia nell’ambito dell’opinione pubblica sia in quello della classe politica di quasi tutti i Paesi europei (eccezion fatta, si capisce, per l’Italia, ampiamente succube, in entrambe i contesti, delle direttive vaticane). Questa refrattarietà alla cieca obbedienza sembra irritare non poco alcuni porporati: ma tant’è. Forse sarebbe meno controproducente farvi i conti, dando per assodato che i pronunciamenti ex cathedra, ormai, non riscuotono più il consenso plebiscitario di un tempo. Sempre più ci si esprime in ordine alla plausibilità di un’argomentazione e non in base al lignaggio di chi la sostiene: progressi del pensiero sviluppatosi in seno alle democrazie e che, pertanto, l’ultima monarchia assoluta occidentale stenta, comprensibilmente, a recepire.
Il secondo aspetto dovrebbe stare particolarmente a cuore a quanti auspicano una riforma in seno alla chiesa cattolico-romana: personalmente, mi includo nel novero. A tale proposito è opportuno non dimenticare che all’interno del cattolicesimo sono presenti diverse realtà dissenzienti, le quali, però, non godono della visibilità che meriterebbero alla luce del lavoro e della riflessione che svolgono. Prime fra tutte, credo, le comunità di base, espressione di un cattolicesimo non allineato e luoghi fecondi di elaborazione teologica e di rinnovamento ecclesiale. Collaborare con esse affinché non vengano relegate nell’oblio da chi ha tutto l’interesse a che ciò avvenga, appoggiarne le iniziative e accoglierne gli stimoli e le provocazioni, può rappresentare uno dei compiti del protestantesimo italiano: un’opportunità per esprimersi su quale sia il cattolicesimo con cui crediamo possibile e auspicabile accrescere le occasioni di dialogo e di raffronto. Approfittandone, al contempo, per mandare un messaggio chiaro alle gerarchie vaticane e ai loro accoliti circa quelli che riteniamo essere i sentieri lungo i quali costruire un cammino ecumenico più credibile.
Tratto da Riforma del 3 aprile 2009
1 commento:
un altro magnifico articolo di Alessandro, credente dinamico e teologo coraggioso e profondo!
Grazie
Elisa Cuoredifiamma
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