venerdì 25 marzo 2016

Predicazione del Venerdì Santo, a cura di Marco Gisola

I racconti della Passione nei quattro Vangeli
Marco 14,32-46; Marco 15,33-37; Luca 23,33-43; Giovanni 19,26-30

Non tutti i Vangeli raccontano la passione di Gesù nello stesso modo. Quando pensiamo alla Passione di Gesù, abbiamo in mente alcuni episodi che conosciamo da sempre, ma forse non sempre sapremmo dire quale Vangelo racconta quel dato episodio.
Stasera vogliamo provare a vedere quali differenti accenti danno alla storia della Passione di Gesù i diversi Vangeli e che cosa queste differenze dicono alla nostra fede.

Marco e Matteo
I Vangeli di Marco e Matteo sono abbastanza simili tra loro nel racconto della passione e sono quelli che ci presentano un Gesù più angosciato davanti alla prospettiva della sofferenza e della morte. Il tema della solitudine di Gesù davanti alla sua morte è preminente nel Vangelo di Marco.

Marco 14,32-46
Poi giunsero in un podere detto Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedete qui finché io abbia pregato». Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate». Andato un po' più avanti, si gettò a terra; e pregava che, se fosse possibile, quell'ora passasse oltre da lui. Diceva: «Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi». Poi venne, li trovò che dormivano e disse a Pietro: «Simone! Dormi? Non sei stato capace di vegliare un'ora sola? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Di nuovo andò e pregò, dicendo le medesime parole. E, tornato di nuovo, li trovò che dormivano perché gli occhi loro erano appesantiti; e non sapevano che rispondergli. Venne la terza volta e disse loro: «Dormite pure, ormai, e riposatevi! Basta! L'ora è venuta: ecco, il Figlio dell'uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino».
In quell'istante, mentre Gesù parlava ancora, arrivò Giuda, uno dei dodici, e insieme a lui una folla con spade e bastoni, inviata da parte dei capi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani. Colui che lo tradiva aveva dato loro un segnale, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; pigliatelo e portatelo via sicuramente». Appena giunse, subito si accostò a lui e disse: «Rabbì!» e lo baciò. Allora quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.

Marco è quello degli evangelisti – insieme a Matteo – che ci trasmette la versione più drammatica della passione di Gesù. In Marco Gesù ha paura di morire, non vuole. È in questo senso un Gesù molto umano, a noi molto vicino.
Marco ci fa percepire l’assurdità di questa morte. Nel Getsemani Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e confida loro: “l’anima mia è oppressa da tristezza mortale” (14,34); parole cariche di angoscia che solo Marco e Matteo ci riportano.
La sua preghiera nel Getsemani dice: “Abbà, Padre, ogni cosa ti è possibile! Allontana da me questo calice” (14,36). Gesù in Matteo dice “se possibile” e in Luca “se vuoi”. In Marco, invece, non ci sono dei se: Gesù sa che Dio può evitargli la sofferenza e la morte e glielo chiede in modo diretto.
Quando poi arriva Giuda, Gesù si lascia baciare e Gesù viene arrestato mentre tutti i discepoli fuggono.
Anche il silenzio che Gesù oppone spesso alle domande durante gli interrogatori, lo scherno, prima nel pretorio romano da parte dei soldati romani, e poi quando già Gesù è appeso alla croce, con gli inviti a scendere dalla croce e a salvare se stesso sembrano evidenziare, oltre alla crudeltà della scena, l’impotenza di Gesù.
Infine anche le ultime parole che Gesù pronuncia prima di morire ci mostrano i diversi punti di vista dei Vangeli: Marco e Matteo riportano le famose parole del Salmo 22,1:

Marco 15,33-37
Venuta l'ora sesta, si fecero tenebre su tutto il paese, fino all'ora nona. All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Chiama Elia!» Uno di loro corse e, dopo aver inzuppato d'aceto una spugna, la pose in cima a una canna e gli diede da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se Elia viene a farlo scendere».Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito

Luca
Il Vangelo di Luca ci trasmette un racconto della passione di Gesù un po’ meno drammatico del Vangelo di Marco. Nel Getsemani, per esempio, i discepoli si addormentano sì, ma una volta sola e non tre, e la causa del loro sonno è la loro “tristezza”. Quando poi arriva Giuda, che lo vuole baciare, Gesù si oppone (22,47-48) evitando questa umiliazione.
E Luca non menziona nessuna fuga dei discepoli mentre Gesù viene arrestato. Mentre in Marco i discepoli sono più “traditori”, in Luca sono più fragili e deboli, e quindi bisognosi di incoraggiamento più che di critica: “voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove” (22,28s.) dice Gesù ai discepoli dopo l’ultima Cena.
Durante la scena dell’arresto, qualcuno estrae la spada e ferisce un servo del sommo sacerdote all’orecchio, e Gesù, nonostante la sua situazione di pericolo, lo guarisce. Così Luca racconta la crocifissione:

Luca 23,33-46
Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!» Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell'aceto e dicendo: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!» Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» Ma l'altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». Era circa l'ora sesta, e si fecero tenebre su tutto il paese fino all'ora nona; il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo.
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò.

Ci sono qui due scene famose che rendono Luca un po’ diverso dagli altri: la prima è la nota frase “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (23,34), una parola di perdono per coloro che lo hanno condannato a morte: persino dalla croce Gesù riesce a pronunciare una parola di perdono.
E poi l’annuncio che fa a uno dei due che vengono crocifissi con lui: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso» (23,43). Anche qui una parola di misericordia per il suo compagno di sventura; Gesù mentre sta per morire pensa ancora a questo singolo essere umano, condannato come lui alla terribile morte della croce.
Anche le ultime parole di Gesù sono diverse da quelle che troviamo in Marco e Matteo, ma su questo ritorniamo dopo.

Giovanni
All’estremo opposto c’è Giovanni, che ci racconta invece di un Gesù decisamente consapevole che la sua missione deve culminare con la sua morte e la accetta fino in fondo.
In Giovanni Gesù non si getta a terra a pregare il Padre per chiedergli “allontana da me questo calice!” (Marco 14,36) cioè che la sofferenza gli sia evitata, ma anzi sa che deve bere il calice: «non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?» dice Gesù a Pietro che tira fuori la spada per difenderlo durante l’arresto (18,11).
Gesù sa, questa è la sua caratteristica costante nel Vangelo di Giovanni: Gesù sa e accetta ciò che lo attende. Davanti a Pilato non sta in silenzio, come nel Vangelo di Marco, ma si comporta da buon oratore e risponde a tono. Gesù sa anche che se Pilato può trattarlo così è perché la sua autorità gli deriva dall’alto (19,11), cioè da Dio e non perché sia potente lui in sé.
Quando poi è il momento di andare verso il luogo della crocifissione, non c’è Simone di Cirene a portare la croce di Gesù, ma Gesù se la porta da solo: è lui a offrire la sua propria vita.
E anche le ultime parole di Gesù sono emblematiche del suo modo di affrontare la morte:

Giovanni 19,26-30
Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!» Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». C'era lì un vaso pieno d'aceto; posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto, in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla sua bocca. Quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: «È compiuto!» E, chinato il capo, rese lo spirito.


Le ultime parole di Gesù
Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Matteo e Marco)
Padre, nelle tue mani rimetto lo Spirito mio” (Luca)
È compiuto” (Giovanni)


Quali sono le parole che Gesù ha pronunciate prima di morire? Quattro Vangeli ce ne danno tre versioni diverse. Sembrano quasi persone diverse a soffrire e a morire in modi così diversi, pronunciando frasi così diverse. Eppure è lo stesso ed unico Gesù, visto da tre angolature diverse. Un Gesù debole e angosciato quello di Marco e Matteo, un Gesù afflitto ma in cui prevale la bontà e la fiducia quello di Luca, un Gesù consapevole e convinto quello di Giovanni.
I quattro Vangeli ci presentano Gesù non come un monolite, ma ci offrono diversi punti di vista sulle sue reazioni e sul suo modo di affrontare la passione, potremmo dire diversi punti di vista da cui vedere la sua umanità. Ogni autore dei Vangeli ha voluto offrirci una sua visione di questi eventi e dunque di Gesù stesso, della sua persona.
Il Gesù di Marco (e Matteo) ci ricorda tutta la nostra debolezza e il dramma della sofferenza umana, che Gesù ha pienamente condivisa. Ci ricorda che la passione di Gesù non è stata una avventura di un eroe, ma un’angoscia di un uomo, sebbene quell’uomo, vero uomo, fosse il figlio di Dio, vero Dio. Che ha avuto come noi paura di soffrire e di morire e che avrebbe voluto farne a meno.
È un Gesù che ci aiuta quando soccombiamo anche noi sotto i colpi della vita: Gesù subisce come spesso tocca a noi subire nel corpo e nel morale. Gesù è come noi ed è con noi. La sua preghiera è la nostra preghiera: allontana da me questo calice … risparmiami questa o quell’altra cosa; e le sue domande sono le nostre domande: perché mi abbandoni?…, dove sei …?
Il Gesù di Luca ci ricorda che, così come l’angoscia di Gesù è simile a volte alla nostra angoscia, tuttavia la sua fiducia può essere anche la nostra fiducia. Nel tormento e nella sofferenza, si può essere fiduciosi come lo è stato Gesù. Addirittura nella morte si può essere fiduciosi in ciò che ci attende e dire con Gesù: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”.
Come mi sono affidato a te nella vita, mi affido a te nella morte. La mia vita e la mia morte sono nelle tue mani.
Il Gesù di Giovanni ci sembra forse più lontano, troppo divino, eppure proprio questa è la sfida della fede: sapere che non possiamo essere così certi e così consapevoli, come lo è il Gesù di Giovanni, ma sapere anche che Gesù non è certo e sicuro di se stesso, ma certo e sicuro del Padre, di Dio. La consapevolezza del Gesù di Giovanni si fonda in Dio Padre e nel suo amore.
E questo è un invito, anzi un appello che questo vangelo di rivolge a guardare oltre noi stessi, nel bene e nel male. Nel bene per non inorgoglirci e nel male per mantenere la fiducia che oltre il male che a volte ci tocca, c’è il bene che Dio vuole per noi; che oltre le nostre lacrime, c’è Dio che le asciuga; che oltre le nostre debolezze, c’è la forza della grazia di Dio. Di questo è sicuro il Gesù che ci presenta il vangelo di Giovanni.
Ovviamente, va ribadito, Gesù è uno solo la sua passione una sola, solo che i quattro vangeli ce la raccontano con accentuazioni diverse, mettendo in risalto aspetti diversi dello stesso Gesù che affronta la sua passione.
Angoscia, fiducia e certezza si mescolano nella nostra vita ogni giorno, in ogni stagione della nostra esistenza. È stato così anche nella vita di Gesù. E, senza dimenticare che la sua passione è stata solo sua, egli ha sofferto ed è morto per noi e non viceversa, in questa pluralità di esperienze e di emozioni Gesù è uomo come noi.
Noi siamo a volte colpiti e angosciati come il Gesù di Marco e Matteo. A volte però riusciamo a vivere le fatiche e le difficoltà con la fiducia con cui vive la sua passione il Gesù di Luca. E siamo invitati e chiamati a fondare questa fiducia sulla certezza - tipica del Gesù di Giovanni – che Dio non ci abbandona e anzi ci accompagna nelle difficoltà e nel dolore, che possiamo così affrontare con speranza.

Dio è più grande della nostra piccola umanità, è più forte della colpa ed è più forte delle nostre sofferenze, come la resurrezione sarà più grande e più forte della morte: ecco la certezza di Gesù, che splenderà la mattina di Pasqua.
Possa questa essere anche la nostra certezza e voglia il Signore che la sua risurrezione diventi la nostra risurrezione a vita nuova, nella fede, già qui ed ora.

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