lunedì 7 marzo 2016

Predicazione di domenica 6 marzo 2016 su 2 Corinzi 1,3-7 a cura di Marco Gisola

Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione.


Il brano di Paolo di oggi è l’inizio della sua seconda lettera ai Corinzi. E come inizia Paolo la sua lettera? Ringraziando Dio perché ci consola in ogni afflizione. Dio è chiamato Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. Misericordia e consolazione vanno insieme.
Paolo inizia così la sua lettera, anche perché lui stesso si trova nella sofferenza. Nei versetti successivi scrive: Fratelli, non vogliamo che ignoriate, riguardo all'afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati molto provati, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfino della vita.  Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti.
Paolo ha avuto paura di essere molto vicino alla morte e ha sperimentato lui stesso sulla sua pelle la consolazione di Dio. Le difficoltà di Paolo sono difficoltà legate al suo ministero, all’ostilità e alle persecuzioni che ha incontrato nella sua predicazione.
Noi, che non siamo perseguitati e che non soffriamo per il fatto di essere cristiani, forse pensiamo piuttosto alla consolazione di cui abbiamo bisogno nelle fatiche e nelle sofferenze che incontriamo, nella malattia, nel lutto, nelle difficoltà personali.
Che cos’è la consolazione che Dio ci offre? Un aspetto della consolazione è quello che menziona qui Paolo: Paolo dice che la consolazione opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. La forza di sopportare è un primo aspetto della consolazione.
Sopportare non è una parola tanto positiva, ci piacerebbe di più che Dio ci promettesse di modificare le situazioni, di cambiare le cose che non vanno, di trasformare le realtà negative in realtà positive. A volte Dio fa anche questo, ma spesso abbiamo davvero bisogno di ricevere da lui la forza di sopportare ciò che non è modificabile.
Sopportare ha anche un significato positivo: vuol dire non piegarsi, non cedere, non arrendersi. Sopportare vuol dire mantenere la speranza e continuare a vivere e a lottare nonostante le difficoltà e le sofferenze. Sopportare vuol dire non darla vinta al male e ai malvagi, e andare avanti.
La consolazione a volte è invece l’equivalente di salvezza, come è accaduto a Paolo: temeva di morire, ma Dio lo ha salvato dalla morte. Perché, grazie a Dio, a volte le cose cambiano.
Dio consola, per questo va ringraziato e benedetto, perché è accanto a noi nelle nostre difficoltà e nei nostri dolori. Dio non è solo il Dio che salva attraverso le sue grandi azioni - a partire dall’esodo fino alla venuta di Gesù, alla sua morte e resurrezione - ma è il Dio che consola, che sta accanto a noi nella quotidianità, specialmente quando la quotidianità è più faticosa.
Ma c’è un secondo aspetto che Paolo sottolinea riguardo alla consolazione. La consolazione non rimane un’azione di Dio nei miei confronti e basta; la consolazione ricevuta diventa consolazione offerta: Dio – dice Paolo – ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione.
Hai ricevuto la consolazione? Ora puoi offrirla agli altri! Sei stato consolato? Ora puoi consolare! È come se la consolazione ricevuta non si fermasse a chi è stato consolato, ma diventasse “contagiosa”.


In questo caso Paolo parla della consolazione, ma lo stesso discorso vale per tutti i doni di Dio.
Ciò che noi riceviamo da Dio non è per noi, ma ci è dato affinché noi lo diamo a nostra volta agli altri. In questa affermazione di Paolo c’è un principio tanto semplice quanto fondamentale per la vita dei credenti e della chiesa: ciò che riceviamo da Dio, siamo chiamati a darlo a nostra volta agli altri.
La vita cristiana, e quindi anche la vita di una chiesa, è tutta fatta di ricevere e di dare, è un circolo virtuoso, una circolazione continua dei doni che Dio ci ha fatto e che siamo chiamati a ritrasmettere ad altri, a condividere con altri. Può sembrare un’affermazione banale, quasi scontata, ma non lo è.
Perché nella realtà non è affatto scontato essere capaci di ricevere e non affatto scontato essere capaci di dare.
Sul fatto che Dio è colui che dona, su questo siamo tutti d’accordo. Ma non è ovvio che tutti noi siamo disposti a ricevere dalle sorelle e dai fratelli.
Tutti siamo ben disposti a riconoscere di aver soltanto da ricevere da Dio. Ma siamo tutti consapevoli di aver molto da ricevere anche dalle sorelle e dai fratelli? E siamo tutti consapevoli di aver qualcosa da dare alle sorelle e ai fratelli?
Perché questa circolarità e questa reciprocità è essenziale alla vita della chiesa. Nessuno può pretendere di non aver bisogno di ricevere nulla e nessuno può pretendere di non aver nulla da dare. Una vita comunitaria sana è quella in cui tutti/e sanno di aver bisogno di ricevere e tutti/e sanno di aver la possibilità di dare.
Non c’è nessuno che non abbia bisogno degli altri, della loro consolazione, della loro testimonianza, del loro affetto e non c’è nessuno che non possa dare agli altri consolazione, testimonianza, affetto.
Nemmeno Paolo – che pure era un apostolo molto convinto del suo ruolo e del suo compito di apostolo – ha mai pensato di non aver bisogno della consolazione altrui.
Nessuno ha tutto, così da non aver bisogno degli altri e, nessuno non ha nulla così da non poter donare ad altri quello che ha ricevuto. La comunità vive e cresce nello scambio reciproco dei doni tra tutti/e, a partire dalla consolazione.
Dio ci consola affinché noi possiamo consolare, certo non soltanto le sorelle e i fratelli di chiesa.
Ma proprio le chiese, se sono le comunità dei consolati da Dio, allora sono chiamate ad essere luoghi di consolazione, che poi vuol dire luoghi di affetto concretamente vissuto, ricevuto e donato, luoghi di fiducia e di confidenza ricevuta e donata, luoghi di accoglienza ricevuta e donata, in cui si accetta il prossimo che Dio ti manda incontro e si viene accettati da lui.
Luoghi in cui i doni di Dio, a partire dalla consolazione, vengono condivisi nel circolo virtuoso del donare e del ricevere, a tutti e da tutti, poiché nessuno non ha bisogna di ricevere e nessuno non ha nulla da donare.
Il Signore ci ha donato la sua consolazione e ha voluto riunirci in una comunità affinché qui, attraverso la sua Parola e attraverso le sorelle e i fratelli che egli ci ha donato, trovassimo consolazione alle nostre afflizioni e nelle nostre fatiche.
Sia dunque davvero anche da noi benedetto il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Dio di ogni consolazione.




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