Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il
Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la
consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo
consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per
mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza;
se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera
efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che
anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come
siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della
consolazione.
Il
brano di Paolo di oggi è l’inizio della sua seconda lettera ai
Corinzi. E come inizia Paolo la sua lettera? Ringraziando Dio perché
ci consola in ogni afflizione. Dio è chiamato Padre
misericordioso e Dio di ogni consolazione.
Misericordia e consolazione vanno insieme.
Paolo
inizia così la sua lettera, anche perché lui stesso si trova nella
sofferenza. Nei versetti successivi scrive: Fratelli, non vogliamo che ignoriate, riguardo all'afflizione che ci
colse in Asia, che siamo stati molto provati, oltre le nostre forze,
tanto da farci disperare perfino della vita.
Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di
morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma
in Dio che risuscita i morti.
Paolo
ha avuto paura di essere molto vicino alla morte e ha sperimentato
lui stesso sulla sua pelle la consolazione di Dio. Le difficoltà di
Paolo sono difficoltà legate al suo ministero, all’ostilità e
alle persecuzioni che ha incontrato nella sua predicazione.
Noi,
che non siamo perseguitati e che non soffriamo per il fatto di essere
cristiani, forse pensiamo piuttosto alla consolazione di cui abbiamo
bisogno nelle fatiche e nelle sofferenze che incontriamo, nella
malattia, nel lutto, nelle difficoltà personali.
Che
cos’è la consolazione che Dio ci offre? Un aspetto della
consolazione è quello che menziona qui Paolo: Paolo dice che la
consolazione opera efficacemente nel farvi capaci di
sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo.
La forza di sopportare è un primo aspetto della consolazione.
Sopportare
non è una parola tanto positiva, ci piacerebbe di più che Dio ci
promettesse di modificare le situazioni, di cambiare le cose che non
vanno, di trasformare le realtà negative in realtà positive. A
volte Dio fa anche questo, ma spesso abbiamo davvero bisogno di
ricevere da lui la forza di sopportare ciò che non è modificabile.
Sopportare
ha anche un significato positivo: vuol dire non piegarsi, non cedere,
non arrendersi. Sopportare vuol dire mantenere la speranza e
continuare a vivere e a lottare nonostante le difficoltà e le
sofferenze. Sopportare vuol dire non darla vinta al male e ai
malvagi, e andare avanti.
La
consolazione a volte è invece l’equivalente di salvezza, come è
accaduto a Paolo: temeva di morire, ma Dio lo ha salvato dalla morte.
Perché, grazie a Dio, a volte le cose cambiano.
Dio
consola, per questo va ringraziato e benedetto, perché è accanto a
noi nelle nostre difficoltà e nei nostri dolori. Dio non è solo il
Dio che salva attraverso le sue grandi azioni - a partire dall’esodo
fino alla venuta di Gesù, alla sua morte e resurrezione - ma è il
Dio che consola, che sta accanto a noi nella quotidianità,
specialmente quando la quotidianità è più faticosa.
Ma
c’è un secondo aspetto che Paolo sottolinea riguardo alla
consolazione. La consolazione non rimane un’azione di Dio nei miei
confronti e basta; la consolazione ricevuta diventa consolazione
offerta: Dio – dice Paolo – ci consola in ogni nostra
afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo
noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano
in qualunque afflizione.
Hai
ricevuto la consolazione? Ora puoi offrirla agli altri! Sei stato
consolato? Ora puoi consolare! È come se la consolazione ricevuta
non si fermasse a chi è stato consolato, ma diventasse “contagiosa”.
In
questo caso Paolo parla della consolazione, ma lo stesso discorso
vale per tutti i doni di Dio.
Ciò
che noi riceviamo da Dio non è per noi, ma ci è dato affinché noi
lo diamo a nostra volta agli altri. In questa affermazione di Paolo
c’è un principio tanto semplice quanto fondamentale per la vita
dei credenti e della chiesa: ciò che riceviamo da Dio, siamo
chiamati a darlo a nostra volta agli altri.
La
vita cristiana, e quindi anche la vita di una chiesa, è tutta fatta
di ricevere e di dare, è un circolo virtuoso, una circolazione
continua dei doni che Dio ci ha fatto e che siamo chiamati a
ritrasmettere ad altri, a condividere con altri. Può sembrare
un’affermazione banale, quasi scontata, ma non lo è.
Perché
nella realtà non è affatto
scontato essere capaci di ricevere e non affatto scontato essere
capaci di dare.
Sul
fatto che Dio è colui che dona, su questo siamo tutti d’accordo.
Ma non è ovvio che tutti noi siamo disposti a ricevere dalle sorelle
e dai fratelli.
Tutti
siamo ben disposti a riconoscere di aver soltanto da ricevere da Dio.
Ma siamo tutti consapevoli di aver molto da ricevere anche dalle
sorelle e dai fratelli? E siamo tutti consapevoli di aver qualcosa da
dare alle sorelle e ai fratelli?
Perché
questa circolarità e questa reciprocità è essenziale alla vita
della chiesa. Nessuno può pretendere di non aver bisogno di ricevere
nulla e nessuno può pretendere di non aver nulla da dare. Una vita
comunitaria sana è quella in cui tutti/e sanno di aver bisogno di
ricevere e tutti/e sanno di aver la possibilità di dare.
Non
c’è nessuno che non abbia bisogno degli altri, della loro
consolazione, della loro testimonianza, del loro affetto e non c’è
nessuno che non possa dare agli altri consolazione, testimonianza,
affetto.
Nemmeno
Paolo – che pure era un apostolo molto convinto del suo ruolo e del
suo compito di apostolo – ha mai pensato di non aver bisogno della
consolazione altrui.
Nessuno
ha tutto, così da non aver bisogno degli altri e, nessuno non ha
nulla così da non poter donare ad altri quello che ha ricevuto. La
comunità vive e cresce nello scambio reciproco dei doni tra tutti/e,
a partire dalla consolazione.
Dio
ci consola affinché noi possiamo consolare, certo non soltanto le
sorelle e i fratelli di chiesa.
Ma
proprio le chiese, se sono le comunità dei consolati da Dio, allora
sono chiamate ad essere luoghi di consolazione, che poi vuol dire
luoghi di affetto concretamente vissuto, ricevuto e donato, luoghi di
fiducia e di confidenza ricevuta e donata, luoghi di accoglienza
ricevuta e donata, in cui si accetta il prossimo che Dio ti manda
incontro e si viene accettati da lui.
Luoghi
in cui i doni di Dio, a partire dalla consolazione, vengono condivisi
nel circolo virtuoso del donare e del ricevere, a tutti e da tutti,
poiché nessuno non ha bisogna di ricevere e nessuno non ha nulla da
donare.
Il
Signore ci ha donato la sua consolazione e ha voluto riunirci in una
comunità affinché qui, attraverso la sua Parola e attraverso le
sorelle e i fratelli che egli ci ha donato, trovassimo consolazione
alle nostre afflizioni e nelle nostre fatiche.
Sia
dunque davvero anche da noi benedetto il Dio e Padre del nostro
Signore Gesù Cristo, il Dio di ogni consolazione.
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