sabato 11 aprile 2020

Predicazione di domenica 12 aprile 2020 - Pasqua di resurrezione su 1 Corinzi 15,19-28 a cura di Marco Gisola

Domenica 12 aprile 2020 - Pasqua di resurrezione
1 Corinzi 15,19-28


19 Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini.
20 Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. 21 Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. 22 Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; 23 ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; 24 poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. 25 Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. 26 L'ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. 27 Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. 28 Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.


Sperare in Cristo per questa vita è già un enorme dono. Sapere che la malvagità, l’indifferenza, l’egoismo umani non hanno l’ultima parola, ovvero non hanno ragione, è una cosa meravigliosa. Sapere che anche gli eventi che non capiamo e non governiamo, come le disgrazie e le malattie, per quanto siano terribili (come il virus che sta facendo migliaia di vittime in queste settimane e ci ha sconvolto l’esistenza), non possono farci perdere la fiducia nella misericordia di Dio, è anche questa una grandissima consolazione.
Ma l’evangelo ci promette di più, ci promette più di questo. Non soltanto ci invita a sperare in Cristo per questa vita, per ogni aspetto di questa vita: spirituale, personale, sociale… Ma ci promette che l’amore di Dio va oltre questa vita, potremmo dire che l’amore di Dio ci porta oltre questa vita, ci accompagna anche quando questa nostra vita terrena termina.
Pasqua è questo annuncio meraviglioso, questo evangelo luminoso: non soltanto per questa vita ci è dato di sperare, ma anche oltre questa vita, anche davanti alla morte ci è data una speranza.
Non soltanto per questa vita, ma anche oltre. È essenziale per la nostra fede tenere insieme questa vita e la vita eterna, quelli che ogni tanto vengono chiamati - con termini peraltro non biblici - l’aldiqua e l’aldilà.
Il rischio è di considerare soltanto uno dei due e dimenticare l’altro. C’è chi punta tutto sull’aldiqua e sul (sacrosanto!) impegno sociale per trasformare il mondo e la società, e non si cura dell’aldilà. E c’è chi invece ha una grande fede nella vita eterna ma non si preoccupa e non si occupa della vita terrena e della qualità di questa vita terrena, dei diritti degli ultimi, della giustizia, ecc.
Inoltre, forse tutti noi abbiamo fasi della vita in cui guardiamo di più a questa vita (probabilmente nell’età giovanile) e fasi in cui guardiamo di più alla vita eterna (nella nostra vecchiaia), cosa che è umanamente comprensibile.
Ma dobbiamo davvero sforzarci di tenere insieme la vita terrena e la vita eterna. Questa vita è un dono meraviglioso, che Dio ci ha donato perché la vivessimo in pienezza, nutrendola con l’ascolto della sua parola e vivendola nel servizio, nella fiducia e nella gioia.
In una recente conferenza sul teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer (impiccato 75 anni fa dai nazisti per la sua partecipazione alla resistenza) è stato ricordato che Bonhoeffer ha potuto dire (mentre lo portavano al patibolo) che la sua fine (a 42 anni!) era per lui “l'inizio della vita”, manifestando così una grande fede nella resurrezione dei morti. Ma che pochi anni prima aveva scritto anche queste parole: Può darsi che domani spunti l’alba dell’ultimo giorno: allora, non prima, noi interromperemo volentieri il lavoro per un futuro migliore”.
Il futuro meraviglioso che Dio ci ha preparato nel suo regno e un “futuro migliore” (come dice Bonhoeffer) in questa vita in questo mondo non si contrappongono, ma sono due aspetti della stessa fede. Direi proprio della stessa fede nella resurrezione!
La Resurrezione riguarda tanto la nostra vita dopo la morte quanto la nostra vita qui ed ora. È la stessa speranza nella vittoria del bene sul male, dell’amore sull’odio, della comunione sulla discriminazione… in una parola: di Dio sul peccato umano e su tutte le sue contraddizioni.
La speranza nella vita eterna è speranza che è pura attesa di un puro dono che Dio ci offre per pura grazia. La speranza per questa vita è speranza attiva, sollecita, attenta, che richiede tutto il nostro amore e il nostro impegno.
Se sperassimo in Cristo «per questa vita soltanto», noi saremmo «i più miseri fra tutti gli uomini», perché non avremmo capito la portata dell’evangelo, non avremmo capito fin dove l’amore di Dio arriva, perché, dice Paolo, «l’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte». L’amore di Dio è più forte anche della morte, che è l’ “ultimo nemico”, quello più forte.
E davanti alla scena delle bare una a fianco all’altra che abbiamo visto in questi giorni, davanti alla morte nella solitudine di molte donne e uomini intubati, nei reparti di rianimazione o di terapia intensiva, la crudeltà di quell’ “ultimo nemico” l’abbiamo vista tutta. Ma proprio davanti a questa triste realtà, l’evangelo della risurrezione è l’unica parola che può dare una qualche consolazione.
Consolazione che non toglie il dolore – lo diciamo sempre ai funerali… - il dolore rimane forte, ma l’evangelo vuole portarci a sollevare un po’ lo sguardo oltre il dolore e oltre la morte, offrendoci una speranza più forte della morte.
L’evangelo della resurrezione ci parla della vittoria di Dio: «dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. E l’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte».
Paolo usa il linguaggio del suo tempo per descrivere l’opera di Dio come una vittoria sul male. Principati, potestà e potenze erano ritenute essere forze ostili a Dio e agli esseri umani. Paolo usa un linguaggio mitologico, che ci sembra molto distante.
Noi oggi non ci esprimeremmo così, eppure quante cose ci sono che non capiamo? La brutta esperienza che stiamo facendo di questo terribile virus in fondo ci mostra quante cose non capiamo e non sono sotto il nostro controllo; proprio noi, che pensiamo di poter avere tutto sotto controllo, grazie alla scienza e alla tecnica…!
Questo virus ora viene studiato, analizzato, si capirà (lo si sta capendo) che cosa è, da dove viene… Si troverà la cura e un vaccino…? Probabilmente sì, lo speriamo… ma intanto esso ci ha mostrato tutta la nostra debolezza e tutta la nostra fragilità.
L’evangelo ci dice che l’amore di Dio è più forte anche di quello che non conosciamo, anche di quello che non ci saremmo mai aspettati che potesse accadere. L’amore di Dio è più forte di tutto ciò che porta morte, che sia la malvagità umana che continua a fare una guerra dopo l’altra e a sfruttare il suo prossimo rendendolo schiavo e le risorse del creato senza scrupoli, oppure una pandemia come quella che ha colpito l’umanità in questi mesi.
Perché “l’ultimo nemico” non è soltanto il nostro nemico, ma è il nemico anche e prima di tutto di Dio! E Dio lo ha sconfitto con la potenza dell’amore, dell’amore incarnato e crocifisso, incarnato in Gesù, che è stato crocifisso dall’umanità che vuole solo difendere il proprio potere.
«Se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede» ha scritto Paolo pochi versetti prima del nostro testo (15,14). La nostra fede e la nostra speranza hanno le loro radici in ciò che è accaduto all’alba di quel mattino di Pasqua: la tomba era vuota, non c’era il cadavere, perché Gesù è risorto! Ed è risorto perché noi sperassimo non «per questa vita soltanto» ma anche oltre, perché la nostra speranza non avesse fine.
È risorto perché sperassimo, sì, per questa vita e ogni giorno di questa vita che ci è data, perché vivessimo ogni giorno di questa vita sperando e cercando la volontà di Dio, volontà di giustizia, di pace e di gioia. E – ripeto - se anche ci fosse solo questo sarebbe già moltissimo, sarebbe già un dono enorme.
Ma c’è di più, l’evangelo promette di più, dona di più. Ti fa sperare di più. Non permette che ti sia tolta la speranza nemmeno davanti a una fila di bare messe una accanto all’altra…!
Dio ha vinto, non il male. L’amore ha vinto, non l’odio. La vita ha vinto, non la morte. Ha vinto per te, e ti ha fatto partecipe di questa vittoria sul male, sull’odio, sulla morte, ti ha fatto partecipe della resurrezione. Per questo puoi sperare, per tutta la tua vita e ogni giorno della tua vita, ma non soltanto… puoi sperare oltre… puoi sperare di più! Questo è l’evangelo di Pasqua.


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