sabato 18 aprile 2020

Predicazione di domenica 19 aprile 2020 su Isaia 40,25-31 a cura di Marco Gisola

Domenica 19 aprile 2020 – prima dopo Pasqua
Isaia 40,25-31

«A chi dunque mi vorreste assomigliare, a chi sarei io uguale?» dice il Santo. Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non ne manca una. Perché dici tu, Gia­cobbe, e perché parli così, Israele: «La mia via è occulta al Signore e al mio diritto non bada il mio Dio?» Non lo sai tu? Non l’hai mai udito? Il Signore è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e ac­cresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.

Sperare è come volare come un’aquila. Questa è l’immagine di questo bellissimo testo del profeta Isaia che ci viene proposto questa domenica dopo Pasqua.
Sperare è volare senza stancarsi; ma non “senza stancarsi” fisicamente, tutti noi ci stanchiamo, è una cosa più che normale…
Sperare, potremmo dire, è non stancarsi di andare avanti, di guardare avanti, anzi di guardare in alto: «Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome…»
Qui il profeta parla al popolo che è in esilio in Babilonia. E al popolo, che vede solo la sua sofferenza e la sua tristezza, Dio chiede di guardare in alto, all’opera di Dio, e gli parla degli astri, delle stelle. Dio le ha create e le conosce una ad una, le chiama addirittura per nome…
Dio invita il popolo a guardare in alto perché non perda la speranza, perché non dubiti che il Dio che ha creato quelle stelle e tutto ciò che esiste è lo stesso Dio che verrà a liberarlo dall’esilio e a ricondurlo a casa. Il Dio creatore è anche il Dio liberatore, che – come è scritto all’inizio di questo stesso capitolo - ha appena detto al popolo in esilio
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamate­le che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato» (40,1-2).
L’esilio sta per finire, questa è la promessa di Dio. Ma il popolo è ancora lì, a Babilonia, e stenta ancora a credere che la liberazione sia vicina. Per questo il profeta torna dal popolo e va a invitarlo a guardare in alto, va a nutrire la speranza del popolo in Dio, che lo libererà.
Perché sperare è anche distogliere lo sguardo da se stessi (e dal proprio dolore) per guardare in alto, per guardare a Dio, per guardare avanti.
I versetti che abbiamo letto sono la conclusione di un discorso che, come dicevamo, è cominciato all’inizio del capitolo, con le parole di consolazione che ho citato sopra e in cui il popolo è invitato a preparare la strada al Signore che viene a liberare Israele dall’esilio in babilonia (brano ripreso dal Giovanni il battista che invita chi lo ascolta ad accogliere Gesù).
Ma subito dopo, e quindi appena prima del brano che esaminiamo oggi, c’è un brano polemico che si po­trebbe definire una disputa, una discussione, che sembra quasi riecheggiare alcune affermazioni del libro di Giobbe. Così si rivolge il profeta al popolo, parlando di Dio:
«Chi ha misurato le acque nel cavo della sua mano o preso le dimensioni del cielo con il palmo?
Chi ha raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera
e i colli con la bilancia? Chi ha preso le dimensioni dello Spirito del SIGNORE o chi gli è stato consiglie­re per insegnargli qualcosa?
»
Il popolo dubita e Dio, attraverso Isaia, risponde ai dubbi del popolo, vi risponde con decisione e con un pizzico di rimprove­ro, ma li ascolta e quindi li prende sul serio. E la risposta è un invito alla fiducia, alla fiducia nel Dio crea­tore che ha «creato queste cose» e che Israele conosce già: «Non lo sai tu? Non l’hai mai udito?».
Eh sì, perché Israele lo sa che Dio è il creatore e che è anche il redentore, il liberatore; lo sa perché Dio ha liberato i suoi antenati dall’Egitto e quindi è in grado di liberarlo ora dall’esilio babilonese; lo ha udito, perché glielo hanno detto tutti coloro che Dio stesso ha inviato a annunciare al popolo la sua parola, da Mosè ai profeti. Dio risponde ai dubbi di Israele, Dio risponde ai nostri dubbi, ma non con dimostrazioni, bensì con la pro­clamazione della sua parola. Dopo la disputa, arriva la bellissima parola di grazia e di speranza:
Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stanca­no; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.
La sua parola dà speranza e quindi dà forza. Dà forza allo stanco e vigore a chi è spossato. Dio conosce la nostra stanchezza, conosce anche la stanchezza che stiamo vivendo in questo momento di lutti e di dolore per molti e di quarantena e di limitazioni per tutti.
Conosce la stanchezza di medici, infermieri e operatori sanitari che lavorano ogni giorno per curare perso­ne (non banalmente “malati”, ma persone) e salvare vite; conosce la stanchezza dei nonni che non posso­no vedere i loro nipoti da settimane, quando magari erano abituati a vederli tutti i giorni; conosce la stan­chezza di chi vive solo e non ha che il telefono per sentire voci amiche…
Conosce la stanchezza dei giovani che non possono incontrare i loro amici, degli anziani che non possono vedere i loro figli; conosce la stanchezza di chi non lavora ed è senza stipendio ed è angosciato per il suo futuro…
Perché da soli non vinciamo la nostra stanchezza, non troviamo il riposo che anche Gesù ci ha promesso quando ha detto: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matteo 11,28).
Da soli non ce la facciamo perché, dice Dio, anche «i giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacil­lano e cadono»… se facciamo affidamento sulle nostre sole forze non andiamo lontano, nemmeno i più gio­vani e forti vanno molto lontano, figuriamoci gli altri…! Ma…
«Ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano».
La nuova forza è la forza della speranza, che vince la stanchezza. Non quella fisica (quella ogni tanto tor­na e il nostro corpo ha bisogno di riposo), ma quella dell’animo, quella della fede che non smette mai di guardare in alto e di guardare avanti.
E quindi vola, vola come un aquila, uccello che ha destato ammirazione fin dall’antichità perché vola mol­to in alto e può scendere in picchiata a grande velocità per catturare le sue prede. L’immagine dell’aquila è utilizzata nell’Esodo, nel racconto del patto tra Dio e Israele, per parlare della liberazione dall’Egitto: «Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila e vi ho condotti a me» (Esodo 19,4)
In questi giorni in cui tra le tante vittime del Coronavirus dobbiamo contare anche lo scrittore Luis Sepùl­veda, potremmo forse usare un’altra immagine e dire che quelli che sperano nel Signore imparano a vola­re come la gabbianella del suo famoso romanzo (diventato poi film di animazione) “la gabbianella e il gat­to che le insegnò a volare”.
Non si impara da soli a volare, ci vuole un gatto che ci aiuti, anzi una comunità di gatti che tutti insieme insegnano a volare alla gabbianella che non sa ancora di poter volare. E nella sto­ria della gabbianella volare equivale a vivere, a essere ciò che si è, ovvero un uccello che può volare.
Anche per noi volare – ovvero sperare – equivale a vivere, a vivere sotto lo sguardo e la misericordia del Si­gnore, ed equivale a essere ciò che si è, o meglio ciò che si è diventati in Cristo: donne e uomini la cui vita è stata riscattata da Gesù Cristo e che per questo vivono sperando. E chi ci insegna a volare (cioè a sperare) non è il gatto o la comunità di gatti di Sepùlveda, ma è l’evangelo, che è donato e affidato alla comunità dei cre­denti, l’evangelo che risuona da Isaia fino all’annuncio gioioso di Pasqua.
L’evangelo della resurrezione è come la parola di Isaia a Israele: «consolate, consolate il mio popolo...». la schiavitù del peccato e della morte è finita, ora si può vivere sperando, si può volare, si può correre per amore e camminare per fede, perché quelli che sperano nel Signore …. corrono e non si stancano, cammi­nano e non si affaticano.
È una promessa quella che ci raggiunge oggi attraverso il profeta Isaia e che percorre tutta la Bibbia, dall’inizio alla fine, e che culmina nell’evangelo di Pasqua che ci dice che Cristo è risorto, la morte è vin­ta e ha vinto Dio, cioè ha vinto la speranza.
Anche a noi, che a volte siamo stanchi giunge l’evangelo, per bocca del profeta Isaia: «Egli dà forza allo stanco». E quindi, abbi fede, affidati al Signore, spera, e sperando volerai, anche quando – come la gab­bianella – non sai di poterci riuscire.
Spera, e sperando correrai senza stancarti incontro al tuo prossimo con amore, sperando camminerai sen­za affaticarti per seguire Gesù con fiducia.
Spera, e sperando volerai come l’aquila, la fiducia in Dio che dà forza allo stanco sarà la tua forza, l’amo­re e la grazia che Dio ci ha manifestato nel Cristo crocifisso e risorto saranno le tue ali.


Nessun commento: