sabato 11 aprile 2020

Predicazione di domenica 12 aprile 2020 - Pasqua di resurrezione su Giovanni 20,11-18 a cura di Pietro Magliola

Domenica 12 aprile 2020 - Pasqua di resurrezione
Evangelo secondo Giovanni, 20, 11-18

Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.


Il racconto della Pasqua tramandatoci da Giovanni presenta alcune diversità in confronto allo stesso episodio, così come trasmessoci da Matteo, Marco e Luca. Si potrebbe pensare che Giovanni si preoccupi di portare poco a poco i suoi lettori all’incontro con il Risorto, quasi che dare la notizia improvvisamente fosse una cosa talmente inconcepibile da non permetterne la elaborazione da parte di chi la riceve. Sembra lo schema usato da Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus, dove i due compagni di viaggio di Gesù vengono da questi portati poco a poco a riconoscerlo.
Ripercorriamo dunque brevemente il racconto di Giovanni.
Quel mattino del primo giorno dopo il sabato era stato sconvolgente per Maria Maddalena.
Recatasi al sepolcro di Gesù, aveva trovato la pietra rotolata via e aveva constatato con sgomento che il corpo del Maestro non c’era più. Subito si era precipitata ad avvertire Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava, i quali erano corsi sul posto per verificare quanto riferito loro, ed essa li aveva accompagnati. Poi, dopo che i due discepoli erano tornati a casa loro, era rimasta lì, a piangere accanto al sepolcro vuoto.
Non ci viene detto se cercasse una ragione di quanto accaduto, che cosa pensasse davanti a quella tomba. Sappiamo solo che piangeva.
Ad un certo punto, guardando dentro al sepolcro, vede due angeli. L’angelo è un messaggero di Dio (angelo, in greco, significa proprio messaggero); ma questi angeli, a differenza di quanto raccontato dai sinottici, secondo i quali è proprio l’angelo ad annunziare alle donne la resurrezione, non recano a Maria nessun annuncio, le rivolgono soltanto una domanda: “perché piangi?” . “Perché hanno portato via il corpo di Gesu”, è la sua risposta.
Improvvisamente Maria avverte una presenza alle sue spalle. Si volta, vede un uomo, ma non riconosce in lui Gesù, bensì pensa che sia l’ortolano. Gesù non si rivela subito,anzi, anche lui la interroga: “Perché piangi? Chi cerchi?”
Due domande, invece di una sola. Al già sentito “perché piangi?” si aggiunge “chi cerchi?” Maria (e noi con lei) veniamo portati quasi per mano al momento decisivo. Le domande significano: “Qual è il motivo della tua tristezza? Sei proprio certa che oggi sia il tempo giusto per piangere?” e “Tu cerchi un cadavere su cui piangere. Sei sicura che la morte abbia avuto l’ultima parola? Non è che, per trovare il Signore, devi cercare qualcosa di diverso da un cadavere?” . Maria, ricordiamocelo, era la sorella di Lazzaro. Credeva nella risurrezione dell’ultimo giorno, e aveva assistito all’uscita di suo fratello dalla tomba. Aveva sperimentato la potenza di Dio che vince la morte. Ma tutto questo pare esser stato dimenticato. Gesù, il maestro, era morto, e non c’era più nulla da fare se non piangere sul suo corpo e attendere l’ultimo giorno.
La presenza degli angeli di cui abbiamo parlato prima dovrebbe metterci sull’avviso che Dio è in qualche modo intervenuto in quel sepolcro. Ed è intervenuto risuscitando il Crocifisso. E’ di capitale importanza che il Crocifisso e il Risorto siano la stessa persona. Con la risurrezione, Dio dichiara che la causa di Gesù (per così dire) è la sua causa, che il predicatore sconfitto ed ucciso è il Figlio, che la morte è stata sconfitta e non potrà avere su di Lui alcun potere.
Duemila anni dopo, siamo ancora in grado di cogliere la portata di questo annuncio? Oppure ci siamo assuefatti e la Pasqua è una data come un’altra, un appuntamento del calendario ecclesiastico? Non si tratta di fare o di farsi la morale, ma di riflettere su che cosa la risurrezione vuol dire per noi, e se necessario di ripensare a questo annuncio per porlo, o porlo nuovamente, al centro della nostra vita.
Chi riceve l’annuncio di Pasqua sa che non deve più piangere, che non deve cercare un cadavere o accontentarsi di osservare una tomba vuota. Dio non si manifesta in un cadavere né in una tomba vuota, ma in Gesù risorto.
Riprendiamo il filo del racconto. Maria chiede al presunto ortolano la restituzione del corpo del Signore, se fosse stato proprio lui a portarlo via. Ed ecco che Gesù si rivela, non con un’affermazione (Sono io Gesù), ma con una chiamata, con un nome, con il nome di lei: Maria!
Questa chiamata apre, per così dire, gli occhi a Maria, che comprende finalmente con chi stia parlando. Colui che gli sta davanti è Gesù, il Risorto. Non è più questione di cercare un morto su cui piangere, per trovare Gesù bisogna guardare al Risorto, ad un vivente. Con un avvertimento: è fondamentale la chiamata da parte di Dio. La relazione Dio – uomo è una relazione di fede, non empirica, razionale, dimostrabile scientificamente. Non è neppure un’ascesi, o l’esito di una ricerca, magari appassionata e sincera; non è una cosa a disposizione dell’uomo.
E’ Dio che chiama, e questa chiamata ha un nome: grazia. Questo racconto ci dice che Gesù chiama ciascuno e ciascuna con il suo nome: Maria! Piera! Massimiliano! Anna! Lilia! Stefano! Pietro! Per Dio, l’umanità non è una massa confusa da chiamare all’adunata come dei soldati in una caserma, ma siamo noi, ognuno di noi, nella propria individualità.
Maria ha finalmente ritrovato il suo Maestro e Signore. “Rabbunì! Maestro!” esclama. E’ la gioia della Pasqua che si libera in quel grido. Ma, come nel racconto dei discepoli di Emmaus, Gesù non rimane a lungo con lei. Le affida la missione di annunciare ai suoi fratelli (non li chiama discepoli, ma fratelli) che è risorto e che deve salire al Padre. “Non trattenermi”: il Risorto non è manovrabile a nostro piacimento, non possiamo pensare di disporne, né usarlo come un talismano a nostro favore o, come purtroppo è successo e continua a succedere, contro qualcun altro.
Non trattenermi” vuol dire anche che Gesù non rimane indefinitamente su questa Terra. Egli deve ascendere al cielo e il suo posto verrà preso dallo Spirito. Sotto la guida dello Spirito, la missione della chiesa nascente non sarà diretta soltanto più a Israele, ma si aprirà al mondo, per portare anche ai pagani la notizia della risurrezione. Dio si rivela come il Dio di tutti gli uomini. Chi ha udito l’annuncio della resurrezione è, come i discepoli, fratello di Gesù e membro della famiglia dei figli di Dio.
Noi cerchiamo un morto su cui piangere, o gridiamo con gioia “Rabbunì, Maestro!” ? Che il Signore ci dia la grazia di ricevere e di ascoltare la sua chiamata!

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