L'infanzia sacrificata ad Haiti
Ad Haiti, da 180. 000 a 300. 000 bambini – le cifre variano a seconda delle fonti – lavorano come domestici. Circa l’8-10% degli haitiani minori di 18 anni sono in questa situazione che li priva dei loro diritti fondamentali.Questi bambini sono la categoria sociale più vulnerabile in un Paese in preda a una povertà estrema, a un forte degrado ambientale, a una corruzione endemica e a una instabilità politica cronica. Molti di loro sono nati in grandi famiglie povere in campagna e i loro genitori li mandano in famiglie affidatarie sperando che saranno ben nutriti e trattati bene. «Invece, essi passano le loro giornate a svolgere compiti domestici massacranti, vengono spesso picchiati quando il loro lavoro non soddisfa la famiglia affidataria», ha spiegato Wenes Jeanty, che dirige il Foyer Maurice Sixto, a una delegazione di «Lettere viventi» del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).
Manuel Quintero*
Nella lingua creola di Haiti, li chiamano «restavek», dal francese «reste avec» (resta con), perché vivono in famiglie che non sono loro. Ma questi bambini sono lungi dal ricevere tutta l’attenzione di cui avrebbero bisogno: le loro famiglie affidatarie li trattano come schiavi.
Ad Haiti, da 180. 000 a 300. 000 bambini – le cifre variano a seconda delle fonti – lavorano come domestici. Circa l’8-10% degli haitiani minori di 18 anni sono in questa situazione che li priva dei loro diritti fondamentali.
Questi bambini sono la categoria sociale più vulnerabile in un Paese in preda a una povertà estrema, a un forte degrado ambientale, a una corruzione endemica e a una instabilità politica cronica. Molti di loro sono nati in grandi famiglie povere in campagna e i loro genitori li mandano in famiglie affidatarie sperando che saranno ben nutriti e trattati bene. «Invece, essi passano le loro giornate a svolgere compiti domestici massacranti, vengono spesso picchiati quando il loro lavoro non soddisfa la famiglia affidataria», ha spiegato Wenes Jeanty, che dirige il Foyer Maurice Sixto, a una delegazione di «Lettere viventi» del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).
Le «Lettere viventi» sono piccole équipe ecumeniche internazionali che si recano in vari luoghi nel mondo dove dei cristiani si sforzano di sconfiggere la violenza. A fine novembre, una di quelle équipe – costituita da cristiani di Francia, Paesi Bassi, Libano, Canada e Cuba – si è recata nella capitale haitiana Port-au-Prince e in altre zone colpite dai recenti uragani.
La delegazione è stata ospite del Foyer Maurice Sixto per conoscere meglio la sorte di questi bambini che vivono da schiavi domestici e che sono vittime di una servitù profondamente radicata nella storia del Paese.
Molti «restavek» perdono il contatto con la loro famiglia biologica. Alcuni sono sballottati da una famiglia affidataria all’altra senza che nessuno chieda loro il loro parere e senza che i loro genitori ne vengano informati. I maltrattamenti fisici e psicologici sono frequenti, secondo Wenes Jeanty.
Il Foyer Maurice Sixto è stato fondato nel 1989 con l’aiuto di Terre des Hommes, un’organizzazione caritativa con sede in Svizzera. Il foyer prende il nome da Maurice Sixto (1919-1984), un famoso intellettuale haitiano che aveva denunciato gli abusi delle élite nazionali nei confronti dei lavoratori domestici minorenni.
«La nostra missione è di venire in aiuto ai bambini e ai giovani costretti a lasciare la propria famiglia biologica per essere inseriti in una famiglia affidataria. Quando finiscono di lavorare, vengono al Foyer per approfittare dell’istruzione, delle animazioni e delle possibilità di fare un po’ di artigianato», ha detto Wenes Jeanty.
«Tutti i bambini sono
uguali»
Situato a Carrefour, un quartiere povero e densamente popolato del sud di Port-au-Prince, il Foyer lavora con circa 300 bambini, essenzialmente ragazze. Esse vi ricevono un pasto caldo ogni giorno nonché un’assistenza medica e dentaria in una clinica molto vicina dove medici haitiani propongono i propri servizi gratuitamente.
Il Foyer Maurice Sixto lavora inoltre con le famiglie affidatarie, onde sensibilizzarle ai bisogni dei bambini servitori, e responsabilizzarle. «Diciamo loro che tutti i bambini sono uguali e che hanno gli stessi diritti», ha spiegato Wenes Jeanty.
Non esiste una soluzione già pronta a questa situazione complessa, in un Paese con forte crescita demografica, dove metà della popolazione vive sotto la soglia internazionale di povertà, fissata a 1 dollaro al giorno, e dove il 76% degli abitanti vivono con meno di due dollari al giorno.
«Purtroppo, questi bambini non possono essere liberati da questa servitù. Le risorse mancano per provvedere ai loro bisogni, non si possono rispedirli nelle loro famiglie biologiche e non si possono trovare famiglie più attente per accoglierli», ha affermato.
Il Foyer però si accerta che almeno alcuni dei «restavek» di Haiti abbiano la possibilità e il tempo di giocare, di esprimersi e di godere della propria identità. «Ci sforziamo di restituire loro l’infanzia alla quale hanno diritto», ha concluso Wenes Jeanty.
Al termine della visita, i membri della delegazione di «Lettere viventi» si sono impegnati a denunciare la sorte di questi schiavi domestici della nostra epoca. «Attraverso le sue chiese membro, il Cec deve potere difendere la causa di questi bambini presso i governi e le organizzazioni internazionali», ha dichiarato Geneviève Jacques, che guidava la delegazione di «Lettere viventi». (cec media)
(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)
* Cubano, dirige il programma Frontier Internship in Mission, con sede a Ginevra.
tratto da: Riforma,
www.riforma.it
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