Che cosa pensa la chiesa valdese della reincarnazione?
Sono un credente che frequenta la chiesa valdese e per me la domanda è seria e per niente provocatoria. Ultimamente ho letto parecchio sulla reincarnazione e sull’ipnosi di regressione alle vite passate, e ho constatato che il tutto non è così assurdo come potrebbe sembrare a prima vista, ma plausibile e naturale (non c’entra niente con sedute spiritiche e altre cavolate esoteriche). Anzitutto, ci sono dei passi del Nuovo Testamento che possono essere letti in chiave di reincarnazione: a esempio Luca 1, 17; Matteo 11, 14; 17, 11-13; Giovanni 3, 5-8. In secondo luogo i primi cristiani credevano nella rinascita delle anime fino all’anno 553, quando il concilio di Costantinopoli condannò Origene, uno dei padri della Chiesa, perché predicava la preesistenza delle anime, dotate di libero arbitrio: quelle che non sceglievano di avvicinarsi a Dio, venivano punite nel senso che venivano legate a un corpo e alla legge della rinascita fino a che esse sarebbero tornate pure. In terzo luogo, le religioni orientali considerano il passaggio dell’anima da un corpo morto a una nuova nascita come la cosa più normale del mondo (specialmente l’Induismo). Per noi è difficile perché abbiamo il cervello condizionato dal 553. In quarto luogo ci sono medici, psicologi, terapeuti e altre persone serissime che sono in possesso di centinaia di testimonianze relative a esperienze nelle quali vi sono tracce della vita precedente o anche di più vite di una stessa persona. Infine, la dottrina della reincarnazione o trasmigrazione delle anime è stata sostenuta da antichi pensatori come Pitagora, Platone e Plotino, oltre che da vari testi religiosi orientali antichi. C’è anche un passo del Corano (Sura 2, versetto 28) che può essere interpretato come un accenno alla reincarnazione.
La dottrina della reincarnazione dà una speranza a tutte le migliaia di bambini morti alla nascita, oppure nati ciechi, sordi, menomati, nonché ai giovani soldati caduti, alle mamme morte di parto, e così via: non è forse giusto che tutte queste vite spezzate abbiano un’altra possibilità, una seconda chance? Non è forse vero che con la reincarnazione la loro morte sarebbe molto meno traumatica, ingiusta e terribile?
A mio avviso può essere naturale e voluto da Dio il lento evolversi delle anime attraverso differenti corpi, finché essa sia degna di stare vicino a lui e non incarnarsi più. Un’evoluzione simile a quella materiale (quasi darwiniana) di tutte le piante, degli animali e degli uomini. Penso che ciò sarebbe in armonia con tutto il creato di Dio misericordioso.
Chiedo l’opinione valdese su questa ipotesi. Grazie.Adolfo Seibig – Torino
Questa lunga lettera affronta un tema antico e controverso, sul quale il nostro lettore chiede «l’opinione valdese». Potrò fornirgli solo l’opinione di un valdese, cioè del sottoscritto, dato che non mi risulta che il Sinodo – che è l’unico organo che può esprimere il pensiero della Chiesa valdese nel suo insieme su questioni di fede, dottrina e morale – si sia mai pronunciato al riguardo. In assenza di un pronunciamento sinodale, si può supporre quel che la Chiesa valdese potrebbe pensare e dire sulla reincarnazione, mettendo questa dottrina a confronto con la Sacra Scrittura, che per noi è la norma della fede, e quindi anche delle sue formulazioni dottrinali.
Ma prima di tutto occorre cercare di chiarire bene che cos’è questa dottrina. Il suo presupposto fondamentale è (per quel che ne ho capito) che corpo e anima sono due realtà che vivono esistenze autonome: mortale quella del corpo, immortale quella dell’anima. Quando una nuova vita viene concepita, e poi nasce, nasce il corpo, ma non l’anima; quella che il corpo poi riceve è un’anima preesistente e immortale (non però quella dei genitori), che entra in quel corpo e convive con esso fino alla morte, staccandosene poi al momento della morte, e incarnandosi poi in nuovi corpi, che possono essere umani, ma anche animali o vegetali (secondo la qualità della vita vissuta fino ad allora e in base alla «legge del karman», cioè della esatta retribuzione delle azioni buone o malvagie in questa vita o in una futura).
Lo scopo della catena delle successive reincarnazioni è la progressiva purificazione dell’anima attraverso l’espiazione di colpe commesse nella vita precedente e il sempre maggiore amore per il bene: le reincarnazioni durano finché l’anima non è perfettamente purificata e cessano quando la perfezione è raggiunta e l’anima può riunirsi a Dio. Questa dottrina (qui molto sommariamente riassunta; ne esistono diverse varianti) pare al nostro lettore «plausibile e naturale», anche se alla fine la presenta – se ho letto bene – solo come «ipotesi»: un’ipotesi, comunque, che egli trova convincente. Che dire al riguardo? Farò due osservazioni, diciamo così, oggettive, e altre due invece critiche.
1. La prima osservazione oggettiva è questa: è verissimo quanto afferma il nostro lettore circa l’antichità e la diffusione si può dire mondiale di questa dottrina che si ritrova, in forme diverse, in molte culture religiose antiche (in Africa, a esempio, è collegata al culto degli antenati), ma ha la sua patria d’elezione in India. Fu professata da alti esponenti della filosofia greca, come Platone, che dedica le ultima pagine della Repubblica proprio al tema dell’anima immortale, che entra successivamente in diversi corpi, ma può essere contemplata nella sua purezza solo quando è staccata dal corpo. Le anime scelgono il loro destino futuro nei diversi corpi secondo le esperienze fatte nella vita precedente, poi bevono un po’ d’acqua dal fiume Amelete, dimenticando così il proprio passato e rinascendo in un nuovo corpo, per una nuova vita.
Nel Medioevo europeo si sono avute trasposizioni «cristiane» della dottrina della reincarnazione, non solo tra i Catari: se ne hanno tracce presso popolazioni visigote in Prussia e in narrazioni mitiche irlandesi, come quella di un giovane che nel corso di secoli visse come cervo, cinghiale, falco e salmone, prima di rinascere come figlio del re Carell ed essere convertito al cristianesimo da San Patrizio. L’ultima rinascita è resa possibile dal fatto che la madre umana del figlio del re ha mangiato il salmone, corpo della reincarnazione precedente. Questa dottrina ha dunque trovato qualche spazio persino nel Medioevo cristiano.
Non è però vero quello che suggerisce il nostro lettore, e cioè che la dottrina della reincarnazione è stata professata dai cristiani fino al 553. Questo non mi risulta affatto. A mia conoscenza, nessun «padre della Chiesa» la fa propria e neppure la menziona, tranne Origene (185-254 ca.), di cui parlerò tra un istante. E veniamo all’oggi. Oggi la situazione è cambiata o sta cambiando, nel senso che sembra in aumento il numero dei cristiani che, come il nostro lettore, non considerano incompatibile l’idea della reincarnazione con la loro fede.
2. La seconda osservazione oggettiva è questa: la dottrina della reincarnazione ha dalla sua un notevole vantaggio: offre una risposta a molte domande che, altrimenti, restano inspiegabili. In particolare: [a] spiega perché tante sofferenze si abbattono su una persona nel corso della sua vita senza ragioni plausibili (le ragioni vanno cercate in una vita precedente); [b] fornisce una consolazione alle tante vite spezzate o neppure sbocciate, dischiudendo per loro una prospettiva di risarcimento (in una vita futura, in questo mondo); [c] stabilisce un principio rigoroso di giustizia distributiva: ogni azione sarà premiata (se buona) o punita (se cattiva). Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato, come dice anche l’apostolo Paolo (Galati 6,7-8): se non in questa vita, raccoglierà, in bene o in male, in quella prossima.
Questi sono solo alcuni cenni. Ci sono molte pubblicazioni serie su questa dottrina, che riportano esperienze di persone che, in vari momenti della loro vita (compresi alcuni vissuti sul confine tra la vita e la morte), hanno acquistato la certezza di aver vissuto già altre vite. Chi vuole documentarsi sull’argomento, può farlo senza difficoltà.
Veniamo ora alle osservazioni critiche.A. La prima riguarda Origene e la sua condanna. Effettivamente, un editto dell’imperatore Giustiniano (527-565 d.C.) del 543, poi letto pubblicamente al Concilio di Costantinopoli del 553, condanna la dottrina della preesistenza delle anime le quali, «avendo preso disgusto della visione divina», sono state «per punizione mandate giù nei corpi». Qui, a rigore, è condannata la dottrina della preesistenza delle anime, non quello della loro trasmigrazione in diversi corpi successivi. Origene (185-254 ca.) sosteneva la prima, ma non è certo che professasse la seconda. Ma anche se l’avesse professata, la sua condanna non ha certo avuto gli effetti dirompenti che il nostro lettore immagina, per il semplice fatto che allora la dottrina della reincarnazione non era diffusa nella popolazione (più o meno cristiana), al massimo lo era in pochi circoli di intellettuali influenzati dal neoplatonismo.
Ma qual è la ragione della condanna ? È che l’idea di anime preesistenti che per punizione sarebbero state precipitate in corpi umani non trova alcun riscontro nella Sacra Scrittura e quindi è priva di autorità per la fede cristiana.
Si tratta di una dottrina filosofico-religiosa degna di ogni considerazione, ma che, essendo priva di fondamento biblico, non si capisce perché la fede dovrebbe farla propria. La visione biblica dell’uomo è diversa. In primo luogo l’essere umano è visto come un’unità di anima e corpo, pur nella loro ovvia differenza. Un’anima che abiti successivamente in più corpi è un’ipotesi biblicamente impensabile: Giovanni Battista non è la reincarnazione di Elia, ma è «l’Elia che doveva venire» (Matteo 11, 14), secondo la profezia di Malachia 4, 5, cioè colui che, nei tempi finali, deve svolgere una funzione analoga a quella svolta a suo tempo dal profeta Elia.
In secondo luogo la fede cristiana afferma la risurrezione dei corpi e quindi l’unicità di ogni creatura umana. È il corpo che in questa vita individua inconfondibilmente ogni persona e che è destinato, come «corpo spirituale» (I Corinzi 15, 44), non alla distruzione, ma alla vita eterna: non è quindi un semplice involucro provvisorio senza futuro.
B. La seconda osservazione critica riguarda l’idea di fondo che governa la dottrina della reincarnazione, e cioè quella dell’anima che, attraverso una lunga catena di incarnazioni successive, progressivamente si purifica fino a raggiungere la perfezione. La fede cristiana afferma invece che Cristo, con il dono della sua vita, «purifica le nostre coscienze dalle opere morte» (Ebrei 9, 14). Mentre la dottrina della reincarnazione propone una via (nobile) di autopurificazione delle anime, l’Evangelo è che Cristo «ci purifica da ogni peccato» (I Giovanni 1, 7).
Che dire in conclusione? Dirò che la dottrina della reincarnazione contiene pensieri buoni, come quello che le vite spezzate dovranno in qualche modo essere risarcite, quello secondo cui ciascuno di noi raccoglie quello che avrà seminato, e quello dell’unità stretta tra vita spirituale e vita morale. Questi pensieri sono anche cristiani. Ha però il torto, secondo me, di separare quello che Dio ha unito, ipotizzando un momento in cui il corpo è senz’anima e l’anima senza il corpo, e di lasciare completamente sullo sfondo (anzi, di ignorare del tutto) la grande purificazione delle anime e dei corpi, avvenuta per tutti e una volta per sempre sulla croce del Golgotha, negli anni Trenta della nostra era.
Tratto dalla rubrica: Dialoghi con Paolo Ricca
del settimanale Riforma - Anno XVII - n. 5, del 6 febbraio 2009.
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