domenica 8 ottobre 2017

Predicazione di domenica 8 ottobre 2017 su Ebrei 4,12-13 a cura di Marco Gisola

Ebrei 4,12-13

Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto.

Oggi iniziamo un ciclo di quattro predicazioni proposto dai pastori del circuito su invito del consiglio del circuito. L’obiettivo era quello di riflettere sulla comunità e sulle relazioni al suo interno, spesso segnate da conflitti. Come tema generale abbiamo quindi pensato alla “edificazione” della Comunità
Iniziamo con questo brano della lettera agli Ebrei, libro biblico non molto conosciuto, anche se il nostro lezionario comprende diversi testi tratti da questa lettera. La lettera agli Ebrei, nonostante il nome, non parla a ebrei, ma probabilmente a cristiani provenienti dall’ebraismo. Viene chiamato “lettera” ma in realtà è più un piccolo trattato che vuole istruire e edificare una comunità, anche se non si sa quale comunità.
La lettera agli Ebrei non inizia come una lettera, non ci sono saluti, ma finisce con dei saluti e l’autore dice: “quelli d’Italia vi salutano” e menziona Timoteo, per cui nell'antichità si è pensato che l’autore fosse Paolo.
Il linguaggio però è molto diverso da quello delle altre lettere di Paolo, cosa che porta molti studiosi moderni a dire che questa lettera non è di Paolo e che quindi non si sa chi l’abbia scritta e nemmeno a chi sia stata scritta e quando.
Già un padre della chiesa – Origene – nel terzo secolo diceva che solo Dio sa chi abbia scritto questa lettera…
La caratteristica di questa lettera è il fatto che Gesù è descritto come il grande sommo sacerdote. Utilizzando il linguaggio del culto sacrificale, Ebrei ci dice che Gesù è allo stesso tempo il sacerdote e la vittima del sacrificio che è stato la sua morte.
Ma venuto Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. (9,11-12)
Il sacrificio di Cristo è stato l’ultimo sacrificio. Proprio questo fatto ha spinto i Riformatori a contestare l’idea medievale della messa come ripetizione del sacrificio di Cristo.
Ma veniamo al nostro testo:
I due versetti che abbiamo letto costituiscono una parentesi quasi poetica all’interno di un discorso molto più lungo in cui l'autore porta degli esempi negativi del comportamento di Israele nell’Antico Testamento e invita i cristiani a cui scrive a comportarsi diversamente.
Questi due versetti mettono al centro il tema della Parola di Dio, che è descritta come vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto.
È dunque un brano che ci dice che la Parola di Dio giudica. Ma lo dice non in termini giuridici, non parla della condanna comminata dal giudice, ma dell’azione del giudicare. Il giudizio e la condanna non sono la stessa cosa.
Il testo usa l’immagine della spada: la parola di Dio che giudica è paragonata alla spada che entra nel corpo; il giudizio è descritto in modo fisico: in questa immagine in cui la Parola di Dio è spada, noi siamo corpo.
E il nostro corpo viene penetrato dalla spada a doppio taglio che entra e divide. Ma dal corpo si passa subito a ciò che non è fisico: la spada divide sì le giunture dalle midolla ma anche l'anima dallo spirito e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore.
La Parola di Dio dice questo brano, quella che ascoltiamo ogni domenica, entra dentro la nostra anima, il nostro spirito, le nostre giunture, le nostre midolla, scruta e giudica i pensieri del nostro cuore. È un’immagine potente, che parla dell’efficacia della Parola.
La Parola di Dio non è una parola che si ascolta soltanto, non raggiunge soltanto le nostre orecchie e la nostra mente, non è soltanto una parola che fa riflettere o emoziona.


Secondo questa immagine, la Parola di Dio è una Parola che entra dentro di noi. Questa immagine della Parola di Dio che entra in noi ci vuole dire che Dio scruta, osserva la nostra vita e osserva anche ciò che non vorremmo fargli vedere, ciò che forse non vorremmo fare vedere a nessuno. Che forse vorremmo nascondere persino a noi stessi.
Come dicevo prima qui il giudizio non è condanna; il giudizio implica piuttosto l’idea che Dio ci vede e ci osserva dal di dentro.
Dio vede e osserva perché, come dice il testo, siamo nudi davanti a lui. Non è facile stare nudi davanti a qualcuno. Stare nudi davanti a qualcuno è segno di grande intimità. Solo i bambini piccoli lo fanno in un modo naturale, perché non conoscono ancora il pudore, ovvero non hanno nulla da nascondere.
Adamo ed Eva erano nudi nel giardino di Eden. Immagine del fatto che potevano stare l’uno davanti all’altra e davanti a Dio così come erano, perché non avevano nulla da nascondere. Dopo la disobbedienza, si copriranno e si nasconderanno alla vista di Dio perché avranno qualcosa da nascondere.
Anche noi abbiamo qualcosa da nascondere davanti a Dio e anche davanti al prossimo, abbiamo qualcosa che vorremmo nascondere, di cui ci vergogniamo, o di cui semplicemente non siamo contenti.
Questa parola ci dice che davanti a Dio non possiamo nascondere nulla, che siamo nudi; potremmo anche dire trasparenti, perché Dio vede dentro di noi, la spada che penetra dentro di noi mette a nudo ciò che Dio vede.
Ecco il giudizio, di cui parlano questi due versetti.
Ma è davvero un giudizio o non è piuttosto una grazia? È da temere o da invocare che Dio guardi dentro di noi, che non possiamo nascondergli nulla? È un giudizio, ma è anche una grazia. La grazia ci porta innanzitutto a accettare e a fare nostro il giudizio che Dio pronuncia su di noi (così spiegava Paolo Ricca commentando La libertà del cristiano di Lutero) e dunque accettare il giudizio di Dio è, in fondo, liberante.
Non possiamo nascondere nulla a Dio e dunque non abbiamo bisogno di nascondere qualcosa a Dio. Questo è liberante. Liberante perché non abbiamo più bisogno di nasconderci e di indossare la maschera del cristiano perfetto, del pastore perfetto, del membro di chiesa perfetto, dell’anziano di chiesa perfetto… Ma anche del padre o della madre perfetta, del marito o della moglie perfetta, del figlio o della figlia perfetta...
È chiaro che ci è chiesto di tendere sempre al meglio, ma poiché il meglio non sempre è alla nostra portata, possiamo essere cristiani, membri di chiesa, pastori, figli, madri e padri, amici, colleghi ecc. imperfetti, così come siamo.
Sapendo bene che quello che siamo ha molti difetti e cercando di correggere questi nostri difetti, ma senza fare finta di non averne, ovvero senza mentire a noi stessi e agli altri. In fondo ciò che spesso crea difficoltà di relazione e porta al conflitto è il pretendere di essere quello che non si è che.
Sapere che davanti a Dio siamo nudi, può invece aiutarci ad andare verso gli altri, se non proprio (metaforicamente) nudi, almeno senza troppi vestiti, ovvero senza troppe maschere, senza recitare la parte di ciò che non siamo, essendo un po’ più autentici.
Nella vita di ogni giorno, anche nella vita della chiesa, portiamo noi stessi così come siamo, ovvero donne e uomini che stanno sotto il giudizio di Dio, che a lui devono render conto, che hanno bisogno della sua grazia per andare avanti in modo autentico.
Se non siamo consapevoli di questo, la nostra vita non sarà autentica, ma sarà falsata dalle nostre illusioni di essere giusti o di essere meglio, dalle nostre maschere che indossiamo prima di tutto davanti a noi stessi, mentendo a Dio, al prossimo e anche a noi stessi.
Le nostre maschere stanno sotto il giudizio di Dio, che vede attraverso e oltre le maschere che portiamo ogni giorno; riuscire a toglierle è l’effetto liberante del giudizio, che è già grazia, effetto della “Parola di Dio vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio...”.
Che questa Parola è davvero vivente ed efficace, che davvero penetra e scruta il nostro cuore e la nostra vita, che davvero quindi può trasformare il nostro cuore e la nostra vita e renderli più autentici, questa è la fede dell’autore della lettera agli Ebrei.
Possa essere questa anche la nostra fede.




Nessun commento: