8. e 10. Non rubare. Non concupire ... (Esodo 20,15.17)

Non Rubare: Il verbo usato in questo comandamento aveva originariamente il significato di non rapire un altro essere umano. In questo senso è ben comprensibile che una serie di comandamenti che vuole tutelare la libertà dei liberati, cioè di quelli che furono schiavi in Egitto, prescriva di non rapire. In questo senso vorrebbe dire: non togliere al tuo prossimo la libertà che Dio gli ha dato.
Il rapimento poteva avvenire allo scopo di rendere schiava la vittima del rapimento. Ma l'ebreo liberato dalla schiavitù d'Egitto non doveva tornare schiavo. Questo comandamento può quindi essere parafrasato dicendo: non togliere al tuo prossimo la sua libertà.
Col tempo ha poi acquistato il significato più generale di proibizione del furto di ciò che appartiene al prossimo. Ciò che il prossimo possedeva in quella società fondata su agricoltura e allevamento era sostanzialmente il frutto del proprio lavoro, oppure ciò che veniva usato per lavorare, come gli animali menzionati nell'ultimo comandamento, che è in fondo un estensione di questo.
Non rubare” ci introduce nel discorso sulla proprietà, che è quindi collegato a quello della ricchezza e della povertà. Dobbiamo ricordare che l’ideale dell’AT è che ogni israelita, o meglio ogni famiglia, possegga il suo pezzo di terra. Ognuno deve essere proprietario di ciò che gli serve, ma in fondo solo di quello, come ci insegna il racconto della Manna.
Oggi, in un mondo in cui domina la logica del mercato – spesso selvaggio, cioè senza regole – ci sono persone che posseggono molto di più di quello che serve loro per vivere persone che posseggono molto meno, e spesso persino nulla!
Francesco Gesualdi nella sua conferenza della settimana scorsa ha detto che le 62 persone più ricche del mondo posseggono una ricchezza pari a quella dei tre miliardi di persone più povere del mondo, metà della popolazione mondiale!!!
Il fatto che miliardi di poveri non abbiano ciò che serve loro per vivere è un furto generalizzato, perché le risorse per tutti ci sarebbero, lo sappiamo, e quindi chi non ha il necessario è perché qualcuno gli impedisce di averlo.
Ci sono tanti modi moderni di rubare: alzare i prezzi delle merci senza ragione, per esempio, ma anche abbassarli per pagare – per esempio – pochissimo i contadini che coltivano il caffè in Africa o America Latina o i pomodori nel Sud Italia.
La corruzione è un furto commesso ai danni dei cittadini; il lavoro nero è un furto ai danni dei lavoratori che in alcuni casi (vedi caporalato) sconfina nella schiavitù.
Il comandamento sul Non desiderare è in fondo una estensione del Non rubare.
La nostra prima reazione davanti a questo comandamento è che ci sembra assurdo che venga proibito il desiderio, così come fa pensare la nostra traduzione. Se io desidero una cosa che non ho e che tu hai, in questo mio desiderare non c'è nulla di male, al massimo si può cadere nell’invidia.
In realtà non è questo che vuole proibire il comandamento, perché il verbo usato qui non significa soltanto desiderare, nel senso di pensare “oh come mi piacerebbe avere questa o quella cosa”, ma comprende nel suo significato già il tentativo di impossessarsi di ciò che appartiene ad altri.
Il comportamento proibito è il macchinare, il tramare per portare via qualcosa al prossimo, fino al tentare di sottrarglielo.
L'israelita libero vive con la moglie – curiosamente non sono menzionati i figli – i servi e i suoi animali nella sua porzione di “eredità” ricevuta da Dio, e tutto ciò non deve essere preso da altri, perché è Dio che ha donato quel pezzo di terra a quell'uomo e a quella famiglia.
Quindi non bisogna volere o cercare di portare via al prossimo la parte di terra promessa che Dio gli ha dato con tutto quello che essa comprende. Le cose elencate nel comandamento sono ben precise e fanno parte – nella visione del tempo, ovviamente – della proprietà dell'uomo israelita libero. Per questo vi si trova anche la moglie, che allora era considerata come proprietà del marito.
Anche se proprio su questo troviamo una differenza tra le due versioni dei dieci comandamenti. La versione di Esodo mette prima la casa e poi la moglie, che rientra quindi più chiaramente nelle proprietà del marito. Dove per “casa”, però, non si intende soltanto l’edificio, ma è un concetto che comprende le proprietà e la famiglia in senso lato, quindi compresi i servi e gli animali. Potremmo dire che “moglie, servo, serva, bue e asino” descrivono cosa si intende con la parola “casa”.
La versione di Deuteronomio 5, che è più recente, menziona invece prima la moglie e poi tutto il resto; questo spostamento è effetto di una maggiore considerazione sociale della donna e anche del fatto che il Deuteronomio nasce quando Israele è in esilio e quindi la terra è lontana e il concetto di “casa” non ha quel valore religioso che aveva quando il popolo era nella terra promessa.
c’è anche un’altra differenza: il Deuteronomio utilizza due verbi diversi per la moglie e per gli altri oggetti del desiderio. Il verbo usato per la moglie è diverso da quello dell’Esodo e indica, qui sì, maggiormente il desiderio in sé, avvicinando quindi questo divieto al divieto di adulterio.
Un significato interessante di questa proibizione rispetto al non rubare è che nemmeno legalmente si può portare via il pezzo di terra promessa che Dio ha dato a una famiglia. Avevamo già letto la storia in cui il re Acab si impossessa della vigna di Nabot (1 Re 21): in un primo tempo il re voleva comprare la vigna, cosa assolutamente legale, ma Nabot non la vende e dice: “mi guardi il Signore dal darti l'eredità dei miei padri”.
Poi Acab lo fa condannare sulla base di false testimonianze e lo fa uccidere. In questo racconto vengono infranti almeno tre comandamenti: non uccidere, non dire falsa testimonianza, non desiderare le cose del tuo prossimo...
In questo senso questo comandamento è straordinariamente attuale. Pensiamo a quante cose necessarie vengono sottratte legalmente alle persone o quante cose le persone perdono non perché vengono loro rubate, ma per esempio per difficoltà economiche.
Tutelando la “casa” e quanto essa contiene, questo comandamento tutela innanzitutto la possibilità di lavorare e quindi di vivere. La casa, dicevamo, non è soltanto l’edificio in cui si abita, ma comprende i campi che si coltivano o i pascoli su cui si allevano animali; comprende gli animali che aiutano l’essere umano a lavorare la terra (potremmo dire gli strumenti di lavoro), comprende i suoi servi (oggi diremmo: i suoi dipendenti).
La legge qui vuole regolare i comportamenti individuali, ma poiché questa è appunto una legge (oltre che un comandamento morale), non mi sembra assurdo far derivare da questo comandamento un discorso più ampio sullo stato sociale.
Questo comandamento presuppone che la volontà di Dio sia che tutti i membri del suo popolo abbiano una casa e di che sostentarsi, di che vivere.
Nel nostro mondo molto più complesso in tutto ciò non possiamo non far entrare in campo lo Stato e le sue leggi. Per esempio non dovrebbe essere permesso che esistano persone che non hanno di che mangiare o che non hanno un posto dove abitare.
E poiché non è lo Stato che può creare direttamente posti di lavoro, si potrebbe pensare seriamente alle varie proposte che ci sono di un reddito minimo di cittadinanza.
Ma torniamo al testo e concludiamo. Questi due comandamenti tutelano sì la proprietà, in particolare la proprietà di ciò che è necessario per lavorare e per vivere e una proprietà che permetta di lavorare e vivere a tutti i membri del popolo di Israele. Non la proprietà a ogni costo, soprattutto se il costo, cioè la conseguenza, è che la proprietà esagerata degli uni provochi la miseria degli altri.
Non quando la proprietà è frutto di ingiustizia o causa di ingiustizia, e sappiamo che le due cose vanno insieme, perché da ingiustizia nascono altre ingiustizie.
In fondo tutelando la proprietà della casa e dei mezzi di sostentamento si vuole impedire che qualcuno cada nella miseria e quindi perda la sua libertà, che Dio gli ha donato.
Per i comandamenti e per tutta la Torah – direi per tutta la Bibbia - è chiaro che la libertà non consiste solo nel non essere schiavi, ma nel condurre una vita libera e dignitosa. Questi due comandamenti sono altri due tasselli che contribuiscono a costruire una società e una comunità in cui tutti possano avere uguali diritti e uguali opportunità di vivere una vita libera, dignitosa e felice.

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