Non
Rubare: Il
verbo usato in questo comandamento aveva
originariamente
il
significato di non rapire
un altro essere umano. In
questo senso è ben comprensibile che una serie di comandamenti che
vuole tutelare
la libertà dei liberati, cioè di quelli che furono schiavi in
Egitto,
prescriva di non rapire. In questo senso vorrebbe dire: non togliere
al tuo prossimo la libertà che Dio gli ha
dato.
Il
rapimento poteva avvenire allo scopo di rendere schiava la vittima
del rapimento. Ma l'ebreo liberato dalla schiavitù d'Egitto non
doveva tornare schiavo. Questo comandamento può quindi essere
parafrasato dicendo: non togliere al tuo prossimo la sua libertà.
Col
tempo ha poi acquistato il significato più generale di proibizione
del furto di ciò che appartiene al prossimo. Ciò che il prossimo
possedeva in quella società fondata su agricoltura e allevamento era
sostanzialmente il frutto del proprio lavoro, oppure ciò che veniva
usato per lavorare, come gli animali menzionati nell'ultimo
comandamento, che è in fondo un estensione di questo.
“Non
rubare” ci introduce nel discorso sulla proprietà, che è quindi
collegato a quello della ricchezza e della povertà. Dobbiamo
ricordare che l’ideale dell’AT è che ogni israelita, o meglio
ogni famiglia, possegga il suo pezzo di terra. Ognuno deve essere
proprietario di ciò che gli serve, ma in fondo solo di quello, come
ci insegna il racconto della Manna.
Oggi,
in un mondo in cui domina la logica del mercato – spesso selvaggio,
cioè senza regole – ci sono persone che posseggono molto di più
di quello che serve loro per vivere persone che posseggono molto
meno, e spesso persino nulla!
Francesco
Gesualdi nella sua conferenza della settimana scorsa ha detto che le
62 persone più ricche del mondo posseggono una ricchezza pari a
quella dei tre miliardi di persone più povere del mondo, metà della
popolazione mondiale!!!
Il
fatto che miliardi di poveri non abbiano ciò che serve loro per
vivere è un furto generalizzato, perché le risorse per tutti ci
sarebbero, lo sappiamo, e quindi chi non ha il necessario è perché
qualcuno gli impedisce di averlo.
Ci
sono tanti modi moderni di rubare: alzare i prezzi delle merci senza
ragione, per esempio, ma anche abbassarli per pagare – per esempio
– pochissimo i contadini che coltivano il caffè in Africa o
America Latina o i pomodori nel Sud Italia.
La
corruzione è un furto commesso ai danni dei cittadini; il lavoro
nero è un furto ai danni dei lavoratori che in alcuni casi (vedi
caporalato) sconfina nella schiavitù.
Il
comandamento sul Non
desiderare è
in fondo una estensione del Non
rubare.
La
nostra prima reazione davanti a questo comandamento è che ci sembra
assurdo che venga proibito il desiderio, così come fa pensare la
nostra traduzione. Se io desidero una cosa che non ho e che tu hai,
in questo mio desiderare non c'è nulla di male, al massimo si può
cadere nell’invidia.
In
realtà non
è questo che vuole proibire il comandamento, perché il
verbo usato qui non significa soltanto desiderare, nel senso di
pensare “oh come mi piacerebbe avere questa o quella cosa”, ma
comprende nel suo significato già il tentativo di impossessarsi di
ciò che appartiene ad altri.
Il
comportamento proibito è il macchinare,
il tramare
per portare via qualcosa al prossimo, fino
al tentare
di sottrarglielo.
L'israelita
libero vive con la moglie – curiosamente non sono menzionati i
figli – i servi e i suoi animali nella sua porzione di “eredità”
ricevuta da Dio, e tutto ciò non deve essere preso da altri, perché
è Dio che ha donato quel pezzo di terra a quell'uomo e a quella
famiglia.
Quindi
non
bisogna volere o
cercare di portare
via al prossimo la parte
di terra promessa che Dio gli ha dato
con tutto quello che essa comprende. Le cose elencate nel
comandamento sono ben precise e fanno parte – nella visione del
tempo, ovviamente – della proprietà dell'uomo israelita libero.
Per questo vi si trova anche la moglie, che allora era considerata
come proprietà del marito.
Anche
se proprio su questo troviamo una differenza tra le due versioni dei
dieci comandamenti. La versione di Esodo mette prima la casa e poi la
moglie, che rientra quindi più chiaramente nelle proprietà del
marito. Dove per “casa”, però, non si intende soltanto
l’edificio, ma è un concetto che comprende le proprietà e la
famiglia in senso lato, quindi compresi i servi e gli animali.
Potremmo dire che “moglie, servo, serva, bue e asino” descrivono
cosa si intende con la parola “casa”.
La
versione di Deuteronomio 5, che è più recente, menziona invece
prima la moglie e poi tutto il resto; questo spostamento è effetto
di una maggiore considerazione sociale della donna e anche del fatto
che il Deuteronomio nasce quando Israele è in esilio e quindi la
terra è lontana e il concetto di “casa” non ha quel valore
religioso che aveva quando il popolo era nella terra promessa.
c’è
anche un’altra differenza: il Deuteronomio utilizza due verbi
diversi per la moglie e per gli altri oggetti del desiderio. Il verbo
usato per la moglie è diverso da quello dell’Esodo e indica, qui
sì, maggiormente il desiderio in sé, avvicinando quindi questo
divieto al divieto di adulterio.
Un
significato interessante di questa proibizione rispetto
al non
rubare è
che nemmeno
legalmente
si può portare via il pezzo di terra promessa che Dio ha dato a una
famiglia. Avevamo
già letto la
storia in
cui il
re Acab si impossessa della vigna di Nabot (1 Re 21): in un primo
tempo il re voleva comprare
la vigna, cosa
assolutamente legale, ma
Nabot non la vende e dice: “mi guardi il Signore dal darti
l'eredità dei miei padri”.
Poi
Acab lo fa condannare sulla base di false testimonianze e lo fa
uccidere. In questo racconto vengono infranti almeno tre
comandamenti: non uccidere, non dire falsa testimonianza, non
desiderare le cose del tuo prossimo...
In
questo senso questo comandamento è straordinariamente attuale.
Pensiamo a quante cose necessarie vengono sottratte legalmente alle
persone o quante cose le persone perdono non perché vengono loro
rubate, ma per esempio per difficoltà economiche.
Tutelando
la “casa” e quanto essa contiene, questo comandamento tutela
innanzitutto la possibilità di lavorare e quindi di vivere. La casa,
dicevamo, non è soltanto l’edificio in cui si abita, ma comprende
i campi che si coltivano o i pascoli su cui si allevano animali;
comprende gli animali che aiutano l’essere umano a lavorare la
terra (potremmo dire gli strumenti di lavoro), comprende i suoi servi
(oggi diremmo: i suoi dipendenti).
La
legge qui vuole regolare i comportamenti individuali, ma poiché
questa è appunto una legge (oltre che un comandamento morale), non
mi sembra assurdo far derivare da questo comandamento un discorso più
ampio sullo stato sociale.
Questo
comandamento presuppone che la volontà di Dio sia che tutti i membri
del suo popolo abbiano una casa e di che sostentarsi, di che vivere.
Nel
nostro mondo molto più complesso in tutto ciò non possiamo non far
entrare in campo lo Stato e le sue leggi. Per esempio non dovrebbe
essere permesso che esistano persone che non hanno di che mangiare o
che non hanno un posto dove abitare.
E
poiché non è lo Stato che può creare direttamente posti di lavoro,
si potrebbe pensare seriamente alle varie proposte che ci sono di un
reddito minimo di cittadinanza.
Ma
torniamo al testo e concludiamo. Questi due comandamenti tutelano sì
la proprietà, in particolare la proprietà di ciò che è necessario
per lavorare e per vivere e una proprietà che permetta di lavorare e
vivere a tutti i membri del popolo di Israele. Non la proprietà a
ogni costo, soprattutto se il costo, cioè la conseguenza, è che la
proprietà esagerata degli uni provochi la miseria degli altri.
Non
quando la proprietà è frutto di ingiustizia o causa di ingiustizia,
e sappiamo che le due cose vanno insieme, perché da ingiustizia
nascono altre ingiustizie.
In
fondo tutelando la proprietà della casa e dei mezzi di sostentamento
si vuole impedire che qualcuno cada nella miseria e quindi perda la
sua libertà, che Dio gli ha donato.
Per
i comandamenti e per tutta la Torah – direi per tutta la Bibbia - è
chiaro che la libertà non consiste solo nel non essere schiavi, ma
nel condurre una vita libera e dignitosa. Questi due comandamenti
sono altri due tasselli che contribuiscono a costruire una società e
una comunità in cui tutti possano avere uguali diritti e uguali
opportunità di vivere una vita libera, dignitosa e felice.
Nessun commento:
Posta un commento