Il Padre Nostro: Padre Nostro che sei nei Cieli

Padre nostro che sei nei cieli” (Matteo 6,9b)

Pregare significa parlare con Dio nella certezza che Dio ascolta quello che noi abbiamo da dirgli. E nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, noi ci indirizziamo a Dio chiamandolo “Padre nostro che sei nei cieli”. Lo chiamiamo innanzitutto “Padre”.
C’è un motivo ben preciso per cui noi chiamiamo Dio “Padre”: noi chiamiamo Dio Padre perché egli è il Padre di Gesù Cristo e in lui Dio ci ha resi suoi figli. Il vangelo di Giovanni, parlando di Cristo, dice: “a tutti quelli che l’hanno ricevuto, egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio” (Giovanni 1,12). E l’apostolo Paolo dice che siamo figli adottivi di Dio (Romani 8,14-17): Gesù è il figlio “naturale” di Dio, tutti quelli che credono in lui sono figli adottivi, per grazia.
È infatti un dono essere figli di Dio e poter chiamare Dio Padre. Non è un evento naturale, non è una nostra decisione, non dipende da noi. Siamo stati resi figli e figlie.
Anche il “Padre nostro” quindi è una preghiera che facciamo nel nome di Gesù, e anche se non diciamo esplicitamente “nel nome di Gesù Cristo”, Cristo è però presente già nella prima frase, nel momento in cui chiamiamo Dio “Padre”, perché solo attraverso Gesù Dio è nostro Padre. Dio quindi non è solo come un padre, ma è padre nostro attraverso Gesù.
È vero che il paragone tra l’amore di Dio e l’amore dei genitori per il proprio figlio è uno dei paragoni più azzeccati che possiamo utilizzare, umanamente parlando. L’amore dei genitori per i loro figli e le loro figlie è solitamente l’amore più gratuito che esista.
L’immagine più conosciuta e anche più bella per esprimere il rapporto tra il credente e Dio, è quella del bambino piccolo che ha bisogno in tutto e per tutto dei genitori, ai quali si affida e dei quali si fida.
Ma sappiamo che non sempre un genitore riesce ad amare i propri figli, e non sempre questo amore è gratuito. Già molto prima di Gesù un salmo diceva “qualora mio padre e mia madre mi abbandonino, il Signore mi accoglierà” (salmo 27,10).
Pensate in quanti modi Gesù avrebbe potuto insegnarci a chiamare Dio; quante volte, anche nella Bibbia, Dio è paragonato a forza, a potenza, a altezza. Eppure, nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, Dio non è chiamato né forza, né potenza, ne altezza, ma semplicemente “Padre”. Questo vuol dire che quando preghiamo, non dobbiamo avere un sentimento di timore, bensì di fiducia, dobbiamo essere a nostro agio come una bambino sulle ginocchia di suo Padre.

Gesù invita a pregare nel privato, nella propria cameretta. Eppure non insegna a dire “Padre mio”, ma “Padre nostro”. Anche quando con le parole del “Padre nostro” prego da solo, sono in comunione con tutte le sorelle e tutti i fratelli che sono, come me, figli e figlie di quel Padre.
Questo vuol dire che chi dice “Padre nostro” è fratello o sorella di chi prega la stessa preghiera. Anzi, non si può pregare “Padre nostro” senza considerare fratelli e sorelle coloro che come noi dicono “Padre nostro” e dunque essere in comunione con queste sorelle e questi fratelli.
Abbiamo detto che siamo figli adottivi di Dio. Dio, cioè, non ci ha generati, ma è nostro Padre perché ci ha scelti. E come noi ha scelto anche molti altri e altre che sono i nostri fratelli e le nostre sorelle. Così come noi non abbiamo scelto i nostri fratelli e le nostre sorelle naturali, non scegliamo nemmeno le nostre sorelle e i nostri fratelli in fede: li ha scelti Dio per noi e tutti e tutte loro sono coinvolti mentre diciamo “Padre Nostro”, anche se non sono lì accanto  a noi.
Il “Padre nostro” è la preghiera inclusiva e comunitaria per eccellenza; già dal suo inizio è chiaro che non prego solo per me: il “Padre nostro” è tutto al plurale! Non dico “dammi …”, ma “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, non chiedo “liberami …, ma “liberaci dal male”, e così via. Il “Padre nostro” è una sorta di terapia contro ogni egoismo.
Anche quando prego da solo, anche se pregassi nel mezzo della foresta amazzonica o nel deserto del Sahara, dicendo “Padre nostro” sono in comunione con tutti quelli che credono in Gesù Cristo.
Anche qui ci sono delle conseguenze pratiche, etiche. Non posso dire “Padre nostro”, o “dacci oggi il pane quotidiano”, e poi vivere come se esistessi solo io. Sarei un ipocrita se chiedessi “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, se poi io non fossi disposto a condividere il mio pane con il prossimo.
La fede e l’amore di Dio non si vivono mai da soli, e il “Padre nostro” ce lo ricorda dicendo “nostro” subito dopo aver chiamato Dio “Padre”. La fede e l’amore di Dio si condividono, come si condivide il pane, la gioia e l’amicizia.
La parola “nostro” ci ricorda che a Dio non dobbiamo mai chiedere nulla per noi che non chiediamo anche per gli altri. Se chiedo a Dio di avere gioia, non posso non chiederla anche per gli altri; se chiedo a Dio di avere forza, non posso non chiederla anche per gli altri. Il Padre Nostro non è una preghiera che faccio solo per me, Gesù non ci ha insegnato a pregare solo per noi stessi.

“Padre nostro che sei nei cieli”. Vuol dire che Dio abita sulle nuvole? No, già il re  Salomone sapeva che “i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere” (I Re 8,27). Il cielo non è un luogo, è un’immagine per esprimere alcune caratteristiche di Dio.
La grandezza e l’altezza di Dio: Dio è più grande di te ed è per questo che può fare ciò che tu gli chiedi. Se tu non pensi che Dio può fare ciò che gli chiedi, allora è inutile chiederglielo. È più grande di te come un Padre è più grande del suo figlio appena nato.
Dio è più alto di te; se saliamo su una montagna molto alta vediamo un vastissimo panorama. Così, dire che Dio è nei cieli, vuol dire che vede tutto il mondo che ha creato e veglia su di lui.
Se Dio è nei cieli non è afferrabile: non puoi prenderlo, catturarlo, ingabbiarlo. Non lo puoi rinchiudere in una idea, in un pensiero, in una ideologia, in un dogma, in una chiesa! Se Dio è nei cieli – che al tempo di Gesù era un luogo irraggiungibile – non lo puoi raggiungere come volevano gli uomini che hanno costruito la torre di Babele. Dio è nei cieli, perché sa che se potessimo afferrarlo ne faremmo quel che piace a noi per i nostri comodi.
Se Dio è nei cieli non è dentro di te. Dio non corrisponde ai tuoi desideri, Dio non è uguale a ciò che tu vuoi, a ciò che tu pensi e provi. Le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, le tue emozioni non sono Dio; nemmeno le tua intelligenza e le tue riflessioni sono Dio. Dire che Dio è nei cieli significa che non devi cercarlo dentro di te, ma fuori di te.
E nemmeno lo trovi nella natura, nei fiori, nei tramonti. Natura, fiori e tramonti li ha creati lui, ma non sono Dio. Dio è più in alto e al tempo stesso più in basso; non è il cielo, ma nei cieli. Dio è il creatore del mondo che per farsi conoscere da noi ha preso il corpo di Gesù Cristo, e ha camminato per le strade polverose della Palestina; ha chiamato dei pescatori, guarito lebbrosi, frequentato le persone più povere e emarginate. È così che ha voluto farsi conoscere da noi, ed è in Gesù Cristo che noi lo dobbiamo cercare.
È attraverso Gesù Cristo che noi lo chiamiamo “Padre”. È grazie a Gesù Cristo, che è venuto per noi tutti, che possiamo dire “nostro”. Ed è nella certezza che in Gesù Cristo Dio ha parlato agli esseri umani, ha percorso e amato la terra che possiamo dire “che sei nei cieli”.
Ci dia il Signore di saper dire “Padre” con amore, dire “nostro” con spirito di comunione, dire “che sei nei cieli” con fiducia nella sua potenza e nella sua volontà.

1 commento:

PIERA ha detto...

MERAVIGLIOSO!!!