domenica 27 maggio 2018

Predicazione di domenica 27 maggio 2018 su Esodo 34,4-8 e Giovanni 3,16-18 a cura di Daniel Attinger

Predicazione di domenica 27 maggio 2018 (festa della Trinità)
DIO MILLE VOLTE MISERICORDIOSO

Esodo 34,4-8
Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò la mattina di buon’ora, salì sul monte Sinai come il Signore gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. Il Signore discese nella nuvola, si fermò con lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a Mosè, e gridò: “Il Signore! il Signore! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!” Mosè subito s’inchinò fino a terra e adorò.

Giovanni 3,16-18
Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo per mezzo di lui. Chi ha fede in lui non è giudicato; chi non ha fede è già giudicato, perché non ha avuto fede nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
Fratelli e sorelle, carissimi,
Dopo il tempo della quaresima, dopo i giorni della passione e della risurrezione di Cristo e dopo il grande cammino di gioia che ci ha condotti alla Pentecoste che ci ricorda che siamo abitati e plasmati da quello Spirito che dimorava in Cristo e che ora ci conforma a Lui, oggi noi ringraziamo il nostro Dio che misteriosamente conduceva tutti questi eventi e continua a condurli. Celebriamo la santissima Tri­nità, sprofondiamo nel mistero.
Attenzione però: questa festa non celebra un dogma che umanamente non ha senso, perché uno non può essere nel contempo uno e tre. Oggi invece, celebriamo il nostro Dio, il Vivente, Colui che suscita vita: vita che zampilla dalla fonte stessa dell’amore che è il nostro Dio. In lui, infatti, vi è come un movimento a spirale dove il Padre, l’Amante, ama il Figlio, l’Amato, attraverso lo Spirito Santo, l’Amore, e da lì quest’amore si diffonde e abbraccia l’universo intero.
Perciò ho pensato di riflettere oggi con voi sul testo dell’AT che abbiamo appena ascoltato e che dice, in modo diverso, per noi forse meno evidente, ciò che rivela l’evangelo che abbiamo letto. La proclamazione del nome di Dio davanti a Mosè è un testo celebre nell’ebraismo, che lo considera come la sua confessione di fede, un po’ come lo è per noi il credo. Ma se gli Ebrei raccontano il loro Dio con queste parole, dobbiamo poter anche noi raccontarlo con le stesse parole giacché il loro Dio è anche il nostro.
Il testo appartiene agli episodi centrali dell’Esodo, quando Dio dona a Israele, accampato ai piedi del Sinai, la sua Legge. La risposta del popolo, non immediata, ma comunque abbastanza ravvicinata, a questo dono fu la richiesta, fatta ad Aronne, fratello di Mosè: “Fa’ per noi un dio che cammini alla no­stra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto” (Es 32,2). Aronne fece quindi preparare il vitello d’oro che provocò l’ira del Signore. Mo­sè s’interpose con veemenza e ottenne il perdono di Dio, perché, come dice il Signore poco prima del nostro testo: “A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia” (33,19). La proclamazione del nome del Signore che abbiamo ascoltato oggi è la spiegazione o l’illustra­zione di questa dichiarazione paradossale. La dico paradossale, perché Dio non mette in bilancia mise­ricordia e collera, come ci aspetteremmo, ma misericordia da un lato e pietà dall’altro. In Dio quindi c’è spazio solo per la tenerezza e per l’amore nei confronti delle sue creature. Ecco ciò che sot­tolinea anche l’affermazione di Dio come uno in tre persone: in lui non c’è altra unità se non quella dell’amore e della comunione.
Se ora ascoltiamo il Signore che proclama il suo nome davanti a Mosè, vediamo che dice sostan­zialmente la stessa cosa:
Il Signore! il Signore! (da sempre il tetragramma divino è associato alla misericordia di Dio), il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato.
Davvero, poiché Dio è amore, non c’è in lui nulla che non sia riflesso della sua bontà e della sua tenerezza.
Direte però: “Va bene, ma perché non cita la proclamazione di Dio fino alla fine? Ciò che segue, infatti, non va proprio in quella direzione!”. Anzitutto potrei rispondere che ho un precedente illustre: Gesù stesso. Quando fece la sua prima predicazione a Nazareth, ha anch’egli tagliato un pezzo del testo che leggeva. Ricordate! Gesù ha letto: “Lo Spirito del Signore è su di me perché mi ha consacrato per portare ai poveri il lieto annuncio …, per rimettere in libertà gli oppressi e per proclamare l’anno di gra­zia del Signore”, e si è fermato là, mentre il testo continuava dicendo: “e per promulgare il giorno di vendetta del Signore!” (Is 61,2).
Si vede che a Gesù non piaceva parlare della vendetta di Dio e quindi si è fermato prima. Potrei quindi fare anch’io la stessa cosa nella grande proclamazione di Dio a Mosè, e attenermi al Dio che è solo misericordia e perdono. Non lo farò, e quindi continuerò la lettura, fino alla fine della dichiarazio­ne di Dio. Ma siamo attenti a ciò che dice.
Ma [Dio] non terrà il colpevole per innocente; punisce (letteralmente: visita) l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!.
In queste condizioni, dov’è finito l’amore di Dio che sembrava illimitato? Forse il Signore si ri­mangia la sua promessa? No! Di certo! Ma allora, come capire la conclusione della proclamazione del nome di Dio?
In un primo tempo, Dio rivela l’immensità del suo amore; è l’inizio della dichiarazione: Dio è mi­sericordioso, lento all’ira, ricco di amore e di fedeltà, pronto a perdonare fino a mille generazioni … È anche ciò che Gesù ricorda nell’evangelo di oggi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unige­nito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Qui Gesù rivela che Dio ci ama tanto che se deve scegliere tra la sua e la nostra vita, preferisce che viviamo noi piuttosto che lui. Nel Figlio, infatti, è Dio che accetta di morire, perché il Figlio non è altro che Dio stesso, ma Dio “mortale” poiché in lui Dio si è fatto pienamente umano.
Questo significa forse che possiamo fare qualunque cosa? Proprio qui interviene la fine della pro­clamazione del nome di Dio: “… non tiene il colpevole per innocente, anzi punisce fino alla terza e alla quarta genera­zione”. Non per cancellare la sua misericordia, ma per precisarla. Dio è misericordia, perdono e amore, ma non è cieco. Vede il peccato, odia il peccato, e quindi punisce il peccatore, ma attenzione: se i pec­catori sono puniti fino alla terza o alla quarta generazione, essi stessi sono in realtà sommersi, nel con­tempo, dall’oceano di misericordia che si estende su mille generazioni. Dio non è farmacista per misu­rare ogni singolo grammo di peccato e dargli il contraccambio in punizione: è tre volte santo e quindi mille volte misericordioso. Paolo direbbe forse a questo punto: ciò che la legge non poteva fare, distin­guere cioè il peccato dal peccatore, Dio l’ha realizzato in Cristo: attraverso di lui, infatti, Dio ha condan­nato il peccato e salvato il peccatore.
Allora, restando attenti alle visite di Dio, cerchiamo di essere sempre testimoni del suo amore. A lui, che è Padre, Figlio e Spirito Santo, ogni onore e gloria, ora e per i secoli dei secoli.
Amen.