sabato 30 agosto 2008

PIEDICAVALLO - CULTO DI DOMENICA 31 AGOSTO


CULTO DI ADORAZIONE E LODE


A PIEDICAVALLO
DOMENICA 31 AGOSTO 2008 -
16a DOPO PENTECOSTE

ALLE ORE 17

Celebrazione in Lingua Piemontese

presiede il Prof.
Tavo Burat (Gustavo Buratti)

TUTTI SIETE INVITATI!

venerdì 29 agosto 2008

José Baravalle

Il funerale di José si svolgerà a ROSAZZA, SABATO 30 AGOSTO alle ore 15.
SI prevede una grande partecipazione.
Viste le dimensioni del paese meglio salire a Rosazza con un po’ di anticipo.

il corteo funebre partirà, in auto, dall’obitorio di Biella alle ore 14,30 di domani, sabato 30 agosto. Gli amici si danno appuntamento all’obitorio alle ore 13,45/14,00.

QUESTE LE PAROLE CHE JOSE’ CI HA LASCIATO.

Io non so quello che loro credano che io sappia.
Questa storia non finirà mai.
Mi spiace tantissimo ma penso che questo sia l’unico modo di finirla.

Quello che sta succedendo al mio amore non ha alcun senso.
E’ tremendo che facciano passare le vittime per carnefici.
Qualcuno festeggerà: i veri colpevoli.
Spero di essere l’ultima vittima di così tante barbarie.

Ai miei figli: vi adoro, e spero che continuiate sempre ad essere come siete.
La mia unica colpa è stata quella che non sono riuscito a resistere alla tortura.
Qual è il limite umano?
Chiedo scusa a tutti gli amici e ai parenti.

Io sono già passato per questo, e sono stato assolto.
Me ne vado per non attraversarlo di nuovo.
Me ne vado perché questo deve finire.
Addio

Dal Sinodo valdese

Comunicato n. 11
"No" all’insegnamento della religione cattolica

"Sì" ad una legge sulla libertà religiosa

Torre Pellice (TO), 28 agosto 2008 - Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste – massimo organo decisionale della storica minoranza protestante italiana – ha reiterato il suo "no" all’insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola pubblica.

Secondo la stragrande maggioranza dei deputati riuniti nell'aula sinodale di Torre Pellice (TO), l’IRC non avviene "nel rispetto della libertà di coscienza e di religione, del principio di laicità e aconfessionalità dello Stato". In particolare il Sinodo torna sull’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono dell’IRC (ordinanza ministeriale n. 30 del 10 marzo 2008, art. 8, commi 13-14), norma ritenuta "discriminatoria nei confronti di coloro che scelgono di non avvalersi di tale insegnamento".

Molta perplessità è stata espressa anche per una recente circolare (n. 45 del 22/04/2008) emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione, secondo la quale andrebbe consentito all'IRC "di inserirsi adeguatamente nei piani dell’offerta formativa che le scuole stanno attualmente redigendo per il prossimo anno scolastico", con lo scopo di "armonizzare la collocazione di questa disciplina nel nuovo impianto curricolare della scuola dell’infanzia e delle scuole del primo ciclo". Di fronte a tale provvedimento il Sinodo ha notato come si sia ormai non molto lontani "dallo spirito dell’art. 36 del Concordato del 1929" - ("L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica") -, mentre invece si sia sempre "più disarmonici rispetto all’ispirazione di fondo della Costituzione repubblicana".

Un convinto "sì" è stato espresso invece in materia di libertà religiosa: con un applauso è stato approvato all'unanimità il seguente ordine del giorno: "Consapevole che la vocazione cristiana è una chiamata alla libertà che non si concilia con i privilegi, il Sinodo chiede alla Tavola valdese di ricordare al Parlamento l'urgenza di una legge organica sulla libertà religiosa che superi ingiuste discriminazioni e sottragga le formazioni religiose prive di Intesa a discrezionalità amministrative che spesso determinano violazione dei principi di libertà".

Nella serata di oggi e nella mattinata di domani è attesa l'approvazione di ulteriori ordini del giorno. Domani si passerà all'elezione degli incarichi esecutivi, nonché all'elezione che dovrebbe riconfermare per un altro anno il moderatore della Tavola Valdese, Maria Bonafede che conclude il suo terzo anno di mandato.

Dopo le elezioni, alle ore 13 circa, il moderatore terrà la consueta conferenza stampa per una valutazione conclusiva del Sinodo.

Il Sinodo si conclude domani pomeriggio con un culto liturgico presso il tempio di Torre Pellice.

giovedì 28 agosto 2008

José

Ci ha lasciato José Baravalle.

Dopo aver patito gli orrori e le torture del regime militare argentino degli anni ’70, regime a cui era sfuggito rifugiandosi in Italia.

Dopo aver sofferto nel 1982 ulteriori mesi di detenzione e nuove umiliazioni in occasione del suo rientro in Argentina per accudire alla madre sul letto di morte.

Dopo l’assoluzione finale ottenuta in quell’anno nel processo a suo carico.

In questi giorni, al ricevimento di un nuovo mandato di cattura emesso da un Giudice Federale argentino a carico della moglie Graciela e in attesa del proprio, Josè Baravalle non ha trovato – come in passato - la forza di reagire e di affrontare queste nuove e ingiuste accuse. Troppa la sofferenza.

La famiglia ringrazia per la solidarietà e il rispetto che sta ricevendo in queste ore di profondo dolore.
Gli amici lo ricordano e lo piangono solare e generoso.

mercoledì 27 agosto 2008

Culti a Biella

IL CAMMINO DELLA BIBBIA NEI SECOLI

 dal sito internet dell'Associazione BIBLIA (www.biblia.org)
 riportiamo:

APPROFONDIMENTI CULTURALI – XLV (ANNO XXII, n.2)

Riportiamo il testo predisposto da Domenico Maselli per il suo intervento alla tavola rotonda Bibbia, casa comune? Vicenza, Festival Biblico 31 maggio 2008. Improvvisi impegni legati alla sua carica di Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, gli hanno impedito di partecipare di persona all’incontro, ma non di stendere questo informato contributo. A lui il nostro grazie.


L’ALFABETIZZAZIONE DELLA BIBBIA

La Bibbia ebraica e quella cristiana sono state fondamentali per la fondazione e la crescita del cristianesimo nell’età antica.
Il Secondo Testamento è pieno zeppo di citazioni del Primo, dopo il concilio di Nicea (325) gli scritti dei Padri della chiesa greca e di quella latina sono ricalcati sui testi della Bibbia ebraica e di quella cristiana, sia analizzati nel loro significato esplicito che interpretati in modo allegorico.
La stessa esistenza di varie traduzioni bibliche dall’ebraico e dal greco in siriano, copto, etiopico e latino ed infine la monumentale Vulgata di San Gerolamo provano la diffusione capillare del testo biblico nelle lingue vive.
La seconda evangelizzazione della Gran Bretagna da parte dei monaci irlandesi o della missione romana di Sant’Agostino da Tarso e quelle dei Germani e degli Slavi, avvengono ancora in nome della Bibbia, malgrado la scarsa conoscenza della scrittura tra popolazioni ancora barbare.
Alla fine del primo millennio, vi fu un’evoluzione in senso filosofico e giuridico per cui, più che il testo sacro diventarono importanti le glosse e la predicazione fu monopolio dei vescovi e di alcuni tipi di monaci.
La grande svolta avvenne alla metà del secolo XII con la predicazione di San Bernardo da Chiaravalle che metteva in luce il ruolo di Maria di Nazareth, considerata la madre dei credenti, in quanto donna normale che aveva accettato la proposta fattale da Dio e che quindi, per virtù divina, aveva generato l’uomo nuovo, Gesù.
Di qui nasceva la necessità, per tutti gli esseri umani, di imitare Maria e far nascere in loro l’uomo nuovo spirituale. Contemporaneamente la crisi della Chiesa, ricca e potente, fu caratterizzata da episodi di corruzione, simonia, nepotismo e favorì la diffusione dell’eresia dualistica catara. Scoppiò anche una drammatica crisi sociale con una massa di disperati immigrati nelle città alla ricerca di un lavoro e ridotti in miseria dalle lotte cittadine e dalle frequenti carestie. In questo contesto, alcuni cristiani avevano riscoperto i testi evangelici e presentato il valore rivoluzionario della figura di Gesù.
Si trattava di leggere l’Evangelio sine glossa e di seguire nudi Cristo nudo.
Ben a ragione, Lotario dei Conti di Segni si era reso conto, prima ancora di diventare papa con il nome di Innocenzo III, che la vita e la predicazione di Valdesio di Lione potevano essere il principale antidoto alla diffusione del catarismo. Perciò, una volta papa, egli aveva accettato la visione di Francesco d’Assisi.
Il successo dei movimenti popolari, come valdesi, umiliati, francescani e gli stessi domenicani, portò con sé una nuova ‘alfabetizzazione biblica’ necessaria per poter consentire l’imitazione di Cristo e l’attuarsi di una vita comunitaria.
Nello stesso tempo la riflessione teologica e mistica di Gioacchino da Fiore, con la sua visione apocalittica e con la meditazione dei testi storici e profetici del Primo Testamento, proiettava nel futuro una nuova età dell’oro.
Risuscitò così quella tensione escatologica che aveva caratterizzato il cristianesimo delle origini. La prima letteratura nel volgare italiano avrà questa duplice impronta.
Giacomino da Verona, Bovesin da la Riva, tenteranno di far rivivere le antiche profezie e, sulla scia dello stesso Francesco, le Laudi riprenderanno, talora verbatim, i salmi ebraici e brani evangelici. Non si trattava solo di utilizzare testi biblici nelle lezioni e nei nuovi libri escatologici come la Postilla in Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi.
Si tradussero in volgare i Vangeli di cui abbiamo trovato vari esemplari e ci è tramandata notizia che il domenicano spirituale Jacopo da Varazze, vescovo di Genova, aveva tradotto tutta la Bibbia in volgare al principio del secolo XIV.
È opportuno riassumere qui, quanto si è potuto trovare dei più antichi testi tradotti in italiano. Ad esempio, il Codice 7733 della Biblioteca Vaticana, contiene alcuni testi biblici risalenti al ’200 in volgare fiorentino con alcuni elementi di provenienza senese. Sono il Cantico dei Cantici che è, in assoluto, la più antica versione italiana di un libro biblico, le Epistole Cattoliche, quella ai Romani, il Vangelo di Giovanni, l’Apocalisse e il Libro degli Atti.
Il Vangelo di Giovanni è stato edito recentemente dal dottor Mario Cignoni della Società Biblica.[1]
Ernesto Bonaiuti vede, nel sec. XIII una dicotomia tra la tendenza filosofica sistematrice che ha il suo vertice in San Tomaso d’Aquino e quella popolare biblica di cui abbiamo parlato.
Quando Agnese Cini mi ha comunicato il titolo di questa conversazione, ho subito associato la Divina Commedia dell’Alighieri, alla più alta forma di alfabetizzazione della Sacra Scrittura. Uso il termine ‘alfabetizzazione’ nel suo significato di: trasmissione a livello popolare di opere di valore culturale assoluto.
Più volte nel corso degli ultimi secoli si è cercato di analizzare quali e quanti episodi biblici fossero contenuti nella Divina Commedia e si può oggi affermare con sicurezza che tutti i libri della Bibbia vi sono citati, ma non solo citati, perché Dante con grande disinvoltura affianca ad essi episodi del mondo classico greco romano, racconti mitologici e fatti della storia medioevale fino ai suoi giorni, con un linguaggio che i suoi contemporanei potevano agilmente comprendere molto più di quanto non avvenga oggi nelle nostre scuole. E nel mondo dantesco troviamo quell’intreccio di eventi e di pensieri che costituisce l’autentico fondamento della nostra cultura.
La Bibbia, attraverso Francesco, Dante, l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, la letteratura valdese in lingua provenzale come la Noble Leiçon, è entrata così nelle conoscenze del popolo in due secoli come il XIII e XIV in cui il nostro paese era periodicamente attraversato da masse di pellegrini che sognavano un nuovo mondo.
La lettura di Dante, fatta dal Boccaccio, la ripetizione a memoria delle terzine dantesche, da parte anche di uomini del popolo, favoriranno questo clima e contribuiranno, da un lato alle grandi esperienze religiose del Trecento e, dall’altro al Tumulto dei Ciompi ed a quello dei Lollardi in Inghilterra, oltre che alla nascita dei cenacoli pre-umanistici nella Firenze del tardo Trecento ed alla grande Scuola Francescana di Oxford che aveva nella Bibbia una delle grandi ispiratrici.
Si avvicinava la stagione degli scismi e della traduzione della Bibbia in volgare di Wycliffe e di Huss
Nel ’400 si ebbero le prime Bibbie a stampa; nel 1471 apparve a Venezia la traduzione italiana di Niccolò Malermì di cui si ebbero ben undici edizioni fino al 1494, oltre ad un’altra versione il cui traduttore è ignoto.
Queste edizioni volgari in Italia, dove le persone colte potevano leggere le traduzioni latine nel testo della Vulgata mentre la gran maggioranza della popolazione era analfabeta, testimoniano che la diffusione dei testi biblici tra la popolazione, già vista nel ’200-’300, continuava ancora nel secolo successivo.

L’età moderna
Il ’500 è il secolo della Riforma, in cui si ebbero le grandi traduzioni della Bibbia in lingua volgare, ad imitazione di quella classica di Lutero in Germania.
Nel 1546, il Concilio di Trento proibiva le versioni in volgare e rendeva autentica la Vulgata di S. Gerolamo. Da quel momento in Italia la diffusione della Bibbia in ambito cattolico fu di fatto proibita e, proprio per questa situazione, si può parlare ora di alfabetizzazione biblica perché il mondo cattolico italiano ha, di fatto, aperto la porta alla Bibbia in Italiano solo a partire dal pontificato di Giovanni XXIII (1958-1963) nonostante tentativi di apertura al testo biblico di Benedetto XIV nel 1757 e, poi, con la traduzione in italiano dell’abate Antonio Martini e del vescovo Giacomo dalla Chiesa (poi papa Benedetto XV) con la società di S. Gerolamo.
Lasciatemi dire, a questo punto, che, nonostante tutto, la Bibbia è rimasta presente in Italia per la pur esigua minoranza protestante del nostro paese.
In primo luogo vi è da ricordare che nel 1532 i Valdesi, in gran maggioranza agricoltori, nel Sinodo di Chanforan aderirono alla Riforma di tipo svizzero e dettero 5000 scudi d’oro al cugino di Calvino, Roberto Olivetano, perché traducesse per loro in 5 anni la Bibbia in francese. Frattanto in Italia, Antonio Brucioli traduceva la Bibbia in italiano dai testi originali e seguiva commenti di Lutero per cui dovette affrontare un processo inquisitoriale.
Un predicatore protestante, Giovan Luigi Pascale, fece pubblicare a Ginevra il Nuovo Testamento tradotto dal Brucioli e si recò tra i Valdesi di Calabria a ravvivarne la fede. Fu arrestato a tradimento e poi bruciato a Campo dei Fiori, mentre la comunità valdese di Calabria fu passata a ferro e fuoco. Quelli che si salvarono, abiurarono o fuggirono verso la Svizzera.
Un libro molto importante per la diffusione della Bibbia in Italia nel Cinquecento fu il Trattato Utilissimo del Beneficio di Cristo di Don Benedetto da Mantova, di cui, nonostante l’inquisizione, furono stampati e diffusi oltre 35.000 esemplari, una cifra enorme per i tempi.
Dopo il Cinquecento la Bibbia divenne quasi introvabile in Italia, se non in latino nella versione di S. Gerolamo, letta, per lo più, nel rituale della Messa. Negli stessi seminari, solo alcuni libri erano commentati e presentati ai seminaristi. Non era prevista una lettura sistematica del testo biblico. L’unica versione italiana rintracciabile in Italia alla fine del Settecento, era quella del Martini del 1775, la cui lettura non era consigliata ed aveva bisogno di particolari dispense.
Gli esuli, per ragioni di fede, nei paesi protestanti si erano raccolti in vari gruppi e particolarmente a Ginevra, dove esisteva una comunità di lingua italiana formata essenzialmente da esuli lucchesi che costituirono presto una minoranza molto influente finanziariamente, politicamente e spiritualmente.
Un membro di questa comunità, che si definì sempre ‘di nation lucchese’, fu Giovanni Diodati, un pastore molto influente nato a Ginevra, che fin da giovane tradusse la Bibbia dai testi originali ebraici e greci, e la cui prima edizione uscì nel 1607 e la seconda nel 1641.
Questa traduzione costituisce uno dei capolavori della letteratura italiana del Seicento ed ebbe, nei vari paesi protestanti, delle edizioni che, fino all’inizio dell’Ottocento, furono praticamente ignote in Italia.

Ottocento e Novecento
Nel 1804 nacque a Londra la Società Biblica Britannica e Forestiera con il compito di rispondere al messaggio agnostico che veniva dalla Rivoluzione francese e trovava il suo esponente in Napoleone, con il testo biblico foriero di una restaurazione morale. Si pensava che protestanti, cattolici ed ortodossi trovassero nella Bibbia cristiana la ragione della loro fede e di una unità che superasse gli ostacoli denominazionali. In un primo tempo questa distribuzione della Bibbia in modo interconfessionale sembrò possibile e fu rivolta a tutta l’Europa.
Già nel 1808 fu stampato un Nuovo Testamento in italiano nella versione di Giovanni Diodati per distribuirlo a Malta, isole Ionie, Sicilia, allora sotto controllo inglese, e nel resto dell’Italia. Furono necessarie due ristampe ( nel 1810 nel 1811) e nel 1814 si calcolava che la circolazione del Nuovo Testamento nell’area descritta, raggiungesse la rispettabile cifra di 14.000 copie che è veramente alta se si pensa che la grande maggioranza della popolazione era analfabeta.
Finita l’epoca napoleonica, la Chiesa Cattolica condannò le Società Bibliche e proibì la diffusione delle Bibbie da loro edite; la sola lettura in pubblico della Bibbia poteva costare l’arresto ed anni di prigione. Nonostante ciò la diffusione continuò durante tutta la restaurazione. I principali centri di distribuzione della Bibbia erano il consolato britannico di Livorno, le Valli Valdesi, le colonie inglesi di Malta e Corfù e la Svizzera.
La Bibbia Diodati ebbe molte edizioni che, pur non alterandone i contenuti, provvedevano a rendere il testo del Seicento leggibile nell’Ottocento.
La Repubblica Romana di Mazzini stampò un Nuovo Testamento che, al ritorno del papa, fu tolto dal commercio. Si pensava che quando l’Italia fosse diventata libera, vi sarebbe stata una conversione in massa al protestantesimo
Questo non avvenne, anche se dopo il 1860 i protestanti aprirono in molte località sale di culto che non raggiunsero mai le folle (tanto che nel 1911 i protestanti erano solo 100.000 compresi gli stranieri), ma ebbero il merito di diffondere la Bibbia.
Molti venditori di Bibbie, che da una parola francese erano detti ‘colportori’ distribuirono le Bibbie Diodati rivedute, anche nei più sperduti villaggi. (Croce ricordava il passaggio dei colportori nella sua Pescasseroli). Esistevano scuole e chiese evangeliche che distribuivano le Bibbie ed infine emigrati italiani in paesi protestanti che al loro ritorno portavano la Bibbia e la leggevano ai loro cari.
Avvenne così una seconda alfabetizzazione biblica dopo quella del tardo Medioevo. Nel 1904 erano state vendute dalla Società Biblica Britannica e Forestiera in Italia 513.095 Bibbie intere, 1.243.962 Nuovi Testamenti e Salmi, 3.422.196 porzioni bibliche.
Tutto ciò era avvenuto nonostante la proibizione cattolica e, soprattutto l’altissima percentuale di analfabeti nell’Italia di quegli anni. Non mancarono preti ed anche vescovi come Pietro Maffi che silenziosamente approvarono quest’opera. Durante la Prima guerra mondiale una nuova revisione del Nuovo Testamento, fatta dal pastore Giovanni Luzzi, fu distribuita nelle trincee. Durante il periodo fascista, la Società Biblica continuò la sua opera in condizioni di minore libertà e si rallegrò che, dopo il 1928, si sviluppasse una fioritura di testi biblici nel mondo cattolico dovuti alla Pia Società di S. Gerolamo.
L’ora nuova per la diffusione della Bibbia suonò con il pontificato di Giovanni XXIII. Già nel 1958, poco dopo la sua elezione a papa, Giovanni XXIII fece stampare 1.000.000 di Bibbie in italiano con l’imprimatur ed al prezzo di £ 1.000.
Il concilio Vaticano II incoraggiò la collaborazione con le Società Bibliche mentre si moltiplicavano le traduzioni cattoliche. Inoltre si iniziava, tra protestanti e Cattolici, una traduzione della Bibbia in lingua corrente di cui uscì il Nuovo Testamento nel 1976 e la Bibbia completa nel 1985. Si ebbero molti incontri e studi biblici interconfessionali e laici e nel 1983 nacque la Società Biblica in Italia che si affiancò all’azione dell’SBBF e dell’Associazione Biblica Italiana Cattolica. Importanti sono l’azione del SAE e quella laica di Biblia. Dal 1976 al 2003 la sola SBBF ha venduto 1.113.775 Bibbie, 1.649.517 Nuovi Testamenti, 5.028.759 porzioni della Bibbia.
Di fronte a questi dati dovremmo dirci soddisfatti e pensare che ormai l’alfabetizzazione biblica è, in Italia, opera compiuta. Ad ottobre, durante il Sinodo dei Vescovi, verrà effettuata una lettura non stop di tutta la Bibbia, (trasmessa anche dalla televisione via satellite) cui parteciperanno centinaia di lettori appartenenti a diverse confessioni e che useranno alcune tra le principali traduzioni bibliche.
La mia sensazione, invece, è che l’amore per la Bibbia che si sentiva negli anni postconciliari sia passato. La Bibbia ora è presente in quasi tutte le case, ma è veramente letta? La cultura italiana laica l’ha accettata e a darne una precisa indicazione penso che basti l’edizione Mondadori della Bibbia del Diodati in 3 volumi.[2] Nella scuola, però, la Bibbia non è ancora entrata ufficialmente nonostante gli sforzi di Biblia. Vorrei che l’accanimento che si mostra per il mantenimento del Crocefisso, si trasformasse in interesse perché la Bibbia possa avere un suo posto nella formazione della cultura degli studenti italiani
La vera alfabetizzazione biblica avverrà quando affronteremo laicamente e scientificamente i nodi culturali che la Bibbia ancora mantiene per noi, quando la leggeremo in dialogo con i testi delle altre religioni universali, quando saremo in grado di farne il collante del nostro modo di pensare, come fece, in altri tempi, e con ben altri risultati, l’Alighieri.

Domenico Maselli

[1] Vedi: Vangelo di Sancto Johanni, antica versione italiana del secolo XIII a cura di MARIO CIGNONI ed. SBBF Roma 2005

[2] La Sacra Bibbia tradotta in lingua italiana e commentata da Giovanni Diodati a cura di M. Ranchetti e di M. Ventura Avanzinelli, Voll. 1,2,3 Milano – Mondatori - 1999


martedì 26 agosto 2008

Le eresie secondo Buñuel





Il grande regista spagnolo Luis Buñuel, noto anticlericale, era tuttavia un profondo conoscitore del cattolicesimo e della dottrina cristiana, compresa la storia delle eresie. Nel film «La via lattea» (1968), che utilizza come trama narrativa il pellegrinaggio di due barboni verso Santiago de Compostella, l’autore tratteggia una vera e propria storia delle eresie e dei dogmi a cui esse hanno fatto riferimento nel corso dei secoli.

Alberto Corsani

Il cammino di Compostella è oggetto di uno dei più complessi, originali e celebrati film di Luis Buñuel, La via lattea (1969), realizzato in Francia come tutti gli ultimi del regista. «Via lattea», spiega una voce fuori campo commentando nella prima sequenza l’itinerario visualizzato su una carta geografica, significa via della stella, cioè latinamente Campus stellae, da cui il nome della località dove un astro avrebbe indicato a dei pastori il luogo in cui si trovava il corpo di San Giacomo. Si era nel VII secolo.
Due vagabondi, nel film, si recano in pellegrinaggio da Parigi a San Giacomo de Compostella: lungo il percorso, secondo la tipologia classica del romanzo picaresco spagnolo (come il celebre Lazarillo de Tormes) incontrano una serie di personaggi (alcuni verosimili e reali, altri immaginati, altri ancora appartenenti alla Storia) che hanno tutti, in un modo o nell’altro, a che fare con l’eresia. Nella ricostruzione che dell’opera fa Maurice Drouzy, gesuita e storico del cinema (Luis Buñuel, architecte du rêve, 1978), autore anche di una bella monografica sul regista protestante Carl Th. Dreyer la casistica degli «incontri» e delle disquisizioni in materia di eresia coinvolgono: Priscilliano (primo eretico messo a morte nel 385) e la sua comunità; il marchese De Sade e Teresa, sua prigioniera; un gruppo di monaci inquisitori; un gruppo di suore convulsioniste; un gesuita e un giansenista che si affrontano a colpi di spada e di affermazioni teologiche; due studenti spagnoli; un vescovo spagnolo con i suoi fedeli. Ma anche altri personaggi, non legati alla storia passata ma contemporanei ai protagonisti, si fanno portavoce di dibattiti dottrinali: in particolare un parroco che discute della transustanziazione con un brigadiere in una locanda (e viene poi caricato sull’ambulanza da due infermieri di una casa di cura per malati di mente); il maître di un albergo che, sovrintendendo alla preparazione di tavoli sdottoreggia con i camerieri a lui sottoposti della natura di Cristo e della Trinità (salvo dire, tra una lezione e l’altra: buttate via questa pera, non vedete che è marcia?); le piccole allieve di una scuola privata, l’«Institution Lamartine»), che ripetono, quale recita di fine anno, una serie di anatemi ai danni di chi sostenga delle «false dottrine»; una prostituta che accoglie i clienti alle porte di San Giacomo, più altri minori.
È stata giustamente celebrata la sequenza del duplice duello, intellettuale a colpi di ragionamento filosofico, e di fatto a colpi di spada, tra un giansenista e un gesuita (oggetto della disputa è la dottrina della Grazia). Al primo («È un errore semipelagiano sostenere che Gesù Cristo sia morto per tutti gli uomini indiscriminatamente! », il secondo replica «Voi fate offesa alla bontà divina! Cristo è morto per dare a tutti gli uomini l’aiuto sufficiente alla salvezza»). Il bello è che poi i due interrompono la tenzone e se ne vanno sottobraccio.
Ma va ricordato anche il giovane monaco turbato dai metodi impiegati dall’inquisizione con un eretico che respinge la dottrina del Purgatorio, la cresima e l’estrema unzione. Riceverà risposta dall’inquisitore: «Ma è la giustizia degli uomini che li punisce! È il braccio secolare! Gli eretici non sono condannati perché sono eretici, ma per le sedizioni e gli attentati che perpetrano a danno dell’ordine pubblico!». Conosciamo questa «chiarificazione». E l’elenco delle situazioni potrebbe continuare, ma l’intento è chiaro: con lo stile maturo e «piano», privo di ricercatezze formali, ma per questo più incisivo, che tratta allo stesso modo sogno e realtà (senza cioè segnalare con sfocature, musiche misticheggianti, effetti ottici o speciali che si passa a un altro piano del discorso), Buñuel svela gli intrecci tra dibattito teologico e potere, tra affermazione o negazione della dottrina e comportamento sociale.
Inoltre il film propone tre scene di tipo biblico che rappresentano, nella ricostruzione di Drouzy: Gesù incamminato alla volta di Cana con i discepoli («Chi sono mia madre e i miei fratelli? » – Matteo 12, 46-50; Marco 3, 31-35); le stesse nozze di Cana, là dove Gesù racconta la parabola del fattore infedele (Luca 16) e poi muta l’acqua in vino (Giovanni 2), ma senza che vediamo le conseguenze del miracolo; Gesù che richiama Pietro («Via da me, Satana» – 16, 24), guarisce i nati ciechi (Matteo 9, 27-30; Marco 8, 22-25) e afferma di essere venuto per portare non la pace ma la spada (Matteo 10, 34-36).
Molte sono state le interpretazioni di questo e degli altri film di Buñuel: la chiave della Via lattea sembra risiedere nel lavoro di analisi che il regista fa sui modi in cui si formano, si fortificano, si propagandano le convinzioni i «credo» le certezze. Al regista di Calanda tutto questo interessava, ovviamente, per mettere in discussione e anche alla berlina (le discussioni teologiche avvengono nei luoghi più improbabili) le certezze stesse: questo spiega la costruzione di tutto un film sulla traccia di una ricca, se pure forzatamente incompleta, serie di eresie. Drouzy insiste giustamente sul fatto che «i concetti di eresia e di ortodossia, la qualifica di benpensanti e mal-pensanti non sono nozioni assolute e immutabili, ma termini relativi» (op. cit., p. 159): si è sempre «eretici rispetto a qualcuno». Inoltre più volte nel film lo spartiacque corre fra conformisti e non-conformisti, fra «credenti come gregge e credenti marginali»; e allora, si spinge più in là il critico gesuita, con una lucidità che fa difetto a molti laici, «tutto il film è impostato sull’opposizione tra dogmatici e anti-dogmatici» (p. 161).
Per questo, probabilmente, Buñuel colloca le dissertazioni dottrinarie in contesti anomali e certo non accademici: la vera, la più profonda riflessione sulla materia del credere, dunque, anche agli occhi di un ateo impenitente, passa per la vita concreta e non per i banchi di un luogo consacrato; la fede innerva i comportamenti (giusti o sbagliati che siano) e non è materia di dialettica professorale – quando lo è, come nel caso del maître d’hôtel, la situazione si rivela subito come grottesca. Un insegnamento non da poco per tutti.

(tratto dal settimanale RIFORMA, anno XVI - numero 32 - 22 agosto 2008, p. 4).

Eresia o Ortodossia all'alba del Cristianesimo?


- Romolo Perrotta,
Hairéseis. Gruppi, movimenti e fazioni
del giudaismo antico e del cristianesimo (da Filone
Alessandrino a Egesippo)
,
(Scienze Religiose Nuova serie),
EDB Edizioni Dehoniane
Bologna, Fondazione Bruno Kessler
- Scienze Religiose, Bologna, 2008,
pp. 842;

all’alba del cristianesimo ci
fu prima l’«eresia» o l’«ortodossia»?
Nel 1934 Walter Bauer divise il
mondo della critica con l’ipotesi che
fu l’«ortodossia» ad essersi
sviluppata a partire dall’eresia, e non
viceversa come sosteneva la teoria
classica per cui l’ortodossia precede
l’eresia. Il dibattito si ampliò con approfondimenti (per una
sintesi magistrale al riguardo si veda: Simon e Benoît,
Giudaismo e cristianesimo, cap. VII: Ortodossia ed eresia
nel cristianesimo dei primi secoli
, Editori Laterza, 1991).
M. Goguel commentava riguardo al libro di W. Bauer:
portava nuove e feconde tesi da valutare con attenzione e
apriva nuovi orizzonti per lo studio della storia delle origini
cristiane. Al suo sorgere il cristianesimo non conosceva
una forma ‘ortodossa’ che fronteggiava le altre forme
‘eretiche’. In realtà vi erano diversi cristianesimi, anche
molto diversi tra loro. Basti pensare per restare nell’alveo
delle teologie del Nuovo Testamento: la teologia paolina,
la teologia lucana, la teologia giovannea, solo per citarne
alcune. La tesi di Bauer ha evidenziato nitidamente come
ortodossia/eresia siano due grandezze che procedono
parallelamente e, a volte, in interazione, ma si sono
palesate chiaramente e distintamente solo a partire dal II
secolo. L’intento del volume di Romolo Perrotta è il
seguente: analizzare come idee, usanze, dottrine,
concezioni sociali, religiose e politiche hanno dato vita, in
diverse circostanze, a movimenti, gruppi e fazioni interni
al giudaismo antico e al cristianesimo.
diversità e il confronto. Se pensassimo tutti allo stesso modo
(l’operazione è possibile paradossalmente su un piano più
culturale che naturale) non avremmo neppure attrazione
l’uno per l’altro. Non è un caso che la dialettica - e il metodo
maieutico/dialogico - si ponga alla base di ogni vero cammino
filosofico. Nell’impossibilità di un autentico e totale avere-a-che-
fare con la Verità, il confronto, lo scambio, il dialogo
rappresentano il dispiegarsi di un sentiero; laddove il
soliloquio e le risposte date a se stessi ne costituiscono lo
smarrimento. E non è un caso neppure che le democrazie
esprimano la forma più ardua e difficile di convivenza umana
socialmente organizzata e istituita. Ogni democrazia
presuppone, infatti, nella normalità delle cose il dissenso
dei suoi cittadini; e solo nell’operare hic et nunc la possibilità
del loro consenso». Perrotta (a p. 11) riporta questa citazione:
«Nella disputa fra l’apostolo Pietro e Simone mago,
raccontata nel Romanzo pseudoclementino, l’«eresiarca»
istiga Pietro al confronto con queste parole: «Se vi sarà pace
e concordia non si farà un passo in avanti nella direzione
della ricerca della verità, poiché la «battaglia è madre della
pace» (PsClem/Rec II,23.1.4)”; rettamente intesa questa
affermazione invita ad una lotta: quella per le idee che hanno
il diritto di dispiegarsi e di confrontarsi, in maniera anche
aspra ma nonviolenta, così avrebbe dovuto essere anche
all’interno del cristianesimo, così dovrebbe essere nel
presente e nel futuro;

www.dehoniane.it

(citazione dalla rubrica Librarsi, a cura di Maurizio Abbà, dalla Rivista: Tempi di Fraternità, n. 6, anno trentasettesimo, giugno-luglio 2008, p. 13).

fra Dolcino 2008

lunedì 25 agosto 2008

Culto a Piedicavallo



Il sermone di Lilia (grazie a Piera per le foto)

domenica 24 agosto 2008

ORA CHE SONO VIVA

Ora che sono viva
Preferisco che tu condivida con me qualche minuto
ora che sono viva,
che non una notte intera
quando sarò morta.

Preferisco che tu accarezzi soavemente
la mia mano ora che sono viva,
piuttosto che adagi il tuo corpo sul mio cadavere
quando sarò morta.

Preferisco che tu mi faccia una breve chiamata
ora che sono viva,
invece di intraprendere un lungo viaggio
quando sarò morta.

Preferisco che tu mi regali un fiore ora che sono viva,
che non una corona di fiori
quando sarò morta.

Preferisco che tu elevi a Dio una breve preghiera
ora che sono viva,
che non una messa cantata
quando sarò morta.

Preferisco che tu mi dedichi anche un solo
accordo di chitarra ora che sono viva,
che non una commovente serenata
quando sarò morta.

Preferisco che tu mi reciti una semplice preghiera
ora che sono viva,
che non belle parole sulla mia tomba
quando sarò morta.
Preferisco anche i più piccoli dettagli
ora che sono viva,
che non grandi manifestazioni di affetto
quando sarò morta.

(citazione da: Arnaldo Pangrazzi, Vivere il tramonto. Paure, bisogni e speranze dinanzi alla morte, (Il Sole a Mezzanotte), Edizioni Erickson, 2006, Loc. Spini 154, settore E - 38014 Gardolo – Trento, p. 101; www.erickson.it )

sabato 23 agosto 2008

AMARE, ADESSO!

Matteo 22,34-40
Il gran comandamento
34 I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; 35 e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» 37 Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". 38 Questo è il grande e il primo comandamento. 39 Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».


"Questo è il mio comandamento; che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi."
Giovanni 15,12

Lavorando nel negozio di fiori di mia zia Elena durante gli anni dell'adolescenza,
appresi molte lezioni cristiane. Una delle più profonde fu un suo sermone molto conciso:
"Dona i tuoi fiori ai vivi" Voleva dirmi di non attendere a mostrare il mio amore per gli altri
a dopo la loro morte. Continuò la sua spiegazione: "Ho speso buona parte della mia vita a predisporre di bei fiori per aiutare le persone a mostrare il loro amore a qualcuno che è morto. Immagina quanto quei fiori avrebbero significato mentre era ancora vivo. "Quando sono cresciuta, ho apprezzato il messaggio cristiano contenuto nelle parole di mia zia. Per amore, Gesù ha dato la sua vita per il nostro futuro dopo la morte; ma Gesù ha altresì dimostrato continuo amore alle persone mentre erano ancora sulla terra. Camminò e parlò con coloro che incontrava; guarì, pianse e gioì. Gesù offrì il dono dell'amore a tutti coloro che incontrava, ma, altresì, a tutta l'umanità mediante la sua morte e resurrezione.

                                         PREGHIAMO

Dio aiutaci ad amare gli altri ogni giorno come tu ami noi. Amen

      PENSIERO DEL GIORNO
Dona i tuoi fiori a chi vive

          Jill M. Clawson (Pennsylvania)

Preghiamo per: coloro la cui fede mi ha formato.




meditazione tratta da Il CENACOLO, pubblicazione bimestrale
meditazioni giornaliere per il culto individuale e familiare,
ANNO LVII – (Vol. 74 del “The Upper Room”) – N. 4,

luglio-agosto 2008, p. 56;

lettura Sabato 23 agosto 2008.
Editore mondiale: Stephen Bryant
Traduzione dall’inglese di Valdo Benecchi
Per informazioni sulla pubblicazione dell’edizione italiana: rivolgersi al pastore VALDO BENECCHI
e-mail: valdo.benecchi@fastwebnet.it

PIEDICAVALLO - CULTO DI DOMENICA 24 AGOSTO


CULTO DI ADORAZIONE E LODE


DOMENICA 24 AGOSTO 2008 -
15a DOPO PENTECOSTE


Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare nessuno dei suoi benefici
(
Salmo 103,2)




Predicazione:
Apocalisse 2,10b
Sii fedele fino alla morte
ed io ti darò la corona della vita


Predicazione a cura di
Lilia Cimma Zaldera

PREGHIERA:
Dio nostro, ti invochiamo, coscienti nella fede in Gesù Cristo, di non potere nulla e nulla dire al di fuori dell’invocazione: donaci anche oggi la tua Parola, donaci anche oggi il potere dell’ascolto. Fai ripetere nella lettura della tua Parola il miracolo della tua presenza del Tuo Spirito. Ci ricordiamo: la fede viene dalla predicazione e la predicazione avviene per mezzo della Parola di Cristo. Amen
Lilia Cimma Zaldera



La ricerca di Dio è ricerca della vita. La ricerca della vita è ricerca dell’amore. La ricerca dell’amore è ricerca di Cristo. Chi cerca Cristo trova in lui il suo Dio, la sua vita e il suo amore.
Hans-Joachim Eckstein

(citazione da: Un Giorno Una Parola. Letture bibliche quotidiane per il 2008, Claudiana Editrice, Torino, 2007, p. 205)

FIDUCIA E SPERANZA

Sinodo valdese
Maria Bonafede: "Vogliamo annunciare l’Evangelo che ci libera dalla paura"

intervista a cura di Paolo Naso

Roma (NEV), 13 agosto 2008 - A pochi giorni dal Sinodo delle chiese valdesi e metodiste (Torre Pellice, 24-29 agosto) – importante appuntamento della più antica chiesa protestante italiana che vanta uno storico radicamento nelle valli Pellice e Germanasca dell’area pinerolese – l’Agenzia stampa NEV ha intervistato la pastora Maria Bonafede, al terzo mandato di moderatora della Tavola valdese, organo esecutivo dell’Unione delle chiese valdesi e metodiste.

Moderatora Bonafede, quali saranno i temi all’attenzione del prossimo Sinodo?
In primo luogo il Sinodo discute della vita delle chiese e delle prospettive della testimonianza evangelica nel nostro Paese: questo è, per così dire, il suo compito proprio ed istituzionale. Prevedo una discussione interessante: noi valdesi e metodisti siamo una esigua minoranza. Molte chiese, soprattutto nel Mezzogiorno, avvertono una certa sofferenza dovuta all’isolamento, al peggioramento delle condizioni sociali, all’incertezza delle prospettive per tanti giovani. Tuttavia alcune nostre chiese registrano una crescente vitalità: soprattutto in alcune aree urbane e metropolitane: si avvicinano nuovi membri, nascono nuovi progetti di testimonianza e di presenza nella vita spirituale, culturale e sociale delle città. In genere noi valdesi guardiamo le cose con pessimismo e tendiamo a guardare al bicchiere mezzo vuoto: io credo che dobbiamo riconoscere anche i segnali incoraggianti e ringraziare il Signore per i doni che offre alle nostre comunità. 

Nel prossimo Sinodo prevarranno i temi interni alla vita delle chiese valdesi e metodiste?
Tutt’altro. Storicamente la testimonianza delle nostre chiese si è sempre intrecciata al confronto su temi di ordine generale, sul contesto sociale e culturale nel quale cerchiamo di rendere conto della nostra fede in Cristo. E per questo discuteremo, ad esempio, del Mezzogiorno: ci hanno sollecitato a farlo proprio le nostre chiese del Sud, colpite da un disagio che non è solo economico e materiale. La tristissima vicenda della spazzatura nel napoletano quasi simbolicamente ci ha indicato la portata dei problemi politici, sociali e culturali di vaste aree del nostro paese. E non sono problemi del Sud: sono problemi del paese dei quali tutti – istituzioni, società civile, comunità di fede, Nord e Sud – siamo chiamati a farci carico con rigore e con senso di responsabilità. 
Un altro tema di discussione già programmato è quello della cultura, o meglio del contributo culturale che il protestantesimo può offrire al Paese. Qualcuno può ritenere che per una piccola minoranza possa essere una pretesa velleitaria: non la pensiamo così. In tanti momenti decisivi della vita civile del Paese, le minoranze valdesi, metodiste e protestanti in generale hanno saputo dire parole importanti sui temi della democrazia, della laicità, del pluralismo, dei diritti. E intendiamo farlo anche quest’anno ricordando, ad esempio, i sessant’anni di quella Costituzione democratica che ha finalmente riconosciuto fondamentali diritti di libertà religiosa e di culto. 
È proprio in questa prospettiva che da anni le nostre chiese sono molto attive nella difesa dei diritti dei lavoratori migranti e delle politiche di accoglienza degli stranieri: prevedo quindi che il Sinodo vorrà esprimersi sui nuovi provvedimenti politici in materia, quelli già in essere e quelli soltanto annunciati. Lo dico esplicitamente: siamo preoccupati per quel clima di paura, di sospetto e di chiusura che si sta determinando proprio nei confronti degli immigrati. L’Evangelo che vogliamo annunciare ci libera da questi sentimenti e ci spinge verso un sistema di relazioni basato su altre logiche, quelle dell’incontro, dello scambio, dell’amore. Ecco, nelle città vittime della paura dobbiamo annunciare la speranza e la fiducia che ci vengono dall’amore di Cristo. 

Nel corso degli ultimi anni lei è intervenuta ripetutamente sui temi della laicità. Perché questa insistenza?
Perché viviamo in un Paese il cui Parlamento – a prescindere dalla maggioranza che lo governa – non riesce ad approvare una norma sul cosiddetto testamento biologico; o a varare una legge che riconosca le coppie di fatto. Persino la legge sulla libertà religiosa, in sospeso ormai da oltre dieci anni, è finita nelle sabbie di una cultura politica diffusa e trasversale ai vari schieramenti che ignora fondamentali principi di laicità e di pluralismo. Questo ci preoccupa vivamente perché una laicità debole produce una democrazia debole, poco o nulla pluralista e comunque subalterna a logiche confessionali estranee alla Costituzione italiana.

La Chiesa valdese attende la ratifica parlamentare di una modifica dell’Intesa.
Sì, ed è abbastanza anomalo che, nonostante due presidenti del Consiglio abbiano firmato la revisione, diversi Parlamenti non siano riusciti ad approvare la norma in via definitiva. Ma la nostra particolare questione è solo un tassello di un problema più ampio che riguarda molte altre confessioni, alcune delle quali ancora senza alcuna Intesa. In questo senso auspichiamo che questo Governo e questo Parlamento intendano assumere seriamente la questione. Quanto a noi faremo certamente la nostra parte, non solo per i valdesi e i metodisti italiani, ma per tutte le minoranze religiose presenti in Italia e, vorrei dire, anche per i tanti cattolici che hanno a cuore valori di laicità e di pluralismo. 

Qualche giornale ha scritto che quest’anno la Chiesa valdese "ha fatto il pieno" dell’otto per mille.
Vorrei sapere che cosa dice della Chiesa cattolica, allora… Comunque è vero: quest’anno – e ci si riferisce alle dichiarazione dei redditi di tre anni fa – abbiamo registrato un significativo aumento di contribuenti che hanno destinato a noi il loro otto per mille. Crediamo sia un riconoscimento alla nostra gestione dei fondi: trasparente, laica e pluralista: rendicontiamo pubblicamente i fondi ricevuti; non destiniamo neanche un euro a finalità di culto; sosteniamo molti progetti gestiti da enti ed associazioni non valdesi ed esterne al mondo protestante, sia in Italia che all’estero. 

Un anno ecumenicamente piatto?
Direi ecumenicamente difficile. Da un lato siamo ben consapevoli della difficoltà delle nostre relazioni con i vertici della Chiesa cattolica, ma dall’altro sappiamo bene che in tante realtà locali vi sono rapporti ecumenici solidi e profondi. D’altra parte anche a livello nazionale vi sono esperienze importanti alle quali continueremo a dare con convinzione il nostro sostegno: penso al Segretariato per le attività ecumeniche iniziato, in tempi assai più difficili di quelli di oggi, da una vera e propria pioniera come Maria Vingiani. Esperienze e testimonianze come queste mi spingono a dire che, nonostante le difficoltà, il movimento ecumenico ha un futuro anche in Italia. 

Con questo Sinodo lei arriva a tre anni di servizio come moderatora, per altro la prima donna a salire a questo incarico. Che bilancio fa di questo periodo?
Sono stati tre anni ricchi, faticosi ma carichi di doni. In questi anni ho viaggiato molto in Europa, negli Stati Uniti, in America latina, in Africa e sempre ho riscontrato una grande attenzione e una grande fraternità nei confronti della nostra Chiesa. Nell’ecumene vi è insomma coscienza che valdesi e metodisti in Italia, con le loro comunità, le loro opere sociali, i loro centri culturali rendono un servizio all’Evangelo. È un riconoscimento importante che ci mette addosso una grande responsabilità. 
Lo stesso arricchimento spirituale e di fraternità ho riscontrato visitando le nostre chiese in Italia, quelle più solide e quelle che avvertono maggiore difficoltà, quelle più grandi e quelle più piccole. Ed ogni volta ho toccato con mano l’opera del Signore che, nonostante le nostre incertezze e le nostre debolezze, costruisce e benedice la sua Chiesa. 

RICOMINCIAMO DA TRE

SINODO 2008
In vista dell'incontro pubblico con il Corpo pastorale nell'aula sinodale

TRE DONNE TEOLOGHE ALL'«ESAME DI FEDE»

Itinerari ed età diverse che confluiscono, al termine degli studi alla Facoltà valdese di teologia, nella richiesta di essere consacrate al lavoro pastorale nelle chiese valdesi e metodiste
Tre donne. Con tre storie diverse, età diverse, ma accomunate dalla stessa passione per la causa di Dio nella nostra società. Diamo loro la parola così come sarà loro data, sabato 23 agosto, per il cosiddetto «esame di fede» nell'austera Aula sinodale di Torre Pellice. Superato quest'ultimo esame, di fronte al Corpo pastorale riunito in seduta plenaria, le tre candidate verranno consacrate al ministero pastorale nel corso del culto d'apertura del Sinodo domenica 24 agosto. Riportiamo, dal settimanale Riforma, qualche rapida pennellata della loro autobiografia: anche in vista dell'incontro pubblico che si terrà a Torre Pellice alla vigilia del Sinodo, è un modo di far conoscere ai membri delle nostre chiese i loro tre diversi itinerari, che confluiscono nella stessa richiesta di poter fare parte della compagnia dei pastori e delle pastore valdesi e metodiste e quindi dedicare tutta la loro esistenza al lavoro della testimonianza.
E' un segno di speranza, un segnale forte e positivo per la comunione delle nostre piccole comunità sparse nella penisola. Nuove persone si preparano con cura nel corso degli anni, attraverso studi universitari ed esperienze specifiche legate al lavoro pastorale, anche in sedi internazionali, per portare avanti con competenza e disponibilità i compiti, la missione delle nostre chiese oggi in Italia.

GIUSEPPINA BAGNATO:
MOSTRARE A TUTTI CHE IL VANGELO E' PAROLA VIVA E OPERANTE
Non ho mai considerato la fede come un qualcosa di scontato. Sono cresciuta in una comunità del Sud i cui membri davano molta importanza alla predicazione di Dio nelle proprie vite: una predicazione che lasciasse segni tangibili fra la gente in azioni e accoglienza. Ricordo il periodo dell'adolescenza come quello più difficile e ricco. Le contestazioni, la voglia di sapere, il non sentirsi mai abbastanza considerati e il voler capire perché nel fare il bene ci si debba riallacciare alla fede in un Dio anziché parlare semplicemente di un agire civile.
Oggi guardo ai ragazzi e alle ragazze di questa generazione che non è più la mia e io, che sto lavorando in due chiese prive della loro presenza, sento che stiamo venendo meno a un'importante missione. Manca il contatto diretto con il loro mondo complesso e affascinante e penso a me, a quando avevo la loro età, a come sarei cambiata se il pastore e il centro giovanile che allora frequentavo non mi avessero dato la possibilità di esternare il mio malessere e i miei dubbi con sincerità: erano gli unici spa­zi in cui ragazzi e ragazze credenti come si può esserlo a quell'età - in ricerca onesta - e non credenti, potevano sentire che Dio se c'era, non li avrebbe giudicati perché diversi dai propri padri.
L'anno scorso ho partecipato a un seminario a Josefstal in Baviera. Il tema, basato sul Salmo 78 («Quel che abbiamo udito, e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del SIGNORE, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operato») ci interrogava su Come passeremo la fede alle nuove generazioni. Mi sembra che oggi le famiglie non sappiano più raccontarsi e che Dio sia relegato alla sfera del «sacro e dalla catechesi» di cui «ovviamente» per molti il pastore dovrebbe farsi mediatore e portatore. Se la mia esperienza fosse stata questa, non sarei qui oggi.
Al contrario, è stata la scoperta della testimonianza che ognuno poteva condividere con me ad avermi formata. Oggi ho più coscienza della mia fede: momenti grandi e difficili con questo Dio che mi sconfigge sempre all'alba presso Peniel. Ascolto le persone: tanti credono di sapere che cosa sia la Chiesa e come dovrebbe funzionare. Altri questa Chiesa così com'è proprio non la capiscono: non vedono continuità con il Vangelo e vivono lontano dai luoghi «ufficiali» cercando comunione con la gente più disparata. Rifletto. E se le pareti scomparissero? Se ci si guardasse attorno e si capisse che la gente è la tua Chiesa?
In questi mesi ho lavorato fra dibattito e mediazione nel tentativo di riavvicinare le persone a quella missione all'interno della quale il «semplice credente» non è diverso dal pastore. Non ho mai pensato che ciò che noi diciamo nei luoghi di culto non possa essere condiviso e annunciato fuori, al contrario: mi sembra il senso di ciò che dovremmo fare. Ma fa paura oggi parlare di fede: sembra che per farlo debba esistere una terminologia teologica ufficiale. Io non credo che ci sia.


GOYLIN GALAPON:
LA TESTIMONIANZA UNITA ALL'AIUTO PER CHI SOFFRE
Mi chiamo Joylin Buiosan Galapon e sono nata a Gerona, Tarlac City, Filippine, il 14 febbraio 1967. Sono cresciuta in una famiglia numerosa. I miei genitori sono stati gli educatori che per primi mi hanno trasmesso i valori umani e religiosi, e anche un modello di vita semplice ma ricco di rapporti di comunità perché lavoravano insieme ad altri la terra. Vedevo continuamente il ciclo dei lavori e dei prodotti da loro coltivati e questo garantiva la concretezza della vita. Mia mamma per molti anni ha dato la sua disponibilità e generosità come cassiera nella chiesa metodista. È stata per me un esempio di amore e sacrificio per gli altri e ricordarla mi è ora di aiuto per continuare i suoi insegnamenti.
Ho lasciato le Filippine a ventuno anni, ero già laureata in biologia. La decisione di partire per l'Italia è stata alquanto sofferta ma il desiderio di realizzare un futuro migliore mi ha dato la forza di farlo. Arrivata in Italia, per alcuni anni ho svolto il ruolo di domestica in diverse famiglie. Ho affrontato un periodo lungo di duro lavoro e ho avuto esperienze positive e negative che sono state di formazione per la mia crescita personale. Tutto questo è servito per conoscermi e posso essere grata a tutto questo vissuto che mi ha dato la possibilità di scoprire la fede. Da Dio attendo ogni bene e siccome Egli è il mio rifugio, io per lui lavoro e con lui voglio essere la compagna che divide tutte le gioie e dolori della vita.
Da due anni sto facendo pratica nelle chiese metodista di Cremona e valdese di Mantova: affidandomi all'aiuto di Dio cerco di svolgere al meglio questo incarico. Mi impegno molto nello studio dei testi biblici da predicare e cerco di guidare i fratelli nel miglior modo possibile alla comprensione della Parola. Parola che deve diventare per tutti noi l'alimento quotidiano. Mi sforzo di parlare con chiarezza per essere sempre un sostegno per il prossimo. Ascoltare i problemi degli altri mi riporta alla mente le difficoltà e le sofferenze della mia vita trascorsa e a chi ha bisogno dico così: come lui ha consolato me, consola anche voi.
Ho particolarmente a cuore quelli che vivono una condizione di disagio sociale perché mi ricordo i momenti di emarginazione subiti in quanto straniera. Per il mio carattere gioioso e aperto, ho facilità all'ascolto dei loro problemi e si confidano volentieri per essere capiti e confortati. In questo periodo di lavoro ho imparato a rispettare e conoscere ogni singolo fratello nella sua unicità e ognuno di loro ha bisogno di interventi e grazie alla guida dello Spirito Santo siamo insieme per amare e pregare Dio.
Ho nostalgia della mia terra che ho lasciato nelle Filippine, ma sono contenta di abitare nella sede che mi è stata assegnata perché mi offre la possibilità di stare in mezzo al verde. Ho un fazzoletto di terra che cerco di curare al meglio con fiori e erbe aromatiche, questi ricordano i profumi della mia infanzia.
Colgo l'occasione di ringraziare chi mi è stato di aiuto; grazie alla comunità metodista di Milano, ai pastori defunti Giovanni Carrari e Paul Perry, al pastore John Bremner che è tornato in Inghilterra e a tutti quelli che mi hanno sempre incoraggiata e sostenuta in questi anni. Un particolare pensiero di gratitudine ai miei professori della Facoltà valdese di Teologia, che mi hanno dato gli strumenti per capire e interpretare le Sacre Scritture.
Voglio in futuro mantenere un impegno costante per poter collaborare sempre di più per la crescita delle nostre comunità sperando che Colui che mi ha chiamato mi mantenga la fede così io possa lodarlo e ringraziarlo per sempre.


CATERINA GRIFFANTE:
COSTRUIRE INSIEME LA CHIESA DELL'AMORE
Nata a Schio (Vicenza) nel 1957, vivo a Venezia. Dopo la maturità classica ho conseguito la laurea in Lettere e la specializzazione in Biblioteconomia. Sono stata per ventidue anni bibliotecaria all'Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Attualmente lavoro in qualità di consulente bibliografica ed esperta catalogatrice in una Cooperativa veneziana.
Credo di avere sempre avvertito, insieme a un forte interesse per la Scrittura, il desiderio di mettere in qualche modo la mia vita al servizio di Dio; al tempo stesso, non mi sentivo appagata dalle vie che mi offriva in questo senso la Chiesa in cui mi sono trovata a nascere, quella cattolica. L'incontro quasi casuale, a Venezia, con la Chiesa valdese, seguito dall'iscrizione al Corso di Formazione teologica a distanza e dalla confermazione nella Pentecoste del 2003, ha fatto riemergere l'antica vocazione, che alla fine mi ha orientata verso il ministero pastorale.
Ho seguito il cammino straordinario per il pastorato, svolgendo nel 2005 servizio pastorale temporaneo a Pordenone. Nel 2006 ho conseguito la laurea in Teologia con una tesi in Ecumenica dal titolo Il pensiero ecumenico di Paolo Ricca, relatore il prof. Fulvio Ferrario; ancora nel 2006 sono divenuta candidata al ministero pastorale, svolgendo il mio anno di prova nelle chiese di Padova e di Vicenza; infine, nel settembre 2007, ho seguito a Pomaretto il corso di Clinical Pastoral Education. A Pomaretto, al capezzale dei pazienti, di fronte alla loro paura e alla loro angoscia, ho toccato con mano la dimensione fondamentale dell'incarnazione del Cristo: Cristo ci aiuta, capisce il nostro dolore, lo può fare suo perché l'ha incontrato e l'ha vissuto come noi.
Questi anni di preghiera, di studio e di lavoro così intensi e faticosi mi hanno confermata nella mia decisione di servire l'Evangelo nel ministero pastorale. Con l'aiuto del Signore intendo porre il massimo impegno nell'annunciare l'Evangelo con la parola e con la vita. Mi propongo di abbinare una predicazione della Parola condotta con rigore e con passione a una costante sollecitudine per tutti e per ciascun membro di chiesa, riconoscendo e promuovendo i talenti di ciascuno, cercando di destare o ridestare in ciascuno speranza e fiducia. Per il mio vissuto, e in risposta a quelle che io ritengo siano le necessità nel mondo d'oggi, mi sento portata a dedicare, nell'ambito del mio pastorato, particolare attenzione proprio alla cura d'anime. Tanto all'interno della nostra Chiesa quanto nella Chiesa universale, nei rapporti con i cristiani di altra confessione - che mi stanno particolarmente a cuore - vorrei contribuire a far crescere quella che Paolo Ricca chiama la Chiesa dell'amore. A luglio di quest'anno compirò cinquantun anni. Il Signore ha voluto che questi fossero i tempi del disegno che Egli ha stabilito per me. Nella certezza della sua perpetua fedeltà, conto, sulla scorta di Paolo (II Cor. 12, 1-10), di poter scoprire la forza che Dio manifesta in me proprio attraverso la mia debolezza. Analizzando, con obiettività, le mie forze fisiche e psicologiche, ho scelto di optare per il pastorato locale.

tratto dal settimanale: RIFORMA, Anno XVI - numero 31 - 1° agosto 2008, p. 3.

venerdì 22 agosto 2008

Domande sulla Fede e Domande della Fede


Piergiorgio Cattani,
Dio sulle labbra dell’uomo
Paolo De Benedetti e la domanda incessante

(collana “IMPRONTE”), prefazione di Massimo Giuliani, Casa Editrice Il Margine, Trento, 2006, pp. 208;




dalla Prefazione di Massimo Giuliani, p.11:

I discepoli e gli amici di ogni vero maestro non sono mai gelosi, come avviene in certe conventicole, del suo insegnamento, non lo tramandano nel gergo degli iniziati, non lo difendono dagli intrusi, non lo usano per escludere i non-iniziati. Al contrario si rallegrano che la bellezza e la profondità di tale insegnamento siano assaporate dal maggior numero di persone.
Questo volume dimostra e parla questo linguaggio aperto e paga un debito di sapienza e di intelligenza che si estingue solo con ulteriore studio e con l’umile consapevolezza che nella catena della trasmissione dei doni spirituali ogni maestro è un discepolo e ogni discepolo è, a sua volta, un maestro. E anche questo, in molti, lo abbiamo imparato ascoltando Paolo De Benedetti.
Massimo Giuliani

dalla quarta di copertina:

La Bibbia viene spesso letta più per provare, per dimostrare qualcosa che per interrogarla sul nostro presente e ascoltarne il giudizio. L’ebraismo, invece, afferma che la continua interrogazione è l’atteggiamento più giusto dell’uomo nei confronti di Dio e della sua Parola, perché solo attraverso la domanda incessante noi possiamo intravedere il volto di Dio. La domanda è più importante della risposta. Paolo De Benedetti, profondo studioso e raffinato interprete della Bibbia, ha contribuito con i suoi libri, le sue lezioni, le sue conferenze – e la sua impareggiabile ironia – a suscitare l’interesse di un vasto pubblico verso l’approccio ebraico alla Parola. E questo in un momento in cui anche le Chiese cristiane, purificandosi dopo la Shoà dal secolare e tragico antigiudaismo, riscoprono le loro radici nella fede di Israele. Piergiorgio Cattani analizza in questo libro, con il rigore dello studioso e l’affetto del discepolo, ma anche con la chiarezza del divulgatore, l’opera di De Benedetti soffermandosi sui grandi temi che la caratterizzano; il primato dell’ascolto, l’interpretazione inesauribile della Scrittura; il mistero del male e della sofferenza dell’innocente, inaccettabile dopo Auschwitz; l’idea di un Dio che cammina, ama, soffre, discute, perfino cambia con il suo popolo; il rapporto tra Chiesa e Sinagoga. L’ultimo capitolo è dedicato alla riflessione, singolare e provocatoria, sugli animali. Chiude il volume un dialogo con De Benedetti che racconta la sua vita.



Il primo libro, credo, che in Italia abbia saputo ricostruire in modo sistematico e accattivante l’avventura spirituale di questo maestro che ho accostato, per profondità di riflessione e recupero delle fonti biblico-rabbiniche, ai nomi di Emmanuel Levinas, Hans Jonas e Sergio Quinzio.

Massimo Giuliani


Piergiorgio Cattani (Trento, 1976)
è laureato in lettere moderne (tesi su Emmanuel Levinas) e filosofia (tesi su Paolo De Benedetti). Studioso di tematiche filosofiche, religiose e politiche, è editorialista del quotidiano «Trentino» e colloboratore delle riviste «Questotrentino» e «Il Margine».
Ha pubblicato Ho un sogno popolare (Ancora 2001).


www.il-margine.it
editrice@il-margine.it
www.piergiorgiocattani.it

IL SENSO DELLA PREGHIERA

La preghiera è il vostro volante, oppure la vostra
 ruota di scorta?


                                   Corrie Ten Boom

citazione da: Un Giorno Una Parola 2008. Letture bibliche quotidiane per il 2008; riflessione proposta per venerdì 22 agosto 2008, Claudiana editrice, Torino, 2007, p. 203.

BUON COMPLEANNO CEC !


Ecumenismo mondiale


Il Consiglio ecumenico delle chiese compie 60 anni
Ad Amsterdam le celebrazioni alla presenza della regina Beatrice dei Paesi Bassi

Venerdì 22 agosto compie 60 anni il più grande organismo ecumenico del mondo: Il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che oggi rappresenta circa 560 milioni di cristiani, celebra la ricorrenza ad Amsterdam (Paesi Bassi), dove fu fondato il 22 agosto del 1948.
All'epoca fortemente voluto soprattutto da esponenti del protestantesimo mondiale, ma anche delle chiese ortodosse, il CEC - che ha la sua sede a Ginevra - negli anni ha visto crescere la sua influenza a livello internazionale.

Oggi il CEC, con le sue 349 chiese membro in più di 110 paesi del mondo, comprende numerose chiese protestanti storiche (anglicane, battiste, luterane, metodiste, riformate), la maggior parte delle chiese ortodosse, e diverse chiese indipendenti ed è considerato lo strumento principale per la ricerca dell'unità dei cristiani. Per statuto infatti, lo scopo primario del CEC è "chiamarsi gli uni gli altri all’unità visibile in un’unica fede e in un’unica comunione eucaristica".

"Le sfide a cui oggi andiamo incontro nelle ricerca dell'unità sembrerebbero maggiori di 60 anni fa - ha affermato il segretario generale del CEC, il pastore metodista Samuel Kobia -. Tuttavia guardiamo con speranza e fiducia ai prossimi 60 anni seguendo lo spirito dei nostri predecessori ecumenici che resero possibile 'Amsterdam 1948'".

La celebrazione ecumenica per i 60 anni ha luogo nella Nieuwe Kerk di Amsterdam, alla presenza della regina Beatrice dei Paesi Bassi. Presenti per l'evento numerosi leader religiosi provenienti da tutto il mondo. Un'ampia copertura mediatica dell'evento è garantita dai media olandesi e dalla BBC.

In Italia la chiesa valdese e quella metodista sono membri fondatori del CEC; l'Unione cristiana evangelica battista vi ha aderito nel 1977.

Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 21 agosto 2008
riportato dal sito: www.chiesavaldese.org, in data 22 agosto 2008.

Piedicavallo virtuale

Piedicavallo a 360° gradi (cerca il Tempio)
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I Valdesi nel Rio de la Plata


giovedì 21 agosto 2008

Culti a Chivasso

Per una Chiesa Riformata



Giovanni Calvino scrive l’lnstitutio Christianae Religionis in cui presenta in forma puntuale i principi della fede evangelica,
(tratto da una stampa ottocentesca) 
www.riforma.it



Essere calvinisti in Italia



1509-2009: l’anniversario del Riformatore francese è una preziosissima occasione culturale per far conoscere la teologia e le idee che hanno trasformato la società


Giuseppe Platone

NEL novembre 1967, quand’ero fresco d’iscrizione alla Facoltà valdese di Teologia, il professor Valdo Vinay, alla prima lezione di storia, mi chiese di riassumergli (in cinque pagine dattiloscritte) una biografia in francese su Giovanni Calvino. «Comincia da qui – disse – perché Calvino è la chiave giusta per cogliere il senso profondo del protestantesimo». Quell’imperativo – a distanza di quarant’anni – mi è rimasto dentro, quasi a dire: «siamo dei protestanti calvinisti, questa la nostra identità spirituale e culturale». Ma lo siamo veramente? Tra qualche mese avremo occasione di ritornare su questo interrogativo.
Il 500° anniversario della nascita del Riformatore di Ginevra, che ricorderemo nel corso del 2009, dovrà saldare un duplice debito d’ignoranza nei confronti di Calvino: uno interno alle nostre chiese e l’altro esterno. E su questo punto occorre dire un primo grazie alla Claudiana che ha già messo, da tempo, in cantiere la pubblicazione di alcune opere scelte di Calvino. Abbiamo, per nostra fortuna, a suo tempo curata da Giorgio Tourn, la traduzione in italiano dell’Istituzione della religione cristiana in cui Calvino espone in forma chiara e profonda le sue idee guida. Le stesse che ebbero un influenza notevole nel cristianesimo e nel mondo. In Italia Calvino non è conosciuto. Compresso nell’interpretazione weberiana o liquidato come un dittatore religioso che condannò il povero Serveto a morte, è di fatto nel nostro paese o caricaturizzato o ignorato. Essere calvinisti, nell’immaginario collettivo, rinvia a uno stile di vita arcigno, fatto di rigore, puntualità, accanimento sul lavoro, disciplina. Un cliché. Si presenta dunque per noi, cogliendo il prossimo 500° della nascita di Calvino un’ineludibile sfida culturale: riappropriarci di Calvino e farlo conoscere. Non un operazione museale, piuttosto riformulare la teologia di Calvino per il nostro tempo. E sopratutto discuterlo.
Uno dei tratti più coinvolgenti del pensiero calvinista è proprio la continua discussione intorno ad una chiesa che è sempre da riformare. Con Calvino non ci troviamo immersi in una dogmatica statica, fissista. L’unico assoluto, sacro, è Dio. L’unico padrone della chiesa è Cristo, tutto il resto è discutibile, riformabile sulla base dell’ispirazione che deriva dalla Scrittura. A volte gli anniversari sono utili per riscoprire, ricomprendere, rilanciare anche in chiave critica, il pensiero di un autore. Si vedano a quest’ultimo proposito, le manifestazioni organizzate nei mesi scorsi sulla figura del pastore battista afroamericano Martin Luther King, nel 40° del suo assassinio. Gli appuntamenti, anche internazionali, costruiti dall’Unione delle chiese battiste italiane, e i dibattiti, le conferenze, i concerti, i culti organizzati in tutt’Italia sono state occasioni preziose per far conoscere il pensiero e l’azione di Martin Luther King. Non quindi il culto del personaggio ma i contenuti che esprime. E debbo dire che non si è trattato solo di mera ripetizione di cose risapute.
A questo proposito penso alle pagine di Paolo Naso (Come una città sulla collina, Claudiana 2008) che ci ha fatto incontrare un King figlio, in qualche modo, della tradizione puritana e del movimento per i diritti civili negli Usa. Su King c’è stato uno sforzo corale d’indagine e un approfondimento che ci ha aiutato a vedere il personaggio senza intenti apologetici ma cogliendolo nella sua umanità e contraddittorietà. Su Calvino e sul calvinismo c’è molto da dire, non pretendo certo di riassumerlo in poche righe. Spero comunque, a proposito del grande riformatore, che ci sia da parte nostra un approccio teologico. Perché Calvino è stato soprattutto un teologo, certo, e il calvinismo è stato un fiume in piena che ha cambiato l’Europa; ha cambiato culture, economie, politiche ha influenzato la scienza. Non è un caso che il moderno rispetto per l’ambiente nasca in Paesi a tradizione riformata.
Ma della straordinaria potenza trasformatrice del pensiero di Calvino penso che, come chiese, dovremmo sottolineare il tema della vocazione personale. Dio ha per ciascuno di noi un disegno, un progetto. Si tratta di scoprirlo e viverlo con autenticità. È la nostra vita, nei suoi risvolti etici, che parla del nostro essere calvinisti. Sono le nostre chiese, nel loro radicarsi nella società italiana, nell’essere lievito di trasformazione, che dimostrano come il parlare di Dio cambi il mondo. Cittadini del regno di Dio, «amateurs de Jésus Christ», ma con i piedi piantati saldamente a terra, mossi da progetti di giustizia e di verità. Siamo gli eredi dell’assemblea di Chanforan, quando i valdesi, nel settembre del 1532, aderirono alla Riforma di stampo ginevrino. E il primo gesto di quell’adesione fu raccogliere una cospicua somma di denaro per finanziare la traduzione della Bibbia. E Calvino vedrà in quel gesto il più grande dono che una piccola diaspora cristiana dissenziente potesse fare alla causa di Dio.
Siamo ancora qui come artefici del «dresser l’église» valorizzando la Bibbia, lo Spirito, la democrazia, evitando di divinizzare le gerarchie e mettendo in gioco i doni di ciascuno nel governo della chiesa. Senza protagonismi debordanti. Lo stesso Calvino è sepolto in un luogo anonimo. Siamo insomma «servi inutili», e quando indugiamo nell’esaltazione dei personaggi, anche nel nostro piccolo mondo, è perché non abbiamo fiducia in Dio, ne abbiamo troppa in noi stessi. I deliri individualistici, nelle nostre piccole tribù, son difficili da sradicare. Dovremmo, calvinisticamente, avere l’umiltà di spostare l’ascolto da noi stessi a Dio, di spostare il centro da noi stessi agli altri e imparare a portare il nostro mattone al progetto comune di «risurrezione della chiesa». Dovremmo lavorare di più insieme e non sgomitando gli uni contro gli altri.
Io non credo che le idee, le intuizioni teologiche di Calvino siano una nostra esclusiva. Calvino appartiene ormai all’intera cristianità, alla società. Ci sono molti tratti della teologia di Calvino, 500 anni dopo gli eventi, che sono ormai condivisi da tutte le chiese. Si tratta quindi anche di ragionare in termini ecumenici nuovi, non di costruzione di un modello unico, ma di un contenitore che raccolga le diverse ecclesiologie, le diverse tradizioni teologiche nel legame profondo della comunione in Cristo. Non è vero che Calvino non tenesse all’unità della chiesa, che per lui cominciava da quella locale, specchio di quella universale. Se non funziona lì, non funziona neppure altrove. Partiamo da noi, cercando di vivere quello che predichiamo e che decidiamo nelle nostre assemblee ecclesiastiche. Evitiamo di separare ciò che diciamo da quello che facciamo. Calvino ci spinge all’unità, tra il dire e il fare, tra riflessione e azione, tra Parola e parole, tra Spirito e etica. Siamo figli di questa successiva fase della Riforma, quella di Calvino appunto, più giuridica, umanista, più ecclesiasticamente essenziale, cristocentrica senza orpelli. Spetta a noi raccontare oggi in Italia questa ricca realtà riformata, che si esprime anche attraverso la vita delle nostre piccole chiese. Se siamo calvinisti dimostriamolo.


citazione da:
- in internet: tratto da www.riforma.it in data 20 agosto 2008, ore 23;
- nella versione cartacea dell'importante settimanale delle Chiese Battiste, Metodiste, Valdesi:
Riforma L'Eco Delle Valli Valdesi, anno XVI - n. 32 - 22 agosto 2008, pp. 1 e 11.