2. Non farti scultura, né immagine alcuna... (Esodo 20,4-6)

Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Oggi ci soffermiamo sul secondo comandamento (che la tradizione cattolica considera parte del primo comandamento), in cui è comandato il divieto delle immagini.
Nel commentare questo testo vorrei partire dal fondo, cioè laddove Dio dice di essere un Dio che punisce l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Che Dio punisca l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e quarta generazione ci mette in difficoltà: ma come!
Non diciamo sempre che la fede ci porta a avere una responsabilità individuale e personale per ciò che facciamo? Che c'entrano i figli con le colpe dei padri?
 
Questa affermazione di Dio non va presa alla lettera come se fosse una formula matematica da applicare alla nostra vita; quello che bisogna notare qui è l'enorme squilibrio che c'è tra la punizione di Dio, che secondo il testo si ripercuote per tre o quattro generazioni, e la bontà di Dio, che si ripercuote per mille generazioni, cioè un numero enorme di generazioni.
Il numero mille vuole appunto sottolineare l'enormità della grazia di Dio, mentre le tre o quattro generazioni sono un tempo breve rispetto alla durata di mille generazioni.
Tre o quattro generazioni sono il tempo in cui si conserva la memoria dei fatti accaduti e quindi anche delle colpe commesse.
Tre o quattro generazioni possono convivere contemporaneamente e quindi ciò che fa una generazione ha inevitabilmente degli effetti su quelle immediatamente successive.
È poi difficile negare che i nostri errori hanno spesso – non sempre, ma spesso – ripercussioni sui nostri figli e nipoti, sia come singoli, sia come società.
Pensiamo alle conseguenze che la distruzione dell'ambiente provoca sulla generazione di quelli che ora sono bambini. Pensiamo a quali torrenti, a quali fiumi e quali mari lasciamo ai nostri figli, a quale aria lasciamo ai nostri figli. Questa frase coglie un aspetto dolorosamente reale della nostra esperienza.
Ma dal punto di vista di Dio vuole semplicemente evidenziare lo squilibrio che c’è tra la punizione di Dio e la misericordia di Dio.
 
Ma veniamo al comandamento in sé: Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire.
Questo comandamento si presta a due interpretazioni: vuole proibire di farsi immagini di Dio o vuole proibire di farsi immagini di altre cose che Israele potrebbe adorare al posto di Dio? È cioè una variante del primo comandamento, o dice qualcosa sul modo di adorare il Dio di Israele?
Io propenderei per la seconda ipotesi, per cui si tratta della proibizione di farsi immagini di Dio, del Dio di Israele: Israele non solo non deve avere altri dei, ma non deve farsi immagini del suo Dio. Nell'antichità adorare un Dio significava adorarlo attraverso la sua immagine scolpita, quello che la Bibbia chiama idolo.
I popoli vicini a Israele non conoscevano altro modo di prestare culto ai loro dei. La presenza dell’idolo era la presenza del Dio stesso. Per “avere” Dio lì presente, lo si raffigurava, lo si scolpiva.
Abbiamo un esempio evidente di questo nel libro dell’Esodo, nel famoso racconto del vitello d'oro: poiché Mosè tarda a scendere dal Sinai il popolo si costruisce un'immagine di Dio e l'adora. c’era bisogno di avere Dio lì, per adorarlo.
 
È senz'altro più facile – ieri come oggi - adorare un Dio attraverso un idolo, un qualcosa che si possa vedere e toccare. Ma il Dio di Israele e di Gesù Cristo non può essere ridotto a idolo: è il Dio della Parola, che parla e non si vede e non si tocca; è il Dio della libertà donata, cioè il Dio dell'azione, che agisce per liberare il suo popolo. È il Dio del patto, della Torah, a cui chiede l'adesione del suo popolo.
I profeti insistono sul fatto che l'idolo è muto, mentre Dio è vivente e parla: e questo cambia il modo stesso di adorare Dio: Dio non lo si adora prostrandosi davanti a una sua scultura, perché Dio non è lì.
Lo si adora ascoltando la sua Parola, perché Dio è lì, nella sua Parola. Dio parla e il popolo ascolta, e dopo aver ascoltato loda Dio e poi mette in pratica ciò che ha ascoltato: così si adora il Dio di Israele. nell’ascolto e nell’obbedienza.

Il Dio che libera dalla schiavitù e che parla al suo popolo liberato non può essere ridotto a oggetto, a idolo. Dio può essere raffigurato, perché il rischio è che quella raffigurazione finisca per imprigionare Dio e alla lunga sostituire Dio.
Pietrificare Dio in un idolo – qui non si parla di pittura ma solo di scultura – significa anche pietrificare la propria fede.
Potremmo dire: se adori un Dio di pietra, anche la tua fede diventa di pietra, cioè cambia natura, perché cerca la dimostrazione, mentre la fede è per sua natura fiducia, e non dimostrazione.
La fede nasce dall'ascolto – dice l'apostolo Paolo – e se abbiamo bisogno di ascoltare è perché ancora non sappiamo tutto, abbiamo ancora sempre da imparare, perché non possiamo fare a meno di tradurre e attualizzare la parola di Dio in realtà vissuta, e questo ogni giorno.
La fede è soprattutto speranza, attesa di ciò che non è ancora, e di conseguenza impegno per ciò che non è ancora.

L'idolo – nella visione della Bibbia – è invece ciò che non cambia mai, che è lì, è così e sarà sempre così. Non c'è nulla di nuovo nell'idolo, c'è invece sempre qualcosa di nuovo in Dio, o meglio: da ricevere da Dio.
L'idolo è l'immutabile, Dio è immutabile nella sua fedeltà, ma ci mostra la sua fedeltà in modi sempre nuovi.
L'idolo è ciò che imprigiona e pietrifica Dio e quindi imprigiona e pietrifica noi e la nostra fede, perché ci impedisce di cogliere ciò che di nuovo Dio ci dona.
E non è detto che l'idolo debba essere un oggetto; può benissimo essere un idea, un pensiero, una dottrina. Tutto ciò che imprigiona Dio e imprigiona la fede diventa un idolo e finisce per sostituire Dio.
E questo è un terreno molto delicato, perché in fondo di Dio non possiamo che parlare attraverso immagini, non possiamo descriverlo o definirlo. Vi sono immagini più dottrinali, altre più esistenziali, vi sono quelle bibliche e quelle moderne.
Non possiamo che parlare di Dio per immagini, ma guai a identificarlo con l’immagine che usiamo per parlarne.
Dio non si esaurisce nell’immagine che usiamo per parlarne. Lo chiamiamo Padre, perché ci è indicato nella Bibbia. Ma se da questa immagine, da questo linguaggio nasce una chiesa fondata sui padri umani, cioè sacerdotale o patriarcale e paternalista, siamo fuori strada.

C’è il rischio di imprigionare Dio nelle immagini che usiamo, come c’è il rischio di imprigionarlo in una istituzione, in un rito, in un dogma.

Questo comandamento ci vuole salvare dall’errore di imprigionare Dio. Fermare Dio in un immagine, materiale o mentale che essa sia, significa imprigionare Dio e se stessi in qualcosa di statico, di fermo, mentre Dio è libero e dinamico e vuole che la nostra fede sia libera e dinamica.
Paolo Ricca ha detto che nella Bibbia l’unica immagine di Dio che c’è è .. l’essere umano, perché nel libro della genesi c’è scritto che Dio creo l’uomo e la donna a sua immagine!
Non imprigioniamo Dio in una immagine, ma restiamo in attesa e in ascolto della sua parola, lasciamolo libero di sorprenderci con la sua chiamata e di stupirci con la speranza che ci offre.
Restiamo aperti a ciò che ancora non sappiamo di lui e di noi, restiamo aperti alla novità di Dio e del suo regno. 


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