mercoledì 7 gennaio 2015

Predicazione di domenica 4 gennaio 2015 su Luca 2,41-52, a cura di Massimiliano Zegna

I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;  e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena».  Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?»  Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini

Soltanto l'Evangelo di Luca ci descrive questo episodio della fanciullezza di Gesù. Ed è molto significativo e apparentemente molto semplice da leggere e lineare nel suo racconto. Pare un episodio della vita di tutti i giorni di molti di noi, anche nella nostra epoca. Mancavano solo i telefonini cellulari che, forse in breve tempo avrebbero risolto l'attesa dei genitori ma, come si sa, i cellulari non sempre hanno campo per essere in comunicazione tra loro!
Questa volta, contrariamente al mio stile che non vuole mai essere troppo analitico dei brani dell'Evangelo, preferisco rileggere frase per frase questo episodio della “sacra Bibbia” nel testo della “Nuova riveduta” della società biblica di Ginevra.
Il brano è intitolato “Gesù dodicenne al tempio”.
E inizia così: “I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”.
Quindi nel racconto di Luca, al secondo capitolo dell'Evangelo, che si apre con la nascita di Gesù a Betlemme, dopo pochi minuti di lettura, passano velocemente gli anni e si giunge fino alla Pasqua di alcuni anni dopo, non senza sottolineare che i genitori di Gesù erano molto devoti e si recavano ogni anno a celebrare la festa di Pasqua. 
Sembra quasi un film biografico in cui il regista, per esigenze di contenere in un paio d'ore la visione per il pubblico, descrive la fanciullezza di un uomo in poche scene.
“Quando giunse all'età di dodici anni – prosegue il brano - salirono a Gerusalemme secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo”.
Come dicevo prima, i genitori di Gesù erano ebrei osservanti e come tali ogni anno si recano con una comitiva di persone formata da parenti e conoscenti a Gerusalemme  per festeggiare la Pasqua e per la prima volta portano con sé Gesù ormai dodicenne. E' l'età che si avvicina al suo bar-mitzvah che significa figlio del comandamento e tale era considerato l'ebreo maschio che al tredicesimo compleanno diventa responsabile delle proprie azioni religiose e morali. Durante tale cerimonia il giovane è invitato a leggere un brano dei libri profetici di fronte all'assemblea.
Vi è quindi un'azione anticipatrice al momento di questo rito (che per i cristiani cattolici può ricordare la cresima mentre per noi cristiani valdesi protestanti fa pensare alla confermazione).
Ma qui succede il fatto imprevedibile che Gesù rimane a Gerusalemme all'insaputa dei genitori i quali, pensando fosse nella comitiva, camminarono per una giornata senza accorgersi che non era più presente.
Noi che leggiamo oggi questo episodio possiamo stupirci di come sia successa questa dimenticanza e, prima scherzando, dicevo che forse con i cellulari non sarebbe successo però dobbiamo considerare che a quell'epoca si facevano questi lunghi tratti a piedi (da Nazaret a Gerusalemme sono circa 150 chilometri) e i figli non rimanevano sempre, come si suol dire, attaccati alle gonne delle madri, ma potevano intrattenersi con familiari e conoscenti per socializzare ed avere dialoghi e discussioni con loro.
A questo punto che cosa era successo? “Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte”.

Per noi che già conosciamo la storia di Gesù il commento può essere chiaro. Gesù era sicuramente un “giovane speciale” e forse anticipando di un anno il momento del bar-mitzvah rimane nel tempio, ma non solo ascolta le parole dei  maestri ma si mette lui stesso a fare domande ai maestri provocando il loro stupore.
La nostra attenzione si ferma sul periodo in cui i genitori di Gesù impiegano a cercare il figlio: tre giorni! E sono gli stessi giorni in cui i discepoli impiegano a ritrovare il Risorto dopo la morte.
Vorrei a questo punto soffermarmi su quello che è il significato di questo brano al di là di quella che può essere una semplice lettura, parola per parola, frase per frase.
L'insegnamento è quello che certamente Gesù era un bimbo speciale e poteva insegnare ai maestri, ma tutti i bimbi possono essere speciali e possono abbattere o modificare le nostre certezze. Daremmo noi ascolto ad un adolescente quando cerca di spiegarci qualcosa che dopo letture o riflessioni intende trasmetterci? Molto spesso no perché pensiamo che con la nostra età, con le nostre esperienze possiamo essere noi più sapienti di lui e sicuramente possiamo primeggiare.
Invece dovremmo essere capaci ad essere più umili e obiettivi e comprendere che vi sono situazioni che non sempre la nostra età o la nostra conoscenza possono farci ritenere più bravi rispetto a chi ha molti anni meno di noi.
Nella chiesa cattolica questo bravo dell'Evangelo di Luca veniva letto durante quella che viene definita la festa della sacra famiglia o della santa famiglia. Il modello che si indicava era quello di Maria, Giuseppe e il bambino Gesù. Già papa Francesco ha voluto dare indicazioni un po' diverse dal passato di una chiesa cattolica che giudicava le famiglie di fatto, le famiglie divorziate o non sposate o senza figli troppo lontane dal modello della sacra famiglia.
Oggi le sensibilità stanno cambiando e una famiglia può essere composta da due o da dieci persone, da persone con storie diverse, con orientamenti sessuali diversi e quelle che erano certezze del passato si stanno mostrando fortunatamente non così granitiche e così univoche. Anche gli stessi animali possono ormai fare parte di una famiglia. E lo stesso brano di Gesù dodicenne dimostra che possono esserci modi diversi di leggere una stessa situazione.
Gli stessi genitori di Gesù perdono di vista il loro bambino ormai adolescente perché inconsapevolmente si rendono conto che Egli sta lasciando i panni del bimbo e quindi quella che è definita la comitiva diventa un punto di riferimento per chi è adulto. La comitiva intesa come una comunità di persone che si dirigono verso mete comuni: 
un pellegrinaggio, un evento culturale, sportivo, ricreativo.
Sarà comunque Gesù stesso a spiegare il perché si è trattenuto a Gerusalemme nel tempio.
“Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena”. Ed egli disse loro: “Perchè mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio? Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro”.
La risposta di Gesù può sembrare sgarbata nei confronti della madre ma segna un passaggio importante di chi sta per diventare adulto.
Certo nel caso di Gesù il ragionamento può essere di stupore in quanto padre e madre conoscono l'origine di Gesù stesso, ma come dicevo prima può essere adattato a tutti gli adolescenti.
L'adolescente desidera che i genitori si accorgano di quando non si è più bambini. Il taglio del cordone ombelicale spesso però avviene tardi ed è un fenomeno che specialmente in Italia e nei paesi latini succede spesso.
Occorre invece che vi sia più consapevolezza di quando bisogna passare da genitore a persona con pari dignità fra generazioni e soprattutto comprendere quando su certe questioni sarà il figlio o la figlia ad insegnare ai genitori come nel caso dell'utilizzo di nuove tecnologie. E questo vale in ogni caso nel rapporto tra donne e uomini di generazioni diverse, quindi non necessariamente fra madri, padri e figli.
Questa considerazione è importante e vale non solo tra le generazioni, ma anche nel rapporto tra popolazioni diverse.
Ogni Natale così come ogni Pasqua può essere l'occasione della rinascita ed anche per quanto riguarda le comunità e le stesse chiese devono sempre rinascere e quindi riformarsi.
Fa piacere che la locuzione latina “Ecclesia semper reformanda est” (considerata una delle affermazioni fondamentali della Riforma protestante) sia stata utilizzata dallo stesso papa Francesco in una recente omelia.
Questa espressione fu usata per la prima volta dal teologo calvinista olandese Jodocus van Lodenstein nel 1642 nell'ambito della chiesa riformata olandese.
Secondo questo teologo la Riforma aveva riformato la dottrina della chiesa, ma la vita e la pratica del popolo di Dio ha sempre bisogno di un’ulteriore riforma. 
Noi tutti, quindi, dobbiamo rinnovarci e riformarci perché ogni giorno accadono fatti nuovi che cambiano la nostra vita e spesso non ci accorgiamo.
Leggendo i giornali locali di ieri, ad esempio, mi ha colpito il fatto che l'ultima nata del 2014 all'ospedale di Biella si chiama Noemi mentre le prime due nate del 2015 si chiamano Assil e Jasmine.
Come potete capire le prime due nate del 2015 hanno padri marocchini e mentre anche Assil (la prima nata del 2015) ha madre marocchina; Jasmine (il cui nome significa Gelsomino) ha madre italiana.
Qualcuno potrebbe trovare preoccupante questo fatto; io, invece, ritengo bene augurale che la prime due nate di Biella siano due femmine e siano il frutto di unioni di persone provenienti da terre lontane e ormai a noi vicine.
Conosco molte persone provenienti dal Marocco o dalla Tunisia e devo dire la verità che sono persone cordiali e squisite e spero veramente che sia l'occasione di incontro fra nazionalità diverse con in comune un cammino di pace.
Sempre parlando di Rinascita, un altro pensiero che mi sono annotato in questi giorni è il messaggio che ho trovato su Facebook di una mia amica virtuale, Pia Zirpolo, ammalata di fibromialgia, una malattia invalidante non riconosciuta tale in Italia. Dopo una intervista al Tg3 le ha telefontato lo stesso papa Francesco. Ecco il messaggio di Pia che desidero leggervi e condividere con voi.

Cari amici,
quando si avvicina la fine dell’anno è umano per tutti fare un bilancio su quello che si va a concludere e porsi dei buoni propositi per il nuovo che sta per arrivare. Il mio 2014 è stato un anno difficile, sfide difficili, che ho affrontato con grande grinta e determinazione. Con la voglia di trasmettere un messaggio positivo per gli altri senza considerare quanto questo viaggio avrebbe arricchito così tanto me.
In questo viaggio ho incontrato tantissima gente che mi ha regalato amicizia, affetto, sorrisi...  L’augurio che faccio a tutti per l’anno nuovo è di non mollare, di continuare a crederci, sognare e lavorare duramente per raggiungere qualsiasi obiettivo. Guardare al presente come un grande dono. Ricordarsi di ringraziare sempre e di dire “ti voglio bene”. Qualcuno un giorno disse che “l’amore è l’unica cosa al mondo che non si può comprare perché ti viene donato”. Ecco il perché dobbiamo ricordarci tutti di non dare mai nulla per scontato. Questo il mio augurio per voi, che il nuovo anno vi porti tanto amore, perché questo è il vero motore del mondo. Buon 2015 a tutti di vero cuore”.

Ritornando al brano dell'Evangelo di Luca giungo alla frase finale: “Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini”.
In quest'ultima frase Gesù diciamo che ritorna un po' bambino e “stava loro sottomesso”. Qui forse l'insegnamento è che, anche chi è consapevole di essere più preparato di un altro deve anche sapere essere umile e quindi, quando è necessario, anche sottomettersi.
A questo proposito  mi ha colpito la predicazione di Luca Zacchi nella chiesa valdese di Forano in provincia di Rieti: 

Luca ci dice anzitutto che non capirono. Ossia non riuscirono fino in fondo a capire il motivo del comportamento di quel figlio, solitamente probabilmente molto obbediente, come continuerà ad esserlo fino all’inizio pubblico del suo ministero (stava loro sottomesso).
E’ interessante anzitutto vedere cosa la loro reazione non è; non è una reazione irata; non dicono al figlio, tu sei piccolo e non capisci di che parli, devi solo obbedire e stare sottomesso. Non è una reazione superba, non lo azzittiscono con la loro sapienza di persone adulte.
E’ una reazione di persone che amano il loro figlio: Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena e che, per questo, solo per questo, perché lo amano, vogliono capire il suo comportamento.
Giuseppe e Maria sono genitori che amano il loro figlio Gesù; gli dicono che non si è comportato bene, non fanno mistero del loro essersi angosciati, impauriti per la sua scomparsa, e stanno a sentire le sue ragioni.
Facciamo un confronto con le nostre famiglie di oggi; anzitutto quanti parlano con i loro figli? Quanti sono capaci di un dialogo che non sia un urlare sterile, un imporre le proprie convinzioni? In un senso o nell’altro, badate bene. Oggi può capitare che siano i figli a voler imporre la propria sapienza, il proprio stile di vita ai genitori cresciuti secondo altri valori.
Quanti sono capaci di essere in accordo tra loro come appaiono dal Vangelo Maria e Giuseppe; tutti e due lo cercano, tutti e due sono angosciati, ma solo Maria parla, come spesso solo le madri parlano con i figli potremmo pensare noi, ma attenzione, parla ad una sola voce con il marito (tuo padre e io angosciati, stando in pena entrambi, ti cercavamo). 
Quanti infine sono in grado di dare peso alle parole dei propri figli anche piccoli? Di riconoscere che il Signore a volte parla anche attraverso le loro voci? 
Giuseppe e Maria lo sono. 
Ed il Vangelo che abbiamo letto prosegue con un versetto che ci dà la chiave di lettura complessiva del brano. 
Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva…
L’atteggiamento di Maria, come ce lo descrive Luca, è, dovrebbe essere, l’atteggiamento del cristiano, di ogni età, di qualunque tipo di umana sapienza sia portatore. Ascoltare la Parola, la Parola fatta carne, e serbarla nel cuore. Serbarla non è semplicemente metterla da una parte, riporla in un armadio come si fa con i regali che si sono ricevuti ma che non hanno trovato il nostro gradimento, o che non sappiamo come usare…
Serbarla è conservarla nel punto più profondo del proprio cuore e del proprio cervello, farne un tesoro da cui attingere come fa lo scriba nel Vangelo, cose antiche e cose nuove, per avere intelligenza del proprio passato e guardare con sapienza al proprio futuro.
Questo il passo di Luca Zacchi. 

Credo sia veramente così, care sorelle, cari fratelli: quando una parola ha ancora qualcosa da dirci significa che questa parola è ancora viva.  Domenica scorsa, ad esempio, mi è stato di incoraggiamento il sermone che il nostro pastore Marco Gisola ha fatto domenica  scorsa su Giacomo cap. 4  vv. 14-15 Che cos'è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. 15 Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest'altro». 
Gisola ha infatti detto che l’affermazione “Se saremo in vita” può anche avere un significato positivo: può anche essere presa non come una minaccia, ma come un’opportunità: se noi, che siamo un vapore che dura un istante, siamo qui a vivere questo istante, non è grazie alla nostra forza, ma grazie a Dio che ci ha dato la vita, e non solo la vita, ma anche molti altri doni per vivere questa vita al suo servizio.
E quindi questo istante che abbiamo da vivere – che poi non è affatto un istante, ma per molti di noi sono molti decenni – il tempo che ci è dato, è un'opportunità, un'occasione, è il tempo della nostra vocazione. Ogni giorno che ci è dato, ogni settimana, ogni mese, sono tutte opportunità di rispondere alla vocazione che Dio ci rivolge.
Non è tanto la durata della nostra vita che è nelle mani di Dio, ma il senso della nostra vita che è nelle mani di Dio. Se saremo in vita - potremmo parafrasare dicendo: se saremo in grado e ne avremo la possibilità - faremo questo e quest’altro.
Sapendo che la vita e le possibilità che essa offre sono un dono di Dio, un opportunità che egli ci offre di rispondere alla sua chiamata. 

Concludo questa mia predicazione augurando a tutti voi e in particolare a tutti coloro che sono ricoverati in ospedale, come l'amico che porta il mio stesso nome Massimiliano, o che stanno soffrendo per malattia, solitudine, per la perdita di una persona cara, per problemi di non lavoro, di affrontare il 2015 come opportunità di rinascita.
Amen

giovedì 1 gennaio 2015

Predicazione di domenica 28 dicembre 2014 su Giacomo 4,13-15, a cura di Marco Gisola

13 E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; 14 mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos'è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. 15 Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest'altro».

La fine di un anno e l’inizio di un nuovo anno sono spesso occasioni per fare dei bilanci o per fare dei progetti che riguardano l’anno che sta iniziando. Il brano di oggi è un testo di giudizio sull'orgoglio umano di coloro che si credono forti dimenticando che la propria vita è “un vapore che appare per un istante e poi svanisce”.
Questa parola è rivolta innanzitutto ad affaristi senza scrupoli che progettano di andare in un certo luogo dove stare un anno per trafficare e guadagnare. Una parola molto attuale, se pensiamo ai fatti di cronaca finanziaria e giudiziaria del nostro paese di questi ultimi anni! Quanti affaristi senza scrupoli che fanno progetti pensando esclusivamente ai loro – a volte loschi – affari, e non si curano minimamente non dico di Dio, ma almeno del prossimo.
Il brano condanna innanzitutto i loschi progetti degli esseri umani. Chi fa troppo affidamento sulla propria forza, sulla propria astuzia e sulla propria furbizia – sembra dirci il testo – dimentica la propria fragilità e la propria precarietà. Dimentica – o fa finta di non sapere – di essere un vapore che appare un istante e poi svanisce.
Ma più in generale, il testo prende di mira chi fa qualunque tipo di progetto dimenticandosi non solo della propria fragilità, ma di Dio stesso. Il brano non dice che non bisogna fare progetti, ma che bisogna farli tenendo presente Dio, anzi a partire da Dio: “se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo e quest’altro”, scrive Giacomo.
A prima vista il significato può sembrare un po’ tetro e anche un po’ terribile: “se saremo in vita…”. Vuol forse dire che dovremmo pensare continuamente alla nostra morte e sentirci continuamente minacciati?
Non credo che Giacomo voglia portare i lettori della sua lettera a vivere nella paura della morte. Credo che voglia semplicemente esortare chi legge le sue parole a non sentirsi onnipotente e indistruttibile.
Ma forse l’affermazione “Se saremo in vita” può anche avere un significato positivo: può anche essere presa non come una minaccia, ma come un’opportunità: se noi, che siamo un vapore che dura un istante, siamo qui a vivere questo istante, non è grazie alla nostra forza, ma grazie a Dio che ci ha dato la vita, e non solo la vita, ma anche molti altri doni per vivere questa vita al suo servizio.
E quindi questo istante che abbiamo da vivere – che poi non è affatto un istante, ma per molti di noi sono molti decenni – il tempo che ci è dato, è un'opportunità, un'occasione, è il tempo della nostra vocazione. Ogni giorno che ci è dato, ogni settimana, ogni mese, sono tutte opportunità di rispondere alla vocazione che Dio ci rivolge.
Non è tanto la durata della nostra vita che è nelle mani di Dio, ma il senso della nostra vita che è nelle mani di Dio. Se saremo in vita - potremmo parafrasare dicendo: se saremo in grado e ne avremo la possibilità - faremo questo e quest’altro.
Sapendo che la vita e le possibilità che essa offre sono un dono di Dio, un opportunità che egli ci offre di rispondere alla sua chiamata.
“Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo e quest'altro”. Spesso diciamo o sentiamo pronunciare la frase: “se Dio vuole”, e spesso il significato che si dà a questa affermazione è un po’ fatalistico, a volte anche scaramantico. A volte dire ‘se Dio vuole’ ha lo stesso significato di dire ‘se va tutto bene’, se non capitano disgrazie, se la fortuna ci assiste.
A volte Dio sembra identificarsi semplicemente con ciò che non possiamo prevedere, con l’imprevisto, con il caso, con ciò che sfugge al nostro controllo, quando non con la fortuna.
Ma la frase ‘se Dio vuole’ può avere un significato completamente diverso. Perché non possiamo dire ‘se Dio vuole’ senza chiederci che cosa davvero Dio vuole. Non possiamo, come dicevamo prima, fare i nostri progetti senza tenere conto di Dio e di che cosa egli veramente vuole da noi.
Non possiamo fare i nostri progetti senza tenere conto di Dio e di che cosa egli vuole, e poi semplicemente aggiungere alla fine la frase ‘se Dio vuole’. Dio vuole stare all’inizio dei nostri progetti, non alla fine.
I nostri propositi non dovrebbero concludersi con la frase ‘se Dio vuole’, ma aprirsi con la domanda: “che cosa vuole Dio oggi da me?"; “che cosa vuole Dio  da me in questo prossimo anno, in questo prossimo mese, settimana, giorno?” così dovrebbero iniziare i nostri progetti.
Porsi questa domanda significa andare oltre la quotidianità, significa porsi la domanda del senso della propria vita e cercarlo non in noi stessi, come facevano gli affaristi senza scrupoli a cui si rivolge Giacomo, ma cercarlo nella volontà di Dio.
Chiedersi che cosa Dio vuole da noi, ci costringe ad andare oltre la nostra quotidianità.
Se ci confrontiamo con la Parola di Dio, con ciò che Dio ha fatto con il suo popolo e che cosa ha fatto in Gesù Cristo, non ci si potrà accontentare di fare i propri grandi o piccoli progetti.
Non potremo non confrontarci con i progetti di Dio, con ciò che Dio vuole per l’umanità che ha creata, con i progetti che hanno i nomi grandi di pace, di giustizia, di riconciliazione, progetti grandi che Dio vuole che noi facciamo nostri e concretizziamo nelle nostre piccole azioni quotidiane.
Ecco: fare diventare i nostri progetti i progetti di Dio: così possiamo attualizzare il “se Dio vuole” del nostro testo. Che così da un ammonimento agli affaristi senza scrupoli di ieri e di oggi a non sentirsi padroni del mondo e della propria vita, diventa un’esortazione a tutti noi a progettare la nostra vita e il nostro tempo partendo da ciò che Dio vuole.
Se noi vogliamo, cerchiamo, perseguiamo, ciò che Dio vuole, allora ciò che faremo avrà un senso, anche quelle volte che non avrà successo.  Perché il senso di ciò che facciamo non starà nella sua riuscita, ma nel fatto che ciò che facciamo è la volontà di Dio, anche quando falliamo.
Lasciamo che i progetti di Dio plasmino la nostra vita e le diano un senso, e iniziamo questo anno dicendo: “se Dio vuole, saremo in vita, cioè se saremo in grado e ne avremo la possibilità, faremo questo e quest’altro, perché proprio questo è ciò che Dio vuole, questo è il suo progetto che io faccio diventare anche il mio progetto, perché Dio vuole realizzare i suoi progetti anche attraverso di me.

Predicazione di Domenica 21 Dicembre (quarta di Avvento) su Luca 1,26-38, a cura di Ludovica Pepe Diaz

26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. 28 L'angelo, entrato da lei, disse: «Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te». 29 Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. 32 Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. 33 Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine». 34 Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?» 35 L'angelo le rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. 36 Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile; 37 poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace». 38 Maria disse: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola». E l'angelo la lasciò.

Maria : una donna. .

E' certo che la festa del Natale che seguirà, a breve, questo tempo dell'Avvento, nella nostra società è oggi vissuta in modo molto pagano, superficiale e consumistico, così tanto che anche un cristiano che voglia attenersi, sopratutto,  all'evento spirituale fa non poca fatica in mezzo al frastuono del mondo. Ecco che ci viene in soccorso il tempo dell' Avvento che, per fortuna, non è stato ancora inflazionato da troppi gadgets, che ci invita a fermarci un momento ed a riflettere al grande, gratuito e misterioso dono Divino di quella lontana nascita così particolare e sconvolgente  per il mondo nelle sue conseguenze. E chi ha vissuto questa attesa con maggiore intensità e seppur più a lungo, non solo spiritualmente, ma nel suo stesso corpo,  se non Miriam di Nazareth ?

Noi protestanti sorvoliamo spesso su questa figura, forse per reazione alla visione teologicamente scorretta e inflazionata di una Miriam-Maria-Madonna, dai mille miracoli e dalle tante apparizioni, raffigurata in statue di diverso colore, rivestite di gioielli, mediatrice, corredentrice, venerata come una dea madre, detentrice di ben tre dogmi, così come la presenta alla devozione dei fedeli la Sacra Romana Chiesa. In effetti, quando un cattolico ci approccia, la prima cosa che dice è: “Voi siete quelli che non credono alla Madonna” E sì, è vero, a quella quarta divinità noi non crediamo, ma non per questo non amiamo Miriam , la dolce Madre di Gesù.

Povera Miriam, che cosa ti hanno combinato! Tu, così umile e schiva, pur nella consapevolezza dell'onore e della responsabilità che Dio  ti dava e ti chiedeva, tu che durante la vita di quel particolare figlio sei rimasta  in ombra pur se  col cuore presente, tu straziata a morte sotto la   croce, vero simbolo del più immenso umano dolore.

Oggi, Miriam, vorrei renderti onore  per la tua vera, magnifica immagine  di adolescente palestinese che attende un figlio, quel figlio, con un'ansia e un tremore che vanno molto al di là di quelli soliti di una madre in attesa.

Quest'anno vorrei provare a condividere con Miriam quell'attesa. Ogni donna che ha avuto in sé il miracoloso dono della vita  sa quanto  il tempo vissuto “con il pancione” sia un tempo particolare e prezioso,  sapendo che col proprio sangue e le proprie ossa  ci si sta formando in seno  quella che sarà una nuova persona. Quanta cura, quanta ansia  perché  quel piccolo essere in nuce nasca sano, quanta dolcezza segreta nei dialoghi con lui  quando s'instaura un primo rapporto d'amore, quanta tenerezza se con una carezza  il piccolo tallone che improvvisamente scalcia, ritorna calmo al suo posto!

Ecco, tutte queste cose le avrà provate anche Miriam per il suo Gesù che portava in sé, ma forse avrà avuto anche momenti di puro panico pensando al dopo: come si fa, come ci si comporta come  mamma di un figlio che è Dio? Come farà a restare serena avendo l'intuizione che le verrà un giorno strappato con una morte crudele?

Pensiamo a questa vergine quindici-sedicenne, allontanata dal Tempio  perché ormai impura a causa  del suo essere diventata donna, e subito destinata ad un marito più anziano, mai prima conosciuto e che, sola, durante un fidanzamento  che ha virtù di patto vincolante, vive già un'attesa fatta di timore e forse anche di un po' di curiosità per la sua futura vita di sposa . Dopo tutti questi avvenimenti  avviene quello decisivo, inimmaginabile che non le cambia la vita, gliela stravolge!

Dio l'ha scelta perché è pia, è umile, è sana e bella? Non lo sappiamo, perché le scelte di Dio sono sempre al di fuori dei nostri canoni di comprensione, ma quello che è certo è che la risposta di Miriam  è esemplare. Lei non fugge lontano nell'ingenua illusione di sfuggire a Dio, come fecero Elia  e Giona, né discute con Dio come fece Mosè, lei non ride, incredula, alla promessa di Dio come fece Sara, lei all'Angelo chiede soltanto in che modo potrà accadere tutto ciò che le viene annunciato e, saputolo, si abbandona completamente e fiduciosamente alla volontà del suo Dio  ed a lui innalza un canto di ringraziamento e di lode. Su quelle esili spalle di fanciulla si è posata la salvezza del mondo e lei non trema, non ha neppure paura dell'accusa di adulterio che le potrà muovere il fidanzato che, se non sarà clemente, potrà esporla alla lapidazione.

Miriam non trema perché,  letteralmente ricolma di Spirito Santo, affida il suo futuro e la sua salvezza nelle mani del suo Signore. Se il Signore è con me di chi avrò paura? Il Signore  fornisce colui o colei che sceglie degli strumenti per far fronte  al compito per cui lo ha destinato.

Pensiamo che questo, anche oggi avviene  per ciascuno di noi, perché come il Signore conosce anche il numero dei capelli che ciascuno ha in capo, così pure sa per quale compito, (seppur a noi sfugge o ci sembra minimo o, al contrario, troppo grande) ci ha messi nel mondo, e così pure sa portarci in braccio nelle avversità  e non darci nulla di cui le nostre forze non possano farsi carico.  Certamente nessuno di noi riceverà l'irripetibile chiamata di Miriam, ma  riceverà ugualmente una chiamata. Certamente sarà meno eclatante della visione di un Angelo, ma sta a noi  tener aperte le orecchie  e gli occhi del cuore  per rendercene conto e poi rispondere, come Miriam, “Sia fatta la Tua volontà” e, soprattutto lodare , lodare sempre il Suo nome Santo, per ogni cosa  e perché Egli ci è Padre e Madre amorevole e misericordioso.

Nel tempo dell'attesa di Natale, ricordiamo l'attesa intrepida di Miriam, dando alla madre di Gesù, il giusto posto del nostro cuore. Ricordiamone le virtù di umiltà, di Fede incondizionata e di obbedienza, ma ricordiamone anche il coraggio e la fierezza, scevra da falso orgoglio, con cui accettò il suo compito, attese per nove mesi e lo portò a compimento.

Avrà tremato Maria,di una grande paura, ma quando avrà sentito  muoversi dentro di lei quella vita miracolosa avrà sorriso di quella gioia che misteriosamente illumina i volti delle donne che aspettano un bambino. Infatti è frequente sentir dire: “ Ha un viso così bello, così diverso! “ di una donna in attesa. E' la pienezza e la vittoria della vita che illumina le donne.

E Maria....che attesa quella di Maria! Come sarà quel figlio speciale? Sarà bellissimo, sì sarà bellissimo comunque  perchè è il suo, come quello di ciascuna madre. Sarà un bambino normale, con tutte le dita delle mani e dei piedi al posto giusto, di questo lei almeno può star certa. Invece, cosa  più sconvolgente, sarà il suo rapporto con lui: come ci si deve comportare con un figlio che è Dio? Questa è una domanda da togliere il sonno.

Quando l'attesa finirà, quando la giovane palestinese partorirà tutta sola in un luogo provvisorio, ( come una migrante senza fissa dimora ), e troverà i gesti giusti e antichi, come tutte le donne prima di lei, perchè nasca il bambino, l'attesa compiuta  toglierà ogni ansia e domanda perché quel bimbo, figlio di Dio, è veramente umano: emetterà un vagito e cercherà il seno della sua mamma.

Ecco, in questa semplicità con cui si è svolto l'evento più misterioso e grandioso del mondo, è    racchiusa tutta la grandezza infinita di Dio, venuto fra noi in modo normale, umile, direi silenzioso, perchè Egli si è posto alla nostra altezza per farsi accogliere con maggior naturalezza, senza incutere timore, e, nello stesso tempo, per condividere con noi ogni cosa, così com'è nella nostra vita reale: gioie, dolori, traumi, lacrime e sorrisi.

Da quel momento, da quella nascita a Betlemme, Dio ha voluto essere realmente con noi e, per questo, possiamo dare una risposta sicura a chi a volte ci interpella come credenti con domande, per esempio del tipo:” Ma il vostro Dio cosa faceva? Era distratto? Dov'era durante gli orrori dei lager?”
Possiamo rispondere: “Era nei lager, aveva fame, veniva battuto, umiliato, impiccato, gasato ogni giorno, con noi, le sue creature, perché la cattiveria  che fa l'uomo feroce non  è da Dio ma fa parte del libero arbitrio, così che Egli, che ha conosciuto ogni male nella sua carne, ha potuto condividerlo con le vittime fino in fondo.” Egli sa che le sue creature, ripiene della sua grazia, possono credere fermamente nella salvezza in un Dio che ha dato il suo Figlio per noi.

Tutto questo è accaduto e accade perché un bambino molto particolare è stato cullato dalle braccia di una giovane palestinese che, più di duemila anni fa, ha creduto ed obbedito al suo Dio.

Ci potrà essere una gioia più grande di questa nei nostri cuori quando, a Natale, sarà terminata l'attesa?