lunedì 28 marzo 2022

Predicazione di domenica 27 marzo 2022 su 2 Corinzi 1,3-11 a cura di Marco Gisola

2 Corinzi 1,3-11

3 Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4 il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; 5 perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6 Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. 7 La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione.

8 Fratelli, non vogliamo che ignoriate, riguardo all’afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati grandemente oppressi, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfino della vita. 9 Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio, che risuscita i morti. 10 Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte, e abbiamo la speranza che ci libererà ancora. 11 Cooperate anche voi con la preghiera, affinché per il favore divino che noi otterremo per mezzo della preghiera di molte persone siano rese grazie da molti per noi.



Consolati per consolare. Così potremmo sintetizzare in tre parole il nucleo delle parole di Paolo in questo inizio della sua seconda lettera ai Corinzi. Sono parole scritte da un apostolo a cui le afflizioni – per usare la parola che lui stesso usa – non sono state risparmiate, e indirizzate a una comunità che sta vivendo anch’essa delle afflizioni, cioè che – a quanto scrive Paolo - sta anch’essa soffrendo.

A Paolo non sono state risparmiate le afflizioni. Lo sappiamo da ciò che scrive lui, lo sappiamo da ciò che ci raccontano gli Atti degli apostoli. In queste poche righe Paolo dice che è stato così tanto oppresso “tanto da farci disperare perfino della vita”. “Anzi – continua - avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte”.

Insomma Paolo aveva proprio pensato di essere arrivato alla fine della sua esistenza e della sua missione. Non sappiamo che cosa gli fosse successo, Paolo non ce lo dice; ci dice però che ha visto la morte da vicino e ne è scampato. Paolo è stato consolato.

Ma in ogni caso, anche se fosse giunta la sua ora, confidava “in Dio, che risuscita i morti”. Anche questa era la sua consolazione.

È questo Paolo, che ha avuto la vita salva per un soffio, che scrive alla chiesa di Corinto, che anch’essa soffre, non sappiamo esattamente per cosa, ma probabilmente a causa dall’ostilità che viene da fuori della comunità, dal mondo pagano in cui si trova la chiesa di Corinto.

Quando parla di sofferenze, Paolo quasi sempre intende le sofferenze che nascono dal fatto di essere cristiani, di essere discepoli e discepole di Gesù Cristo: ostilità, persecuzioni, discriminazioni.

In questo senso forse ci sentiamo un po’ distanti da queste parole, noi non siamo perseguitati o discriminati; gli evangelici in Italia lo sono stati per secoli ma ora non lo sono più.

Brani come questo allora possono aiutarci a rivolgere il nostro sguardo ai molti cristiani che nel mondo ancora oggi sono perseguitati a causa della loro fede, che non sono pochi. Noi oggi viviamo la nostra fede senza difficoltà, ma per molti cristiani nel mondo non è così.

Le nostre afflizioni e preoccupazioni sono altre, sono il timore di essere irrilevanti nel mondo in cui viviamo, il disinteresse che la stragrande maggioranza delle persone ha nei confronti dell’evangelo, il calo di presenza nelle nostre chiese.

Oppure, guardando oltre la vita delle nostre chiese, in queste settimane sono la paura e angoscia che causa in tutti noi la guerra in Ucraina.

La Parola di Dio di oggi viene innanzitutto a dirci che Dio consola. E che cos’è la consolazione? La consolazione di Dio è almeno due cose: la prima cosa che Paolo sottolinea in questo brano è che la consolazione “opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo”. Usa il verbo sopportare.

Ci sono delle cose, delle afflizioni, che vanno sopportate. Sopportare non è un verbo solo negativo come può sembraci. Sopportare è il primo passo per poter affrontare, combattere, resistere sofferenze e difficoltà.

Se non si sopporta, si soccombe. Sopportare è invece la condizione necessaria per superare la sofferenza.

Lo sa bene – immagino - chi ha una malattia grave o una disabilità; per poter guarire da una malattia o convivere con una disabilità, il primo passo è sopportare, che vuol anche dire non arrendersi.

Questo “opera efficacemente” la consolazione di Dio in noi. In queste parole: “opera efficacemente” Paolo ci sta dicendo che la Parola di Dio non sono solo parole, ma vuole dirci che Dio opera attraverso la sua Parola, che è efficace.

La consolazione che viene da Dio non è una pacca sulla spalla, è l’opera dell’evangelo che converte e trasforma la nostra mente, cioè il nostro modo di vedere il mondo e le cose intorno a noi.

Da questa conversione del nostro modo di vedere e del nostro stato d’animo nasce il secondo frutto di questa consolazione, che è la speranza. Sopportazione e speranza non sono in contraddizione, ma vanno insieme, sono due frutti della consolazione di Dio.

Paolo non dispera, ma anzi spera: “Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte, e abbiamo la speranza che ci libererà ancora”. Persino la morte era pronto ad affrontare senza perdere la speranza in “Dio che risuscita i morti”.

Questa è la consolazione che i cristiani ricevono da Dio nel mezzo delle loro afflizioni, che da un lato Dio aiuta a sopportare e dall’altro aiuta ad affrontare con speranza.

Ma poi c’è la seconda parte di ciò che ho detto all’inizio per riassumere questo brano di Paolo: consolati per consolare.

La consolazione ricevuta non si ferma lì, non si ferma a chi l’ha ricevuta: Dio “ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione”.

Non siamo consolati e basta, che già sarebbe un dono enorme, essere consolati mentre si vive un’afflizione o un momento difficile della nostra vita. Siamo consolati “affinché” – c’è dunque un altro scopo che va oltre noi stessi – affinché “possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione”.

Come ogni dono che riceviamo da Dio, anche il dono della consolazione non lo riceviamo per tenercelo, ma lo riceviamo per darlo ad altri, per condividerlo.

E dunque, appunto: consolati per consolare. La consolazione reciproca è la vocazione rivolta a tutti i cristiani. Già Lutero ha usato proprio questa parola “consolazione” per definire il ministero reciproco che i cristiani hanno gli uni nei confronti degli altri: mutua consolatio, diceva in un latino che possiamo capire tutti, cioè: consolazione reciproca.

Questo è il ministero che abbiamo tutti e tutte gli uni nei confronti degli altri. Non c’è cristiano che non abbia questo ministero, che non sia chiamato a questo servizio, perché non c’è cristiano che non sia consolato da Dio attraverso la parola dell’evangelo, che crea speranza.

Forse l‘unica eccezione è chi sta davvero troppo male, nel fisico e nell’animo, e non riesce a consolare nessuno, ma ha bisogno solo di ricevere consolazione.

Ma altrimenti, tutti e tutte siamo chiamati a questo servizio, che inizia dall’ascolto del fratello o della sorella, che deve potersi sentire di raccontare le sue afflizioni, in una relazione fondata sulla sincerità e sulla fiducia.

Le chiese sono chiamate a essere luoghi di consolazione reciproca, ogni incontro tra cristiani – dentro e fuori le chiese - dovrebbe poter essere opportunità di consolazione reciproca. I cristiani, nell’ascolto della parola di Dio, vengono consolati e imparano a consolare.

Noi, qui riuniti oggi nel culto, veniamo consolati dalla Parola di Dio che ci viene incontro in queste parole dell’apostolo Paolo e impariamo a consolare.

E impariamo – o impariamo di nuovo - che questo servizio è allo stesso tempo offerto e chiesto a noi tutti/e. Non c’è nessuno che non abbia bisogno di essere consolato e non c’è nessuno che non possa consolare.

Questo è la chiesa: sorelle e fratelli bisognosi di consolazione che diventano a loro volta consolatori o consolatrici. La chiesa è composta da donne e uomini consolati per consolare. Nella consolazione che riceviamo in Cristo nell’annuncio dell’evangelo nasce la comunione tra noi che ci permette di consolarci gli uni gli altri.

Tutto ciò nasce dall’evangelo, che riceviamo nella predicazione della Parola di Dio che ci promette che non c’è afflizione senza consolazione da parte di Dio. E che non c’è consolazione ricevuta che non possa diventare consolazione offerta e condivisa.

Davvero dunque, come scrive Paolo, “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo…, il quale ci consola in ogni nostra afflizione” e, mentre ci consola, ci rende consolatori e consolatrici delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, cosicché il suo dono della consolazione non smetta mai di operare efficacemente e tutti possano essere consolati.

 

martedì 15 marzo 2022

Predicazione di domenica 13 marzo 2022 su Matteo 26,36-46 a cura della pastora Joylin Galapon

Domenica scorsa abbiamo avuto in mezzo a noi la pastora Joylon Galapon che prenderà servizio nella nostra chiesa a partire dal mese di luglio. Pubblichiamo la sua predicazione su Matteo 26,36-46

  Matteo 26:36-46

36 Allora Gesù andò con loro in un podere chiamato Getsemani e disse ai discepoli: «Sedete qui finché io sia andato là e abbia pregato». 37 E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a essere triste e angosciato. 38 Allora disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me». 39 E, andato un po' più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi». 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me un'ora sola?

41 Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: «Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà».

43 E, tornato, li trovò addormentati, perché i loro occhi erano appesantiti. 44 Allora, lasciatili, andò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le medesime parole.


45 Poi tornò dai discepoli e disse loro: «Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l'ora è vicina, e il Figlio dell'uomo è dato nelle mani dei peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino».


Sermone

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Cosa ricordiamo del luogo del Getsemani?

Quali immagini abbiamo di questo luogo?

La memoria del Getsemani è il luogo più intimo della preghiera rivolta dal figlio al Padre.

Gesù rivolge a suo Padre "Abba", Dio mio, una preghiera di supplica.

Egli lo prega di non lasciarlo soffrire.

A suo Padre, l'unico che può rispondere la sua richiesta. Solamente Lui può esaudirla.

Nel suo momento di angoscia e tristezza Gesù pregò al Padre: Abbà, Padre mio.

Ha rivolto questa parola di supplica al Padre come segno di quel legame profondo, di quell'amore paterno che ognuno di noi comprende: come nostro Padre Dio si prende cura delle sue figlie e dei suoi figli.

Mentre Gesù gli parla, invocando il nome di suo Padre, gli rivolge una preghiera di supplica davanti al rischio della morte. Dobbiamo guardare con chiarezza e meditare su ciò che è stata quella morte.

Queste sono le parole che ci ricordano della richiesta insistente (3 volte) affinché il Padre non permetta che avvenga la sua fine (la sua morte). «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi».

Per ben tre volte vengono espresse le stesse parole al Padre di non permettergli di soffrire. Avrebbe potuto evitarlo? No! La consapevolezza di essere il suo unico figlio non lo esime da ciò che il Padre vuole da lui. Dio è onnipotente. Non può distruggere il male senza fare di suo figlio la sua vittima? Evidentemente, la risposta a questa angosciosa domanda era negativa. Non c'era altro modo.


Gesù disse:<<Se questo è possibile>> -

Egli non parla della possibilità di una fuga fisica verso le aride colline alla richiesta che il messia soffra la periferia della città, ma della possibilità che Dio stabilisca il suo regno senza una onta(infamia) pubblica e una morte atroce.

<<Se è possibile>> ma sarà quel che sarà. Accadrà ciò che doveva accadere.

La richiesta di Gesù e la volontà del Padre saranno prese in considerazione come il compimento (in atto, compiuto) per un fine ultimo. Non c'è altro modo, non c'è altra scelta da fare se non quel puro atto di dono di Dio che dimostra, prima di tutto a se stesso, poi al suo amato, prediletto Figlio: <<Questo è il mio figlio diletto; ascoltatelo>>. Matteo 17,5; Marco 9,7; Luca 9,35


<<Si gettò la faccia a terra>>. Immaginiamo i gesti compiuti da Gesù: Si alzò, cadde a terra, tutto il suo corpo si appoggiò a terra. Il gesto compiuto da Gesù nel pregare con le mani appoggiate per terra, abbracciando la terra, dimostra in tal modo il sentimento di umiltà, di voler accogliere Dio, appoggiandosi sulla terra, laddove l'umanità si riconosce come tale. La richiesta di rinuncia, con l'abbandono della terra, fa capire che l'uomo, fatto di polvere, al contempo si affida al suo Creatore. Giobbe disse: <<Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo tornerò in grembo alla terra>> Giobbe 1,21


Il fatto che Gesù abbia accettato la natura umana, di essere uguale all'uomo, è un segno della sua sottomissione a Dio Padre Divino. Questa differenza di essere divino e allo stesso tempo umano era espressione di accettazione della propria sottomissione al piano di Dio. Ciò è stato riassunto nella lettera di Paolo alla comunità di Filippi al capitolo 2 dal verso 5 al 9: <<Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente[a], ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome[b] che è al di sopra di ogni nome, …>>

La distinzione dei ruoli tra loro(tra Dio e Gesù), di conseguenza, mostra la volontà di compiere entrambe le missioni nei confronti dell'umanità - ruoli pienamente assegnati e assunti come segno della giustizia, della libertà e della promessa pianificata e realizzata di salvezza del mondo intero per tutto il tempo della storia.

A nome della chiamata di Gesù (ministero, servizio) è al servizio del Padre e dell’uomo. Alla volontà assoluta di Dio gli deve tutto. Come disse:: <<Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua>> Gv.4,34.


Gesù prese con sé i suoi tre discepoli. Li esortò a vegliare, a pregare con lui, in modo che non fossero tentati da Satana, (lo spirito maligno). Tuttavia, erano così assonnati e stanchi che non furono in grado di stare in guardia quando lui chiese loro di fare la guardia(vegliare, sorvegliare). Nonostante Gesù fosse in mezzo ai suoi tre discepoli, era solo. Il solo a sentire e a percepire la sofferenza era Gesù. Fu l'unico ad avere questa sensazione travolgente, consapevole di ciò che stava per accadere. Egli espresse la sua amara delusione quando i suoi seguaci più vicini si dimostrarono incapaci di lottare con lui: Allora, non siete stati capaci di vegliare con me un'ora?


I discepoli di Gesù e i suoi amici più stretti non facevano parte del compimento della missione scelta da Gesù e che Dio voleva che si compisse. Al contrario, sono stati considerati come complici di questo atto di negazione, di violenza, di tortura e poi di morte.

Dio non ha imputato loro la colpa, poiché saranno i testimoni della sua volontà, quindi della testimonianza futura, di quanto leggiamo negli atti degli apostoli, e nelle lettere dell’apostolo Paolo alle prime comunità.

Il nome 'figlio dell'uomo' è confermato.

Gesù è un uomo perfetto, nato figlio dell'uomo, che come tale dimostra la sua sottomissione, l'obbedienza a colui che lo ha creato e che ha predestinato il suo ruolo (missione, vocazione) in questo mondo. Gesù, quindi, come figlio di Dio compirà sua missione come uomo pieno di timore (amore e riverenza) verso Dio.

Qui, in questo passo biblico, in questo brano particolare ci viene ricordato tutto il cammino di Gesù, che sarà il primo discepolo e poi maestro (della vita) dei suoi discepoli.

Come disse a coloro che lo seguirono, ognuno deve lasciare, odiare, rinunciare alla famiglia(alla propria vita) e poi portare la propria croce. Seguire Gesù, seguire le sue orme, i suoi insegnamenti, le sue parole e le sue azioni costituiscono tutta la strada e il cammino del discepolato.

Qual è la regola fondamentale? Chi ascolta la Parola di Dio diventa un credente, uno che è disposto a rinunciare alla propria volontà per il bene di molti, per il bene di una comunità. Quelli di noi che hanno scelto di essere al servizio della Parola di Dio devono fare i conti con questa scelta. La scelta di servire e di mettersi al servizio di Dio per compiere la sua volontà è una scelta ponderata; si rinnova ogni giorno, ponendosi sempre come obiettivo il meglio.

Nella nostra epoca, questa scelta di servire e di essere al servizio della Parola è diventata più difficile da intraprendere, soprattutto da parte dei credenti, proprio perché non è una scelta qualsiasi, è la scelta di Dio. La Facoltà di Teologia è in crisi perché ci sono poche persone iscritte al pastorato, in quanto non si tratta di una volontà immediata da fare, è una scelta che va ambita (va perseguita con perseveranza, costanza) .

Si tratta della volontà di Dio. È una preghiera persistente a Dio che deve concederla. Molti pregano per avere più operai, perché la messe è grande.

L'esempio è la chiamata per rivelazione dell'apostolo Paolo: un convertito; era un persecutore dei seguaci di Gesù ed è diventato un perseguitato a causa della Parola viva cioè l’evangelo della CROCE.

La preghiera di Gesù di supplica di non soffrire, di non portare la croce di quel CALICE, è per noi oggi una consolazione perché il Signore ci ha dato la possibilità di capire con la nostra fede data da lui, il Vangelo della salvezza in Cristo Gesù (puramente compiuta nel nome suo, di CG).

Dobbiamo ricordare tutto, dobbiamo conservare nel nostro cuore il messaggio della croce di Gesù, portando il peso del nostro peccato(le nostre mancanze, le nostre debolezze, le nostre obiezioni).

Dobbiamo inchinarci a Dio, inginocchiarci davanti a Dio per il Figlio che non si è voltato dalla nostra menzogna, dalla nostra viltà. Ha abbracciato la terra, non si è allontanato dalla morte di un uomo peccatore e ha dato la sua vita in cambio di quella morte.

***

Gesù è morto per me, per te, per Putin, per molti.

Che cosa sta succedendo? Il mondo geme e a causa di un potente malvagio gli innocenti muoiono. Vorrei condividere con voi una mia riflessione personale sulla guerra di oggi.

Qualche tempo fa ero convinta e l'ho detto ad altri che il coronavirus 19 è un nemico invisibile, è difficile da colpire perché non lo si vede, è subdolo, è nascosto, ma quando si manifesta lo si sa bene, colpisce l'organo respiratorio dell'essere umano mostrando la sua crudeltà e cattiveria, uccidendo senza mezze misure le persone deboli come hanno vissuto molte persone anziane e malate. Agisce direttamente sui polmoni, l'organo fondamentale per la respirazione. Dio creatore ha dato a tutti noi questo organo per poter respirare. Sono più di due anni che lo combattiamo, e abbiamo intravisto in un certo senso una liberazione, che secondo gli scienziati, il momento è finalmente arrivato per superare questa malattia con i vaccini. Finalmente la guerra pandemica può definirsi conclusa.

Col cuore pieno di gioia, mi sono detto che finalmente dopo 4 anni potrò anche programmare il mio viaggio per visitare la mia terra natia. Che grande risultato! Questo è di nuovo un sogno poiché un' altra prova è arrivata, con un altro tipo di guerra.

Dal 24 febbraio la guerra è iniziata ed è visibile a tutti noi, perché è concepita (architettata, pianificata) dal presidente russo Putin. Egli ha invaso, con la sua astuzia, una nazione chiamata Ucraina, che fino a poco tempo fa viveva in pace. Credevo che l'uomo nemico, essendo visibile, fosse facile da colpire. Ebbene, la convinzione che avevo prima, secondo cui il coronavirus sia più difficile da colpire perché invisibile rispetto all' uomo che è visibile, non è più valida. Ma mi sbagliavo allora. In realtà, non è facile catturarlo ora, se è lui il colpevole, perché non è solo. È circondato dalle persone che sono le sue ali: loro e le loro armature. Putin è pieno di armature da battaglia. È un guerriero, potente, come una bestia selvaggia e feroce che non è facile da domare perché lo spirito maligno che lo domina lo circonda, lo protegge.

La lettura continua delle parole di Dio che si è allieto a partire dal popolo di Israele come dice allora a Mosè: << ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti io conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorrono il latte e il miele.>> Esodo 3:7-8. Siamo chiamati a leggere, quindi a dimorare nella parola del Signore cosicché Egli stesso possa trovare la sua dimora in noi. Noi siamo il tempio di Dio. Può essere che anche noi contribuiamo nel presente alla sua volontà di salvare il nostro nemico e il suo nemico, e non solo, dato che ci sono ancora tanti nostri nemici creature di Satana.

Certo, la salvezza del Signore Dio è vicina a quelli che lo temono, perché la gloria abiti nel nostro paese, nel mondo intero. Amen.

Joylin Galapon

domenica 6 marzo 2022

Predicazione di domenica 6 marzo 2022 su 2 Corinzi 6,1-10 a cura di Marco Gisola

2 Corinzi 6,1-10

1 Come collaboratori di Dio, vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano; 2 poiché egli dice: «Ti ho esaudito nel tempo favorevole e ti ho soccorso nel giorno della salvezza». Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza! 3 Noi non diamo nessun motivo di scandalo affinché il nostro servizio non sia biasimato; 4 ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, 5 nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; 6 con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero; 7 con un parlare veritiero, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; 8 nella gloria e nell’umiliazione, nella buona e nella cattiva fama; considerati come impostori, eppure veritieri; 9 come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; 10 come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!



Eccolo ora il tempo favorevole, eccolo ora il giorno della salvezza!” Tutti noi veniamo questa mattina al culto con negli occhi tutte le terribili immagini della guerra in Ucraina e di tutto quello che comporta, dalle vittime ai profughi, e ci sentiamo dire queste parole: Eccolo ora il tempo favorevole!

A noi sembra tutt’altro che un tempo favorevole, ci sembra un tempo molto sfavorevole, un tempo triste, casomai un tempo per pregare, come molti hanno fatto in molte chiese in tutto il mondo, oppure per manifestare per la pace, come si è fatto anche qui a Biella.

Eppure la Parola di Dio ci dice che è proprio ora il tempo favorevole, il giorno della salvezza; che non vuol dire il tempo in cui va tutto bene, ma il tempo in cui Cristo deve essere annunciato. Paolo qui sta infatti parlando del suo ministero e delle condizioni e dei modi in cui lo sta portando avanti.

Da ciò che Paolo scrive si vede chiaramente che, umanamente parlando, non è affatto un tempo favorevole. Paolo parla infatti di afflizioni, necessità, percosse, prigionia, cioè di tutta una serie di brutte esperienze che lui ha fatto o sta facendo, brutte esperienze che il suo apostolato lo ha portato a vivere. Queste sono le condizioni in cui Paolo svolge il suo ministero.

Un tempo per nulla favorevole dal punto di vista umano, un tempo anzi doloroso e faticoso. Ma proprio in questo tempo doloroso e faticoso, Paolo predica; anzi questo tempo è così faticoso perché Paolo predica e annuncia l’evangelo.

E lo fa con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo spirito santo, con amore sincero, con un parlare veritiero, con la potenza di Dio, eccetera.

E benché Paolo stia vivendo grosse difficoltà e probabilmente subendo ostilità, questo è il modo in cui annuncia l’evangelo, questo è in modo in cui l’evangelo va annunciato. Alle percosse, alle prigionie, ai tumulti, Paolo risponde con pazienza, bontà, amore sincero, parlare veritiero…

In poche parole: non è ostile nei confronti di chi gli è ostile. Perché così Cristo deve essere annunciato.

E proprio questo è il tempo in cui Cristo deve essere annunciato. E questo tempo non è un generico “sempre”; se diciamo che Cristo va “sempre” annunciato, diremmo una cosa bella e giusta, ma molto generica. Dunque non un generico “sempre”, ma un concretissimo “ora”: Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza!

E dunque anche ora. Anche ora che c’è una guerra alle porte dell’Europa, anzi: in Europa. E L’evangelo e la pace vanno o dovrebbero andare mano nella mano. Laddove l’evangelo è annunciato, creduto e vissuto, dovrebbe regnare la pace.

Ma l’evangelo può essere vissuto solo se creduto, e può essere creduto solo se è annunciato, e dunque è indispensabile che noi cristiani cominciamo a lavorare per la pace annunciando l’evangelo, che è il messaggio della pace che Dio ha fatto con l’umanità peccatrice.

Poi certo è fondamentale anche pregare, e del resto la preghiera nasce dall’annuncio; è importante manifestare per mostrare il proprio dissenso da chi la guerra la vuole e la provoca; ed è necessario anche agire nella solidarietà, nell’accoglienza dei profughi e in tutti gli altri modi che ci è possibile.

Ma come cristiani il nostro agire è un agire per fede, è anzi come dice Paolo, fede che opera per mezzo dell’amore. È la nostra fede che opera per mezzo dell’amore, fede nel Cristo crocifisso che è stato vittima dell’ingiustizia e della paura degli esseri umani di perdere il loro potere.

Fede nel Cristo, che “è la nostra pace” come scrive la lettera agli Efesini (2,14) perché ha fatto pace tra Dio e l’umanità e ha riconciliato ebrei e i pagani. Annunciare l’evangelo è allora uno dei modi per educare alla pace, è anzi per noi cristiani il primo modo di educare alla pace; attraverso l’ascolto dell’evangelo Dio stesso ci educa, ci insegna la pace.

C’è un brano biblico molto conosciuto, che forse in questi giorni è risuonato nelle nostre orecchie e che troviamo sia nel profeta Isaia, sia nel profeta Michea, la cosiddetta profezia del pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme, in cui è detto che i popoli

trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, e le loro lance, in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra” (Isaia 2,4; Michea 4,3).

In questo testo si usa il verbo “imparare”: “non impareranno più la guerra”. Perché la guerra si impara, si impara non solo a farla, con esercitazioni e addestramenti, ma si impara anche a volerla.

Perché la guerra, come ogni tipo di conflitto, anche personale, inizia nella nostra testa e nel nostro cuore. Si può imparare a relazionarsi con l’altro – singolo o popolo – con volontà di dominio e con violenza, oppure con rispetto e col dialogo.

Queste cose, come quasi tutte le cose, si imparano e si imparano da ciò che ci viene insegnato e da ciò che viviamo. L’evangelo ci insegna la pace, perché ci dice che siamo tutti uguali e tutti ugualmente amati da Dio in Cristo, nel quale siamo sorelle e fratelli e non nemici.

Al contrario, la volontà di dominio, di prevalere sull’altro, che arriva a volte fino alla volontà di eliminarlo, è il peccato “originale”, cioè che caratterizza l’umanità fin dalla sua origine.

Non penso tanto ad Adamo ed Eva, ma a Caino e Abele. Persino Putin dice che Russi e Ucraini sono popoli fratelli. Ma in questo momento sono popoli fratelli come fratelli erano Caino e Abele. Un fratello aggredisce l’altro e lo uccide.

Siamo così noi esseri umani, Caino e Abele siamo noi, non siamo meglio di loro. Troppo spesso nella storia dell’umanità – e nelle piccole storie della cronaca (che spesso è cronaca nera!) delle nostre città e dei nostro paesi - ci si divide in vittime e carnefici. Tante piccole guerre quotidiane avvengono ogni giorno per le strade e nelle case e i femminicidi ne sono un esempio evidente.

L’evangelo, dicevo, ci insegna la pace. Ma in realtà fa di più che insegnare, fa di più che educare; l’evangelo converte. L’evangelo – cioè Dio - vuole convertire Caino e vuole che non vi siano più Abele.

Per questo l’annuncio dell’evangelo è annuncio di pace: innanzitutto perché è l’annuncio della pace che Dio ha fatto con noi e poi è l’annuncio che ci può convertire alla pace e alla riconciliazione.

Questo è l’evangelo che siamo chiamati anche noi ad annunciare ora, anche in questo momento drammatico per l’Europa.

L’evangelo non è sempre ascoltato e accolto. Questo Paolo lo esprime nell’ultima parte del brano che abbiamo letto: considerati come impostori, eppure veritieri; come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!

In queste parole molto dense c’è di nuovo tutta l’ostilità e le difficoltà che Paolo e gli altri apostoli incontrano: sono accusati di essere impostori, sono puniti e perseguitati e di conseguenza vivono nelle ristrettezze.

Eppure… eppure, dice Paolo, sono veritieri, sono ben conosciuti a Dio che li guarda e li ama, non sono messi a morte, cioè non sono fermati nel loro annuncio; non possiedono nulla ma hanno tutto, perché sanno di avere ricevuto i doni di Dio, con cui riescono persino ad arricchire molti.

In questo “eppure” c’è la forza dell’evangelo. Forza che non fa male, che non è usata contro qualcuno ma è usata per, a favore di molti. Di quei molti che vengono arricchiti perché l’evangelo li raggiunge e li converte dall’odio all’amore, dall’ostilità alla comunione, dalla guerra alla pace.

Per questo ora è e continua ad essere il tempo favorevole, il tempo di annunciare l’evangelo di Gesù Cristo, la nostra pace.