lunedì 25 aprile 2022

Predicazione di domenica 24 aprile 2022 su Colossesi 2,12-15 a cura di Marco Gisola

Colossesi 2,12-15

12 siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. 13 Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; 14 egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; 15 ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce.

Al venerdì santo e a Pasqua abbiamo annunciato che Gesù Cristo è morto e risorto per noi. Il testo di oggi ci dice che il venerdì santo e il giorno di Pasqua siamo morti e risorti anche noi: siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Questo è il significato del battesimo cristiano, scrive l’apostolo, questo è ciò che è stato proclamato il giorno in cui siamo stati battezzati, non importa se molto o poco tempo fa, non importa se da bambini o da adulti, se per aspersione o per immersione.

Il tuo battesimo ha questo significato: Gesù Cristo è morto e risorto anche per te. Gesù Cristo è morto e risorto per tutta l’umanità, ma poiché è morto e risorto per delle persone ben precise, con un nome e una esistenza unici, nell’istante del battesimo si annuncia che Gesù Cristo è morto per Tizio o per Caia, che vengono chiamati per nome mentre vengono battezzati. Il testo dice siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui. Siamo stati sepolti e siamo anche già stati risuscitati con lui: mentre lui, Gesù, veniva sepolto e mentre veniva risuscitato, ci portava con sé. Non ci portava né nella tomba e nemmeno in cielo ovviamente, ma ci portava in una nuova vita. La morte e resurrezione di Cristo ha fatto morire e risorgere anche noi, nel senso che ha fatto iniziare per noi una nuova vita in Cristo, come dice l’apostolo “mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti”.

Che cosa caratterizza questa nuova vita? Questo brano parla di almeno due caratteristiche:

1. La prima è il perdono: Voi, che eravate morti nei peccati […], Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati. Siamo stati risuscitati perché siamo stati perdonati. Il peccato è morte, il perdono è vita. Il peccato uccide, il perdono fa risorgere. E non è un modo di dire: il peccato, anche quando non toglie davvero la vita a qualcuno - come nel caso della guerra, del terrorismo, dei femminicidi, ecc. - è però la morte di una relazione. E il perdono è rinascita di una relazione.

Forse “morte” ci sembra una parola troppo grossa, spesso le relazioni non si interrompono, ma molte volte le relazioni si incrinano; non sono uccise, ma sono spesso vengono ferite e le ferite faticano a guarire. Non ci si parla più, oppure ci si parla malamente o alle spalle. Il perdono in questo senso è guarigione, a volte vera e propria rinascita di una relazione e questa guarigione o rinascita si chiama riconciliazione. È ciò che ha fatto Gesù morendo in croce per noi, come dice l’apostolo Paolo quando scrive che “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,19).

E il nostro brano di oggi dice che eravamo “morti nei peccati” e che il perdono di Dio ci ha vivificati, ci ha riconciliati con Dio stesso, ci ha fatto capire che mentre il peccato è divisione e rottura, il perdono è riconciliazione, ri-unione e con ciò ci ha resi capaci di cercare la riconciliazione.

Le terribili notizie che ci arrivano ogni giorno dall’Ucraina, oltre a mostrarci tutto il dramma delle vittime, dei profughi e della distruzione, fanno anche riflettere su quanto odio venga seminato ogni giorno che la guerra procede. E anche quando la guerra finirà, l’odio purtroppo rimarrà a lungo. Quando le morti delle persone termineranno, rimarrà la morte dentro le persone, nel cuore di molte persone vive, ma con il cuore pieno di odio. Solo la riconciliazione potrà fare rivivere quelle relazioni interrotte e uccise dal dramma della guerra. Prima bisognerà ovviamente fare giustizia, e poi, per rivivere, dopo la guerra e dopo tutto quell’odio, per risorgere dalle ceneri della guerra, sarà necessario un lungo cammino di riconciliazione.

Non esagera l’apostolo quando dice che è questione di vita e di morte, perché il peccato uccide, il perdono fa rivivere, il peccato separa, il perdono riconcilia. La riconciliazione con Dio l’ha fatta per noi Dio stesso, in Cristo. In lui, nella sua morte e resurrezione, siamo anche noi morti e risorti a nuova vita. Risuscitati perché perdonati.


2. La seconda caratteristica della nuova vita è la libertà. Siamo stati risuscitati perché siamo stati liberati. La parola libertà non c’è nel testo, ma possiamo leggere così l’ultima frase del brano che abbiamo letto, che a prima vista non è così chiara, quando dice che Dio ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce.

I “principati” e le “potenze” sono parole che non usiamo più, perché non fanno parte del nostro linguaggio e della nostra cultura. Nel linguaggio del primo secolo “principati” e “potenze” erano delle forze che si pensava potessero dominare gli esseri umani, ed erano legate a una visione del mondo di cui facevano parte anche i demoni, che incontriamo così spesso nel NT. I principati e le potenze sono forze che dominano la volontà umana; i demoni sono forze che si impossessano della volontà umana e fanno fare alle loro vittime ciò che vogliono. È ovvio che questo modo di pensare per noi è superato. Ma ciò che questo modo di pensare e questo linguaggio esprimono è invece sempre straordinariamente attuale.

Ci sono tante forze che cercano di dominare la nostra volontà. A partire da quella antichissima che nella Bibbia va sotto il nome di “mammona”: tutto ciò che ha a che fare non solo con la ricchezza – perché è una forza che ha molto potere anche su chi ricco non è – quanto piuttosto con il possesso. E dunque la moda, il mercato, la finanza, gli oggetti che si desidera possedere. E pensiamo a quell’altra potenza che va sotto il nome di “successo”, che una volta era riservato a personaggi dell’arte e dello spettacolo e oggi, nel mondo dei “social” è invece ricercato da tutti coloro che vogliono essere “influencer”, parola che in sé contiene l’idea del successo ma anche del potere, il potere di influenzare gli altri.

E per tornare a ciò che dicevamo prima, quale potenza ha l’odio, una vera e propria potenza demoniaca, che spinge gli esseri umani a individuare un nemico, un diverso, uno che può diventare nostra vittima. A volte purtroppo è odio religioso, quando la religione sfocia nel fanatismo. A volte è odio nazionalistico, quando il nemico è lo straniero. A volte è la persona che ha la pelle di un altro colore, a volte il nemico di turno invece ha lo stesso colore di pelle, ma è omosessuale o disabile. A volte è semplicemente uno che tifa per una squadra di calcio diversa… Non è forse l’odio una fortissima potenza diabolica, nel senso biblico della parola, cioè che divide, che separa gli esseri umani gli uni dagli altri e li mette gli uni contro gli altri…?

Tutte queste potenze che ci mettono gli uni contro gli altri sono state “spogliate” dice il nostro brano, e Dio ha trionfato su di loro per mezzo della croce. Ce ne ha liberato. Ha trionfato perdendo, a viste umane; ma solo a viste umane. In realtà ha vinto, ha sconfitto l’odio, ma non chi odia. Gesù – lo abbiamo detto nel culto del giovedì santo – secondo il vangelo di Luca è morto perdonando, pronunciando un’ultima parola di riconciliazione. La riconciliazione è stato il trionfo che è avvenuto sulla croce.

E dunque la croce ci ha liberati da tutte queste potenze, dal potere che tutte queste forze hanno su di noi, perché è attraente possedere, influenzare, dominare. Persino odiare è molto attraente per alcuni, perché l’odio è il motore che ci spinge a voler dominare sugli altri.

Sulla croce è stato inchiodato “il documento a noi ostile”, scrive l’apostolo, un termine un po’ oscuro, che potrebbe essere una sorta di elenco di debiti o di prescrizioni legalistiche, comunque qualcosa che vincola e che lega. Potremmo dire che sulla croce è stata crocifissa la nostra schiavitù. 

 

Siamo stati risuscitati perché siamo stati perdonati e perché siamo stati liberati. Questo è il meraviglioso dono che ci è stato fatto tra il venerdì santo e la Pasqua e che viene proclamato su ciascuno e ciascuna di noi nel nostro battesimo. Il dono del perdono e della libertà. Perdonati in Cristo e liberati in Cristo, perché morti e risuscitati con lui. Questo è l’evangelo, la bella notizia che riceviamo questa domenica dopo Pasqua e ogni giorno della nostra vita, che possiamo ricominciare nel perdono e nella liberazione che opera in noi la grazia di Dio.

domenica 17 aprile 2022

Predicazione della domenica di Pasqua (17 aprile 2022) su Marco 16,1-8 a cura di Marco Gisola

 Marco 16,1-8

1 Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. 2 La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al levar del sole. 3 E dicevano tra di loro: «Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro?» 4 Ma, alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pure molto grande. 5 Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. 6 Ma egli disse loro: «Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l’avevano messo. 7 Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto». 8 Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore; e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura.



Gesù è risorto e la sua resurrezione fa paura! Questa è la prima impressione che ci dà questo racconto del vangelo di Marco, che termina - in un modo che ci sembra strano - con la paura delle donne che fuggono dal sepolcro e non dicono nulla a nessuno.

Gesù è risorto, ma non ci crediamo. Gesù è risorto, ma fuggiamo via, come per non avere più davanti agli occhi quella tomba vuota, quell’assenza di una salma che avremmo voluto trovare.

Così finisce questo brano, ma così probabilmente finiva l’intero vangelo di Marco. Molti manoscritti del vangelo di Marco finivano qui e i versetti che noi troviamo dopo sono stati aggiunti in un secondo momento, da qualcuno che probabilmente era scandalizzato dal fatto che un vangelo finisse così.

Questo racconto ci stupisce, ci sconcerta, ma forse… forse è proprio questo il racconto più autentico della nostra reazione davanti alla resurrezione di Gesù. Dico “nostra” appositamente, nostra e non delle donne, che sarebbe troppo facile giudicare col senno di poi. Quelle donne - ma è più corretto dire quelle discepole - siamo noi.

Immaginiamoci la scena: Gesù è morto, le discepole hanno comprato gli aromi e i profumi per sistemare il corpo di Gesù. Hanno aspettato che passasse il sabato, il giorno del riposo, in cui non si deve compiere alcun lavoro.

E poi, la sorpresa: la pietra rotolata, la tomba aperta, il corpo non c’è e invece dentro il sepolcro c’è un giovane seduto – è seduto e dunque evidentemente le aspettava! - è vestito di una veste bianca che indica che viene da Dio, che è un suo messaggero, e dice loro cose incredibili.

Eh sì, le discepole hanno paura, ma non perché sono paurose, ma perché ciò che vedono e ascoltano è incredibile e le sconvolge totalmente. Non solo per ciò che vedono – cioè l’angelo, che già è una scena piuttosto sconvolgente - ma anche per ciò che non vedono, ossia il corpo di Gesù.

Immaginiamoci come reagiremmo noi se dopo la morte di un nostro caro il suo corpo sparisse nel nulla!

E infine, in un crescendo di tensione, sconvolte per ciò che ascoltano, per l’annuncio che ricevono: egli è risuscitato, non è qui. Che non era lì lo avevano capito, ma “risuscitato” è un annuncio troppo grande e troppo bello, così grande e bello che fa paura, è difficile da credere.

Così siamo anche noi, se vogliamo essere sinceri, davanti all’annuncio della resurrezione di Gesù; sconcertati. E se non siamo anche spaventati, è solo perché dopo tanto tempo che lo ascoltiamo ci siamo abituati.

È troppo, è un annuncio troppo grande per la nostra piccola fede. La conclusione del vangelo di Marco ci vuol dunque dire che la resurrezione di Gesù è un messaggio così grande che incontra tutta la nostra umana diffidenza.

Ovviamente, dobbiamo anche dire che se il vangelo di Marco – e anche gli altri tre – sono stati scritti, se questi fatti sono stati raccontati e ri-raccontati, è perché poi l’annuncio della resurrezione è stato creduto. Sennò nemmeno noi saremmo qui.

Ci è voluto un po’ di tempo, ci sono voluti gli incontri con Gesù risorto, c’è voluto – diciamo così – un grosso lavoro dello Spirito Santo, ma poi alla fine l’incredibile è stato creduto. L’incredibile notizia che la vita ha vinto sulla morte è stata creduta.

Questo racconto del vangelo di Marco è particolare proprio perché tiene insieme queste due cose: ci dice contemporaneamente che Gesù è risorto, ovvero ci annuncia il meraviglioso evangelo di Pasqua della vittoria della vita sulla morte, e contemporaneamente ci dice che le prime persone che ricevono questo annuncio non ci credono, hanno paura e fuggono.

Marco non è un ingenuo, piuttosto vuole mostrarci che non è affatto scontato e non è affatto facile credere alla resurrezione. Marco vuole semplicemente dire le cose come stanno: Gesù è risorto, ma non è facile crederci.

Anzi, per essere corretti dobbiamo ribaltare la frase: Marco ci vuole dire che non è scontato crederci, ma Gesù è risorto. Gesù è risorto nonostante le nostre difficoltà e i nostri dubbi. Solo così, solo se ribaltiamo questa prospettiva il racconto è veramente evangelo, buona notizia, altrimenti è solo umano scetticismo.

Facciamo fatica a crederci, ma Gesù è risorto. Gesù è risorto nonostante i nostri umani dubbi e le nostre domande. L’incredibile è vero, è accaduto, Gesù è risorto: questo è l’evangelo.

Il centro del racconto non è la sua conclusione, non è la paura e il silenzio delle discepole, in questa paura e in questo silenzio c’è solo tutta la nostra umanità. Il centro del racconto è nelle parole dell’angelo, nell’annuncio, che va ripetuto, che va annunciato a tutto il mondo: Gesù è risorto, la morte è vinta.

L’angelo aveva detto «non vi spaventate» e le discepole hanno paura lo stesso. L’angelo aveva detto «andate a dire ai suoi discepoli … che egli vi precede in Galilea» e loro stanno zitte.

Ma il loro silenzio e la loro fuga non cancella il fatto che Gesù è risorto e non elimina la necessità di annunciarlo.

È solo che per loro è troppo presto, che la rassegnazione è ancora troppa per essere superata. Ed è per questo che ci sono stati altri incontri e altri annunci ed è per questo che anche noi continuiamo ad annunciarlo: perché è vero, nonostante appaia incredibile.

E che cosa continuiamo ad annunciare, o meglio: quale annuncio continuiamo a ricevere? Oltre all’annuncio del fatto che Gesù è risorto, l’angelo dice due cose alle tre discepole: dice loro “non vi spaventate!” e “andate”. L’annuncio della risurrezione di Gesù consola e invia.

L’annuncio della risurrezione di Gesù consola, perché dona la speranza che vince la paura e la rassegnazione. Gesù è risorto, la morte è vinta, ed è la morte che fa paura.

È tutto ciò che porta morte che fa paura: l’odio, la discriminazione, la sete di dominio, l’istinto violento, e tanti altri sentimenti che stanno dentro di noi e che vediamo tutti insieme nelle immagini che ci arrivano dall’Ucraina, ma non solo dall’Ucraina!

Tutto ciò fa paura, ma l’evangelo di Pasqua ci dice che la morte è vinta e che tutto ciò che porta morte non ha l’ultima parola.

E poi l’annuncio della risurrezione di Gesù invia, perché chi ha ricevuto questo annuncio ne diventa debitore verso gli altri. Chi ha ricevuto questo annuncio è debitore di speranza.

E tra l’altro è interessante che nella continuazione del capitolo, che come dicevo è probabilmente un aggiunta fatta in un secondo momento, chi ha fatto questa aggiunta ha ripreso l’episodio in cui Gesù appare a Maria Maddalena.

Maria Maddalena è una delle tre discepole del nostro testo. Quindi questa aggiunta ci vuole dire che il Signore non si è arreso al silenzio delle discepole che erano andate al sepolcro, ed è andato lui stesso incontro a una di esse a mostrarsi e a farsi riconoscere.

E infatti alle discepole al sepolcro l’angelo aveva detto «Gesù vi precede in Galilea, là lo vedrete». Bisogna partire, andare a incontrare Gesù, che è tornato dove tutto è iniziato e dove tutto ora ricomincia in modo nuovo. Prima si va a incontrare Gesù e poi si va ad annunciarlo agli altri.

La nostra Galilea è la Bibbia, è il culto, è ogni occasione in cui la Parola di Dio viene letta, annunciata e ascoltata, perché è nella sua parola che incontriamo il risorto e riceviamo l’annuncio che consola e che invia.

Ogni volta che veniamo qui, veniamo consolati e inviati dall’evangelo che ci dice che Gesù è risorto e che non c’è motivo di avere paura.

Quel giorno, tre discepole sono andate di mattina presto al sepolcro di Gesù per occuparsi della salma del loro amico e maestro. Lì hanno visto e ascoltato cose straordinarie, la tomba vuota, il messaggero di Dio, l’annuncio che Gesù è risorto.

Tre discepole sono fuggite impaurite e non hanno detto nulla. Ma non è finita lì. Quell’annuncio non poteva essere taciuto, non è stato taciuto. Quelle tre discepole e poi altre e altri, molte altre e molti altri hanno di nuovo ricevuto quell’annuncio, che è passato di voce in voce, fino ad oggi, fino a noi.

Anche a noi oggi l’evangelo dice: non spaventatevi, Gesù è risuscitato, la morte è vinta, Gesù vi precede in Galilea, dove tutto ricomincia e tutto sarà nuovo. Sembra incredibile, ma è vero: Cristo è risorto, tutto ricomincia, in lui tutto è nuovo.

Predicazione del Venerdì Santo (15 aprile 2022) su Luca 23,32-49 a cura di Marco Gisola

 

Luca 23,32-49

32 Ora, altri due, malfattori, erano condotti per essere messi a morte insieme a lui. 33 Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte. 35 Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!» 36 Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!» 38 Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. 39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 40 Ma l’altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». 44 Era circa l'ora sesta, e si fecero tenebre su tutto il paese fino all'ora nona; 45 il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. 46 Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò. 47 Il centurione, veduto ciò che era accaduto, glorificava Dio dicendo: «Veramente, quest'uomo era giusto». 48 E tutta la folla che assisteva a questo spettacolo, vedute le cose che erano accadute, se ne tornava battendosi il petto. 49 Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea stavano a guardare queste cose da lontano.



1. «Questo è il re dei giudei» queste parole scritte e affisse alla croce di Gesù rappresentano l’accusa per cui Gesù viene messo a morte. Ma queste parole di accusa, questa sentenza di condanna diventa paradossalmente l’annuncio dell’evangelo e la risposta alla domanda che accompagna tutto il vangelo di Luca, ovvero chi è Gesù.

Per chi ha messo Gesù in croce è appunto la sentenza di condanna: quest’uomo viene crocifisso perché pretende di essere il re dei giudei, ma non lo è, mente, e dunque è pericoloso e merita la morte. Per noi che leggiamo il vangelo di Luca questa parola scritta è la verità; la verità apparentemente incredibile: un re che non siede su un trono con sudditi intorno pronti ad obbedirgli, ma un uomo crocifisso, circondato da persone che lo prendono in giro; e da un po’ più lontano da persone che lo piangono.

È un paradosso, e nella tragedia c’è anche molta ironia: qualcuno doveva pur dirlo che quell’uomo è il re dei giudei, ovvero il messia, il figlio di Dio venuto nel mondo. E chi lo dice è colui che formalmente lo ha fatto crocifiggere, ovvero Pilato, che ha fatto mettere questa scritta. Nel vangelo di Giovanni viene detto che questa frase è scritta in ebraico, in latino e in greco ovvero nelle tre grandi lingue internazionali del tempo, e anche in questo c’è una grande ironia: tutto il mondo deve sapere che quell’uomo è il re dei giudei. Tutto il mondo deve saperlo, anche se nessuno può crederlo, perché non è un re seduto sul trono, ma un moribondo sulla croce.

Dunque l’evangelo viene proclamato nella e sulla croce di Gesù e viene annunciato mentre intorno a Gesù stesso tutti lo negano con le prese in giro e le provocazioni che gli rivolgono: «se tu sei il re dei giudei, salva te stesso». In questa affermazione provocatoria viene fuori la logica umana: se sei il re dei giudei, se sei il figlio di Dio, fai qualcosa e salvati. Le stesse provocazioni erano state proposte a Gesù sotto forma di tentazioni dal diavolo nel deserto: «se tu sei figlio di Dio dì a questa pietra che diventi pane», «se tu sei figlio di Dio gettati giù dal tempio». Insomma usa il tuo potere per te, per il tuo bene e per la tua salvezza. E invece no: Gesù ha usato la sua potenza per gli altri e mai per se stesso, per salvare altri, non se stesso.

E proprio per questo è il figlio di Dio, il re dei giudei, ma non lo è come lo vorrebbero gli altri o come gli altri si aspetterebbero. Ma è il figlio di Dio come Dio lo vuole, è il Figlio di Dio che muore per salvare gli altri, anziché - come spesso hanno fatto i re e i potenti da che mondo è mondo - mandare gli altri a morire per salvare se stesso.

Ma non dichiariamoci innocenti troppo velocemente: le provocazioni o tentazioni delle persone che stanno intorno alla croce possono essere anche le nostre. Non affrettiamoci a prendere le distanze, perché cadiamo anche noi in questo errore: ci cadiamo ogni volta che vorremmo che Dio fosse a nostra immagine e somiglianza anziché noi alla sua, ogni volta che vorremmo che Dio facesse la nostra volontà, anziché noi fare la sua.

Dunque nella tragedia della croce e nel paradosso della croce viene detta la verità, che non può essere taciuta, anche se nessuno al momento sembra crederla: «questo è il re dei giudei», quest’uomo è il messia che Dio ha mandato in mezzo a noi. Così, inconsapevolmente, in questo modo paradossale, drammatico e ironico al tempo stesso, l’evangelo viene proclamato nella crocifissione di Gesù.

2. Gesù non muore da solo: ci sono due uomini crocifissi accanto a lui. Questo ci dice da un lato che Gesù è solidale con tutti i crocifissi. Gesù è vittima della giustizia/ingiustizia umana che arriva alla pena di morte; si fa dunque solidale con le vittime, con tutti coloro che muoiono uccisi da altri esseri umani, ieri come oggi. Ma non solo: Gesù fa la fine dei malfattori, dei criminali che vengono espulsi, eliminati dalla società perché pericolosi con la pena di morte. Dunque Gesù muore innocente in mezzo a dei colpevoli che anch’essi muoiono.

E dunque Gesù si fa solidale non solo con le vittime innocenti, ma con i colpevoli. Muore con questi due uomini che sono colpevoli, anche se non sappiamo di che cosa. Gesù non muore da solo, perché fino in fondo si immerge e si identifica - lui innocente - con l’umanità colpevole. Noi compresi, che siamo colpevoli davanti a lui.

Il vangelo di Luca è l’unico che ci racconta questo dialogo di Gesù con gli altri due uomini crocifissi. Negli altri vangeli ci viene soltanto detto che anche loro due lo insultano, qui invece solo uno lo fa e l’altro non solo non lo insulta, ma rimprovera il compagno. E poi fa a Gesù una richiesta, quella che in fondo possiamo considerare una preghiera: «ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Dice «nel tuo regno» e dunque ciò significa che, oltre alla scritta preparata da Pilato, anche quest’uomo crocifisso con Gesù lo riconosce come re.

È un messaggio molto forte: quest’uomo - uno dei due crocifissi con lui - confessa la sua fede nel crocifisso: Gesù infatti è già sulla croce. E poco dopo il centurione ai piedi della croce proclamerà che «veramente quest’uomo era giusto». Un delinquente e un soldato pagano, due persone non certo molto religiose… Non possiamo e non dobbiamo indagare quale fede o quanta fede o come sia nata questa fede di quest’uomo crocifisso con Gesù. Di lui non sappiamo nulla. Abbiamo solo le sue parole e soprattutto abbiamo le parole di Gesù che prendono sul serio la richiesta, o meglio: la preghiera di quest’uomo e riconosce la sua fede. E infatti gli risponde: «io ti dico in verità oggi tu sarai con me in paradiso».

Questa, secondo il vangelo di Luca, è l’ultima parola che Gesù rivolge ad un altro essere umano. Poco dopo parlerà ancora, ma parlerà a Dio, dicendogli «Padre nelle tue mani rimetto lo spirito mio» e poi spirerà. L’ultima parola detta ad un essere umano è questa parola di perdono, rivolta al suo “con-crocifisso”. L’ultima parola è per un colpevole al quale annuncia il perdono di Dio. Fino alla fine Gesù ha proclamato e annunciato il perdono di Dio, fino a un attimo prima di morire. Questo ci dice che per qualunque essere umano colpevole c’è sempre la possibilità di cambiare e di chiedere perdono: non è mai troppo tardi. Questa scena ce lo dice chiaramente.

Poco prima Gesù aveva detto quell’altra parola che – anche questa – ci riporta soltanto il vangelo di Luca: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Luca ci tiene in modo del tutto particolare a dire ai suoi lettori che le ultime parole di Gesù sono parole di perdono. Ci tiene a sottolineare fino alla fine che questa è la ragione per cui Gesù è venuto nel mondo e che per questo ha dovuto morire della morte di croce: mostrare al mondo la potenza della grazia di Dio che si rivela nella debolezza.

Gesù perdona l’uomo crocifisso con lui, che a modo suo gli chiede perdono, riconoscendolo re. E perdona – o chiede a Dio di perdonare – anche coloro che lo stanno crocifiggendo, che non gli hanno affatto chiesto perdono, ma anzi lo stanno insultando e facendo soffrire.

Pura grazia. Questo è il Cristo crocifisso e morente che Luca ci dipinge e ci racconta in questa scena memorabile. La croce sembra la sconfitta di Gesù, è invece la sconfitta e il giudizio per chi lo ha crocifisso. Ma è al tempo stesso la grazia per loro, persino per loro. Per questo – con buona pace di Pilato e di chi gli urla contro sotto la croce – egli è davvero il re dei Giudei, il figlio di Dio venuto nel mondo.

Da quella croce, arriva persino per loro l’annuncio della grazia di Dio. Da quella croce quel meraviglioso annuncio arriva a tutti coloro che in ogni luogo e in ogni tempo ricevono l’evangelo che annuncia che il Cristo crocifisso è il Signore della grazia. E arriva stasera anche a noi, che su quella croce siamo giudicati e salvati e accolti da lui nel suo regno.