Dopo il pane, il perdono. Il pane, con tutto ciò che questo significa, come abbiamo detto commentando la richiesta precedente, è necessario e Dio ci insegna a chiederlo. Ma non si vive di solo pane (Deuteronomio 8,3) e la Parola di Dio lo dice chiaramente. Una volta che abbiamo soddisfatto le nostre esigenze necessarie, non abbiamo ancora dato un senso alla nostra vita.
Il
senso della nostra vita il Padre Nostro lo indica nel perdono. Com’è
una vita vera, vissuta fino in fondo, una vita che ha un senso
profondo, un’esistenza che ha davvero uno scopo? La Bibbia dice:
una vita vissuta nel perdono, nel perdono chiesto e concesso.
Una
vita vera è una vita in cui ciascuno può essere se stesso, in cui
non c’è bisogno di mentire, né di recitare, né di fingere di
essere quello che non sei. E questo è possibile solo nel perdono e
attraverso il perdono.
Davanti
a Dio sai che puoi essere te stesso, non c’è bisogno di fingere.
Conosci la tua fragilità, la tua debolezza e anche la tua
meschinità, e puoi portarle davanti a Dio, affidandole alla sua
misericordia. Nel chiedere perdono a Dio possiamo essere davvero noi
stessi.
Il
Padre Nostro parla del perdono e non parla dell’amore. Eppure non
si può perdonare se non c’è amore, anzi il perdono è frutto
dell’amore. Il Padre Nostro vuole essere una preghiera concreta:
parlare di amore può essere astratto, sentimentale. Il perdono
invece è sempre concreto, reale. L’amore nella Bibbia più che un
sentimento è un comandamento; e dunque anche il perdono non può
essere legato soltanto al sentimento (i nostri sentimenti sono molto
volubili), ma è legato al comandamento dell’amore.
Il
perdono è amore messo in pratica, è amore concreto, praticato. Per
questo in preghiera noi chiediamo a Dio il suo perdono e ci
impegniamo a perdonare a nostra volta: perché il perdono è amore
vissuto.
La
prima parte della preghiera dice: “Rimettici i nostri debiti”.
Anche qui notiamo che non dice: “perdona i nostri peccati”.
Almeno non nella versione del Padre Nostro che troviamo nel Vangelo
di Matteo; il Vangelo di Luca dice invece: “perdonaci i nostri
peccati”.
I
termini “debito” e “peccato” nella Bibbia sono spesso
sinonimi, hanno cioè spesso lo stesso significato. Spesse volte Gesù
nelle sue parabole usa l’immagine del debito per indicare il
peccato; lo abbiamo ascoltato nella parabola del servo debitore a cui
il padrone condona tutto il debito, ma che poi non fa la stessa cosa
con il suo proprio servo.
Il
termine debito è più concreto che quello di peccato: “peccato”
può essere un termine astratto, e ricorda più facilmente la
disubbidienza, la trasgressione di una legge o di una regola. Il
termine “debito” invece rimanda a un rapporto di fiducia tra due
persone: quando qualcuno dona qualcosa in prestito a qualcun altro,
gli dona anche la sua fiducia.
Come
nella parabola dei talenti (Matteo 25), in cui un padrone parte per
un lungo periodo e chiede ai suoi servi di far fruttare i talenti,
cioè le monete, che dona loro, così il Signore ci affida qualcosa
da far fruttare. Ci affida i suoi doni, innanzitutto la sua parola, e
poi tutto ciò che fa parte della sua creazione, ci affida anche il
nostro prossimo, ci circonda di uomini e donne da amare. Affidandoci
tutto ciò, il Signore ci dà fiducia e vuole che trattiamo i suoi
doni nella consapevolezza che tutto ciò è suo; è sua la sua
Parola, è sua la creazione, sono suoi gli uomini e le donne che ci
circondano.
Il
debito, dunque non è solo la trasgressione di una regola, ma è il
tradimento di questa fiducia, è l’abuso dei doni che il Signore ci
ha fatto. Il debito è l’aver ignorato la sua Parola, è l’abuso
della sua creazione, è il non aver amato il prossimo che ci ha dato.
Così facendo, è come se non fossimo più in grado di restituire un
debito. E allora non ci resta che chiedere che questo debito venga
rimesso, cioè cancellato.
Anche
il “cancellare un debito” ha una sfumatura diversa dal “perdonare
un peccato”: il creditore che cancella un debito, che straccia una
cambiale, ci rimette. A Dio costa cancellare il nostro debito, non è
un gesto che non gli costi nulla. La croce è il prezzo che ha
pagato.
Cancellare
un debito, dal punto di vista di Dio, non è un’operazione
contabile e non è nemmeno un passare sopra a una piccolezza.
Significa prendere una decisione di amore, fare come se noi, che
siamo debitori, non fossimo più suoi debitori ed essere disposto a
ricominciare tutto da capo, a ridarci la sua fiducia.
Quando
chiediamo a Dio “rimettici i nostri debiti” gli chiediamo di
stracciare la nostra cambiale, di cancellare un debito che sappiamo
che non saremmo mai in grado di pagare. Quando chiediamo a Dio
“rimettici i nostri debiti”, facciamo affidamento sulla sua
grazia, su una sua decisione personale nei nostri confronti.
Qualcuno
ha detto che Dio perdona perché questo è il suo mestiere, ma non è
così. Per Dio non è un dovere
perdonare. Il perdono di Dio è per noi sempre un dono. Noi viviamo
facendo affidamento sul perdono di Dio, preghiamo nella certezza che
Dio in Cristo ci perdona, ma non dobbiamo mai chiederlo come se ci
fosse dovuto,
perché il perdono, come il pane e tutto ciò che ci è necessario,
non ci è dovuto, ma donato,
per pura grazia, e dobbiamo esserne riconoscenti.
Forse
proprio per evitare che si pensi che il perdono ci è dovuto, il
Padre Nostro aggiunge la frase “come noi li abbiamo rimessi ai
nostri debitori”. Quando chiedi perdono devi anche essere disposto
a perdonare. Altrimenti la tua richiesta è falsa, ipocrita.
Aggiungere
“come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” non significa
che il perdono di Dio dipende dalla nostra capacità di perdonare; se
fosse così avremmo ben poche possibilità di ottenere il perdono di
Dio. Il perdono di Dio non ha condizioni, è grazia e rimane grazia.
Non
è il nostro perdono da parte di Dio che dipende dal nostro voler
perdonare, ma è il nostro
poter chiedere perdono
che dipende dal nostro essere
disposti a perdonare.
Se non sei innanzitutto disposto a perdonare, non chiedere nemmeno
perdono.
Dio
non pretende certo la perfezione di chi gli si rivolge in preghiera,
ma pretende che la preghiera sia onesta, che non chiediamo nulla che
non siamo disposti anche a dare. Così come, abbiamo detto, è
ipocrita chiedere il pane e non essere disposti a condividere quello
che si ha, è ipocrita chiedere perdono e non perdonare.
La
stessa fede e la stessa umiltà sono necessarie per perdonare e per
chiedere perdono. Questa richiesta del Padre Nostro è una richiesta
che ci impegna. Qui noi non chiediamo soltanto, ma ci prendiamo anche
un impegno. Dicendo “come
noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”, chiediamo a Dio un
perdono nella
misura in cui
sappiamo perdonare; e di conseguenza ci impegniamo a perdonare, per
poi poter chiedere perdono a Dio. E se noi non
sappiamo perdonare, chiediamo in fondo che anche Dio non
ci perdoni.
Commentando
questa parte del Padre Nostro sia Lutero che Calvino dicono che il
nostro saper perdonare non è certo la causa del perdono di Dio, ma
piuttosto un segno – Lutero dice un distintivo
- del fatto che siamo stati perdonati. Il nostro perdonare nasce dal
perdono di Dio.
Il
nostro perdonare nasce dal perdono di Dio, è un frutto, una
conseguenza del suo perdono. Una conseguenza necessaria: dal momento
che Dio ci ha perdonati, vuole
che anche noi perdoniamo. Anche se il nostro perdono non è certo
uguale a quello di Dio. Il nostro perdono può consistere nel non
serbare rancore, nel non provare rabbia o odio nei confronti di chi
ci ha fatto del male. Mentre solo il perdono di Dio è in grado di
cancellare il debito.
Non
si vive di solo pane. Dio sa che si vive anche e soprattutto di
relazioni e dunque di perdono, che è necessario se si vuole evitare
di vivere nel rancore, nella rabbia o – peggio – nell’odio.
Dio
ha fatto il primo passo, donandoci in Cristo il suo perdono e
invitandoci a vivere il suo perdono nei confronti del prossimo,
insegnandoci a chiedere e a donare perdono.
Con
questa richiesta del Padre
Nostro chiediamo
a Dio di continuare a darci il suo perdono e continuare a insegnarci
a perdonare, per ricominciare ogni giorno in modo nuovo la nostra
vita.
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