venerdì 31 ottobre 2008

R come RIFORMA


Riforma
Le chiese evangeliche celebrano l'inizio 
della Riforma protestante

Roma (NEV), 29 ottobre 2008 - "Proprio oggi, in questo momento di grave crisi morale, economica ed ambientale, Lutero è molto attuale". Lo ha detto Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), in occasione della "Festa della Riforma" che il prossimo 31 ottobre viene celebrata in ambito protestante. La data ricorda l'affissione, da parte del monaco agostiniano Martin Lutero, delle 95 tesi contro le indulgenze sul portone della chiesa del castello di Wittenberg in Germania, avvenuta il 31 ottobre 1517. Questa infatti la data che tradizionalmente ha dato inizio al processo definito dalla storia appunto come Riforma protestante.
"Lutero è oggi attuale perché ha riportato il centro della fede su Dio - ha continuato Maselli -, valore assoluto, emblema di una giustizia non dipendente dalla fallibilità umana. Dio, il solo giusto, per Lutero rende giusti gli uomini e le donne che credono in Cristo. Vi è così un'etica della responsabilità che non ammette utilitarismi. Con Lutero si apprende anche che il lavoro è un atto di culto esattamente come la preghiera. Nasce così un'etica del lavoro e viene abolita qualsiasi distinzione degli uomini nei confronti di Dio. Dobbiamo anche considerare la Riforma come 'stato permanente' della chiesa, che ha trovato nei secoli nuovi tipi di Riforma oltre che la luterana". 
Tra domenica 26 ottobre e domenica 2 novembre le chiese evangeliche in Italia dedicano il culto domenicale all'inizio della Riforma. La rubrica televisiva "Protestantesimo" (RAIDUE), a cura della FCEI, alle ore 10.05 manda in onda il "Culto della Riforma" dalla chiesa valdese di Pomaretto (TO) nelle valli valdesi, con la predicazione del pastore Sergio Manna. Mentre il "Culto evangelico" su Radiouno, sempre a cura della FCEI, alle 7.30 ospita per l'occasione la predicazione di Domenico Maselli sul testo di Abacuc: "Il giusto vivrà per fede".


Per informazioni:
Agenzia NEV - Notizie Evangeliche
Federazione delle chiese evangeliche in Italia
tel. 06/48.25.120
fax 06/48.28.728
e-mail: Agenzia Stampa NEV


Riforma e Libertà


Il Lutero prigioniero alla Wartburg:
riflessioni sulla libertà

I lunghi mesi di prigionia dopo la scomunica e l'intervento alla Dieta di Worms
L'operosissimo lavoro in un periodo di incertezza e smarrimento
La liberazione per grazia


Nel difficile periodo che Lutero trascorse nella fortezza della Wartburg, il suo pensiero ricevette, dopo una complessa evoluzione, una sistemazione definitiva: entrambe furono operate sulla base di quello che per lui era il solo criterio valido, l'armonizzazione con l'evangelo, ossia con il principio di gratuità della salvezza.
Dalla quarta di copertina:
Scomunicato dal papa e messo al bando dall'imperatore, dal maggio 1521, per dieci mesi, Lutero rimase nascosto nella fortezza della Wartburg, lontano dal tumultuoso sviluppo degli eventi messi in moto dalla sua iniziativa riformatrice, precisando sempre meglio i temi della sua teologia.
Dall'analisi delle lettere che in quei mesi di isolamento lo tennero in contatto con l'esterno, emerge preponderante il tema della libertà.
Perdonato e salvato da Dio gratuitamente, senza dover dare nulla in cambio di quel perdono, il cristiano è veramente libero. Libero dal ricatto del clero, che non può più imporgli le sue condizioni per fare da mediatore tra lui e Dio; libero dal potere politico, che non ha giurisdizione sulla sua coscienza; libero da se stesso e dal suo peccato, che non ha più dominio assoluto sul suo pensiero e le sue scelte.
È questo lo sfondo teologico dal quale irrompe un'idea di libertà che contribuisce a fondarne il significato moderno e che comincia a rappresentarla in una visione destinata a segnare la coscienza della storia europea.
"In quest'ampia monografia c'è una proposta interpretativa forte che affronta in modo vivo e originale i temi fondamentali dell'opera e del pensiero di Lutero in un momento cruciale della sua vita e della storia europea."

Adriano Prosperi


tratto dal sito: www.claudiana.it
in data: venerdì, 31 ottobre 2008, ore 01.55.

Un classico per studiare Lutero


Un esemplare studio biografico:
il Lutero giovane di Miegge

Una biografia che ha avuto consenso ed eco vastissimi
Un'opera fondamentale per la comprensione di Lutero
La crisi spirituale del monaco di Wittenberg e le motivazioni più profonde della Riforma


Riedizione dell'opera tuttora fondamentale per la ricostruzione della figura del grande Riformatore tedesco – in particolare rispetto agli anni che vanno fino alla Dieta di Worms – pubblicata nel 1947 da Claudiana e riproposta nel 1964 da Feltrinelli con il titolo Lutero giovane.
Il volume è arricchito da una nuova bibliografia aggiornata su Lutero curata da Paolo Ricca.
Dalla quarta di copertina:
Uscita presso Claudiana nel 1946 e ripubblicata da Feltrinelli nel 1964 con il titolo Lutero giovane, l'opera di Miegge qui riproposta – che ebbe consenso ed eco vastissimi – è tuttora fondamentale per la comprensione di Lutero nel periodo che va dalla crisi conventuale alla ribellione aperta e alla rivoluzione religiosa, gli anni, insomma, che vanno fino alla dieta di Worms del 1521.
Concentrando l'analisi sulla natura spirituale della crisi di Lutero, Giovanni Miegge attinge ai motivi più seri e profondi del messaggio della Riforma e fornisce una perfetta chiarificazione delle questioni poste dal suo pensiero teologico.
Con un'esposizione di grande limpidezza, Miegge illustra le complesse articolazioni delle idee e dei problemi che furono alla base del moto suscitato dal monaco di Wittenberg nonché l'evoluzione ulteriore del suo pensiero e il rapporto tra la sua azione di riformatore religioso e gli eventi politici dell’epoca.




L'autore
Giovanni Miegge, 1900-1961, massimo teologo protestante italiano del Novecento, insegnò alla Facoltà valdese di Teologia di Roma e fondò la rivista "Protestantesimo".


tratto dal sito: www.claudiana.it
in data: venerdì, 31 ottobre 2008, ore 01.50.

LA DATA DI NASCITA DEL PROTESTANTESIMO


31 ottobre 1517
di Giorgio Tourn

La data del 31 ottobre rappresenta per le chiese evangeliche una ricorrenza molto significativa.
L’affissione delle tesi di Lutero a Worms ha segnato l’inizio del movimento della Riforma protestante. E’ evidente che esse abbiano visto in quel fatto l’avvio di un cammino di riflessione e di fede che ha condotto alla loro identità; in qualche modo la data della loro nascita. 
Del tutto diversa naturalmente l’ottica con cui gli storici e teologi di parte cattolica hanno considerato questo avvenimento. Per secoli quel giorno è parso loro essere la massima sciagura per la chiesa; mettendone in crisi l’unità che ne aveva costituito sino allora la caratteristica, ne aveva compromesso l’esistenza stessa e la predicazione. In realtà ciò che si era perso (se si tratta di una perdita!) non era affatto l’unità ma solo l’obbedienza a Roma. Non la si è persa perché l’unità è quella che crea Gesù Cristo con la sua Parola e il suo Spirito e il 31 ottobre 1517 Cristo non è stato mandato in pensione dagli evangelici. La chiesa, composta dai credenti, cioè dai suoi discepoli continua a vivere nel mondo ed a fondarne l’unità resta sempre il Vangelo. I cristiani che hanno accolto il messaggio di Lutero non hanno lacerato la “veste inconsutile di Cristo”, come si amava dire facendo allusione al racconto della crocifissione dove i legionari romani si spartiscono i vestiti di Gesù ma non tagliano la sua tunica. E neppure hanno perso la fede o rinunciato alla testimonianza dell’evangelo, che è rimasta presente in tutti i paesi europei come prima, anzi sotto alcuni aspetti più di prima.
La Riforma: una catastrofe, è stata per lungo tempo l’immagine che il cattolicesimo romano ha coltivato e diffuso, associata naturalmente al ritratto del Lutero ribelle, beone, immorale, egocentrico. Pur non essendo del tutto superato questo atteggiamento di rifiuto, anzi di ripugnanza, per Lutero e il suo 31 ottobre è venuta crescendo una timida simpatia per il frate agostiniano. Nel clima di apertura al mondo e ai suoi problemi del Vaticano II anche la vicenda del 1517 è stata vista in una luce diversa anche se ambigua (come d’altronde era tutto il dibattito conciliare).
Quale la tesi? Segnando la fine dell’Europa cristiana, unita da secoli nella diarchia papa-imperatore, la Riforma ha dato avvio al mondo moderno: alla comunità ha sostituito l’individuo (cioè l’egoismo = il capitalismo di Wall street), all’obbedienza la libertà (cioè l’anarchia), al rispetto delle regole la discussione (cioè la licenza = il femminismo, il testamento biologico) alla religione lo spirito critico (cioè il laicismo ateo). In realtà (tra parentesi) va sempre ricordato che il mondo moderno non l’hanno fatto i protestanti ma la scienza, la filosofia, la politica. 
Ammettendo per un istante che essi siano all’origine della modernità, comunque ci abbiano vissuto senza complessi, la loro esperienza è interessante e utile da studiare per affrontare l’aggiornamento della chiesa alla modernità, prendere esempio, per quel tanto che serve, dal 31 ottobre per rispondere alla sfida dell’oggi. Questa era l’ottica con cui parecchi padri conciliari guardavano al fenomeno protestante: pur disapprovandole sotto il profilo teologico quelle comunità di cristiani ben intenzionati (che chiesa non sono mai state!) possono servire alla causa; come gli utili idioti per la causa di formazioni politiche di buona memoria.

Tutti ricordano il clima degli anni 1982-83 per le celebrazioni della nasciata di Lutero, la scoperta della sua spiritualità, del suo slancio profetico; non si andava oltre il Lutero della crisi conventuale, del commento ai Salmi, quello della liberta cristiane e della cattività babilonica restava nell’ombra ma non era più l’uomo divorato dalla concupiscenza; farlo santo non era pensabile ma grande figura della cristianità, maestro di fede per chi volesse pensare la fede nell’oggi, cioè nel mondo che aveva contributo a creare o a disfare. Dopo la catastrofe il ricupero.
Il Vaticano II è ormai lontano, appartiene al passato e il cattolicesimo odierno non ha ancora risolto il problema di fondo riguardo a quell’avvenimento, non sa cosa farne: seppellirlo non può, riesumarlo, non vuole, riciclarlo è difficile. Per attenerci al nostro tema un fatto è chiaro: il Lutero degli anni ’80 si è dissolto nelle nebbie del neo papalismo di marca polacca (che non lo conosceva) o tedesco (che lo conosce troppo bene). Si è dissolto come tutta la Riforma e la sua problematica. Per Roma il protestantesimo non esiste più, come ben ha illustrato il prof. Ferrario; anzi non è mai esistito.

In questo atteggiamento si assommano due elementi caratteristici del cattolicesimo come fenomeno culturale. Il primo è la sua assenza di coscienza storica. Il dato che va posto in premessa è infatti questo: la chiesa romana non è solo il corpo mistico di Cristo, entità non ben definita in dialettica fra la concretezza del magistero e le dinamiche dello Spirito, è un fenomeno culturale, come tutti i fatti della storia, non è solo collocato nella storia è storico. Per Roma invece esistono solo i dogmi, i valori irrinunciabili, le liturgie, cioè l’assoluto dell’ontologia, e di conseguenza l’obbedienza. La storia non è mai piaciuta perché studiarla significa capire i condizionamenti della realtà. La vita della chiesa è per una parte opera dello Spirito, (in che percentuale però lo sa solo Dio!) e questo lo credono anche gli evangelici, ma per un’altra parte, probabilmente ben maggiore, è frutto delle vicende umane, degli interessi di potere (i papi del Cinquecento e il loro nepotismo) ed economici (da Marcinskus all’8 per mille) della la politica (lo stato della Chiesa e Pio XII), delle paure. La Riforma è stata una delle pagine della storia cristiana più intrisa di storia profana e i protestanti ne sono consapevoli.

Leggere la propria storia significa vivere nel proprio tempo, il 31 ottobre è un avvenimento della fede che non solo si colloca nella storia e non in cielo ma non è neppure come i cori degli angeli puro e spirito è ambiguo, contraddittorio, discutibile come tutto ciò che fa l’uomo. Il cattolicesimo moderno non sa collocarsi nella modernità perché non accetta di essere storico, come dimostra la tormentata vicenda di Pio XII che deve essere sottratto alla storia e trasferito sugli altari! Un uomo, un credente carico di responsabilità, di dubbi, di ambiguità (che nessuno conoscerà mai, eccetto il Signore) che va lasciato nella contingenza della condizione umana, nella storia del XX secolo. 
Ma a determinare il silenzio di Roma sul 31 ottobre e il Protestantesimo è anche un fatto tattico; è la lezione dei gesuiti, grandi maestri dell’educazione e della comunicazione: il nemico non si distrugge con la polemica ma col silenzio; parlare bene o male di una persona o un movimento lodarlo o criticarlo ottiene lo stesso risultato: resta sulla scena e significa che ne tieni conto, ignoralo del tutto e morirà lentamente nell’oblio. Il sistema ha sempre funzionato e forse si spera che funzioni ancora.

24 ottobre 2008

SULLE 95 TESI DI LUTERO SI PUO' LEGGERE:

Paolo Ricca - Giorgio Tourn, Le 95 tesi di Lutero e la cristianità del nostro tempo, Claudiana, 1998 

tratto dal sito: www.chiesavaldese.org

gli articoli del prof. Ferrario, citati nell'articolo di Tourn, sono 
stati pubblicati sul settimanale Riforma del 3 e del 10 ottobre 2008,
riportati sul sito: www.chiesavaldese.org
e in questo blog in data: martedì 14 ottobre 2008.

Per la SCUOLA

Legge Gelmini: le nostre preoccupazioni
di Maria Bonafede

Non sono un’insegnante e mio figlio è ormai all’università, tuttavia i recenti provvedimenti in materia scolastica fortemente voluti dal ministro Gelmini ed approvati dal Senato mi destano più di una preoccupazione. A poche ore dal voto parlamentare leggo delle dichiarazioni di piena soddisfazione del ministro della pubblica istruzione secondo cui finalmente "si torna alla scuola della serietà". Vedremo. Quello che abbiamo già visto è che, comunque si valutino i diversi aspetti del provvedimento, alla scuola verranno attribuite meno risorse: in tre anni 8,7 miliardi in meno (dati ufficiali ricavati dal Piano programmatico relativo al decreto n. 133) con un taglio drastico a partire già dal prossimo, quando si prevede un abbattimento delle risorse di oltre quattro miliardi di euro.
Per una minoranza come quella valdese, la scuola pubblica è stata un luogo privilegiato di integrazione e di valorizzazione di alcuni contenuti di laicità propri della Costituzione repubblicana. Non era scontato. Nell’Ottocento ed ancora nel primo Novecento, così come altre minoranze che avevano sofferto a causa di persecuzioni e discriminazioni, soprattutto nelle "loro" Valli del Piemonte anche i valdesi disponevano di una rete di scuole private e confessionali.

Ma nel secondo dopoguerra la scelta netta e strategica fu quella di assumere la centralità della scuola pubblica: alcuni istituti valdesi rimangono a tutt’oggi in quanto rispondono a specifiche esigenze di una comunità locale. Li gestiamo e li finanziamo nella convinzione che possano svolgere un ruolo utile e talvolta prezioso sul piano dell’innovazione didattica e dell’apertura a specifiche esigenze del territorio – quello delle Valli valdesi come quello della periferia palermitana o dell’entroterra nisseno – ma sentendo al tempo stesso la scuola pubblica come luogo privilegiato di ogni integrazione culturale, sociale e religiosa: una "ricchezza di tutti" e quindi anche nostra.

Come protestante conosco bene le ipoteche confessionali che condizionano la scuola italiana e che ne minano il carattere laico e pluralista: da sempre critici nei confronti di un insegnamento religioso confessionale cattolico, abbiamo anche respinto l’idea di aggiungervi altri ed omologhi percorsi confessionali. Un’ora di religione valdese o induista accanto a un’ora di religione cattolica non fa la scuola più pluralista. Semmai la fa più confessionale e frammentata. Discorso molto diverso sarebbe un insegnamento aconfessionale di storia delle religione, concepito in chiave scientifica e comparativa. Ma questa ipotesi, per quanto suggestiva, ad oggi sembra incontrare drastiche opposizioni da parte di chi gestisce la collocazione lavorativa di circa trentamila docenti.

Oggi, però, il problema è un altro. E’ che "meno scuola pubblica" significa anche meno spazi comuni nei quali crescere, incontrarsi e imparare a convivere. Significa meno spazi di laicità nei quali maturare nel confronto e nel dialogo con l’altro da noi. Significa anche meno cultura civile, quel legame di valori condivisi che costituisce un fondamentale elemento di coesione per ogni società. Per alcuni piccoli paesi delle Valli valdesi – salvo un benemerito intervento economico da parte della Regione Piemonte, per altro già annunciato – potrebbe significare la chiusura di scuole di montagna che costituivano un prezioso presidio di cultura e di aggregazione sociale.
Con meno risorse, con una maestra unica piuttosto che con un team di persone diverse ciascuna delle quali sia in grado di offrire il meglio di sé ai suoi studenti, non è più povera solo la scuola. E’ più povera anche la società.

30 ottobre 2008

tratto dal sito: www.chiesavaldese.org

giovedì 30 ottobre 2008

Valdesi a Biella - Ottobre 2008

Per leggere l'ultimo numero qui

mercoledì 29 ottobre 2008

INCONTRO ECUMENICO

dal sito: www.monasterodibose.it

Simposio ecumenico internazionale

Una nube di testimoni
Opportunità per una commemorazione ecumenica


Monastero di Bose, 29 ottobre-2 novembre 2008


Comunicato stampa

I santi e i martiri – o, più semplicemente, i “testimoni” cristiani che hanno condotto una vita esemplare – possono contribuire a unificare le Chiese nelle quali sono nati? Un gruppo internazionale di esperti affronterà questo e altri interrogativi durante un Simposio organizzato congiuntamente dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) e dal Monastero di Bose.

Nella storia della Chiesa non sono mancati uomini e donne che hanno condotto una vita cristiana esemplare, arricchendo così il patrimonio del movimento ecumenico. Il Simposio internazionale, intitolato “Una nube di testimoni: opportunità per una commemorazione ecumenica” che si terrà a Bose dal 29 ottobre al 2 novembre 2008, cercherà di determinare come la memoria comune di questi testimoni della fede può contribuire alla crescita di una spiritualità ecumenica. Proposte concrete verranno così offerte alle Chiese per la loro vita liturgica.

Circa ottanta teologi e responsabili di Chiese ortodosse, cattoliche, protestanti, anglicani e pentecostali di fama internazionale sono attesi al Simposio. Tra i relatori segnaliamo il priore di Bose, fr. Enzo Bianchi – che presenterà l’approccio biblico alla tematica – e Mary Tanner, presidente del CEC per l’Europa. L’arcivescovo Rowan Williams di Canterbury ha fatto pervenire una riflessione che verrà letta a suo nome.

Oggi si sta prendendo sempre più coscienza che i testimoni della fede, contemporanei come del passato, non appartengono solo a confessioni cristiane distinte, ma rappresentano un’eredità comune e una fonte di ispirazione per l’insieme dei cristiani e per il mondo intero. Il Simposio intende far conoscere la ricchezza della santità e del martirio come sono stati e sono vissuti nelle diverse tradizioni e contesti ecclesiali. Emergerà in tal modo che questa consapevolezza può contribuire alla riconciliazione delle memorie e alla reciproca comprensione tra i cristiani.

Durante il Simposio una commemorazione ecumenica dei testimoni cristiani verrà celebrata ai vespri del sabato 1° novembre, festa di Tutti i Santi nella tradizione cristiana occidentale.

Il Simposio è parte del progetto Una nube di testimoni promosso dalla Commissione Fede e Costituzione del CEC in collaborazione con il Monastero di Bose.


Altre informazioni e programma del Simposio:
convegni@monasterodibose.it

tel. (+39)015.679264


tratto dal sito: www.monasterodibose.it
in data: mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 20.45

GIOVANNI CALVINO: LA VITA



GIOVANNI
CALVINO

(1509-1564)

LA VITA
SOLI DEO GLORIA
Giovanni Calvino nasce a Noyon (Piccardia – Francia) il 10 luglio 1509. Studia nella sua città natale e successivamente a Parigi (Collége de la Marche, Collége Montaigu).
Nel 1528 abbandona gli studi teologici e per volontà del padre si iscrive alla facoltà di legge di Orléans, in seguito si trasferisce a Bourges. Nel 1531 è a Parigi, frequenta i corsi di lettere al “Collége Royal de France”; nel 1532 pubblica la sua prima opera, un commento a “De clementia” di Seneca.
Il 1° novembre 1532 il Rettore dell’Università di Parigi Nicolas Cop inaugura l’anno accademico con un sermone “luterano” scritto dal giurista Giovanni Calvino. Entrambi, per evitare gli arresti, fuggono. La rottura con il cattolicesimo romano è inevitabile; nel 1534 Giovanni Calvino rinuncia ai benefici ecclesiastici del capitolo della Cattedrale di Noyon.
Nel 1535, Giovanni Calvino può stabilirsi a Basilea e redigere il suo capolavoro teologico “Christianae religionis institutio” (1536) (1° edizione italiana completa “Istituzione della religione cristiana” in volgare italiano tradotta da Giulio Cesare Pascali, Ginevra 1557; 2° edizione italiana completa a cura di Giorgio Tourn, 2 volumi U.T.E.T., Torino 1971).
In quest’opera, summa del pensiero calviniano, emerge la competenza teologica di Giovanni Calvino unita al rigore metodologico tipico di una forma mentis educata al diritto romano. Il sistema teologico di Calvino è costruito come una rete. I nodi importanti sono: la sovranità di Dio, la giustificazione dell’uomo peccatore, la centralità di Cristo, la guida dello Spirito Santo, la dottrina della Chiesa invisibile. Il Riformatore Guglielmo Farel (1489-1565) ne intuisce il valore e lo convince nel luglio 1536 a rimanere a Ginevra. La città ha bisogno di un fine teologo e di un capace organizzatore. Farel e Calvino tentano inutilmente di introdurre a Ginevra una formazione teologica permanente (tutti i giorni esegesi delle Scritture) e una chiara disciplina ecclesiastica. I magistrati della città esiliano Farel e Calvino nel 1538. A Strasburgo Giovanni Calvino sposa Idelette de Bure (muore prematuramente nel 1549). Nel 1542 avranno un figlio, Giacomo, che muore pochi giorni A Strasburgo, nel 1539, esce la versione latina della
seconda edizione della “Institutio”. Lo stesso anno il Cardinale Jacopo Sadoleto scrive una lettera alla città di Ginevra, invitandola a ritornare in seno alla Chiesa Romana. I magistrati invitano Calvino a redigere una risposta, data la loro incompetenza teologica. Il 1° settembre 1539 la “Responsio ad Sadoleti epistolam” viene inviata all’eminente Cardinale. Calvino ricorda che, secondo le Scritture la vera Chiesa di Gesù Cristo, nella sua dimensione invisibile si fonda sull’elezione da parte di Dio, nella sua dimensione invisibile trae riscontro solamente nel Nuovo Testamento e non secondo le aggiunte delle tradizioni umane. Il 21 settembre 1540 i magistrati della Città di Ginevra chiedono al Riformatore di ritornare. Un anno dopo Calvino rientra definitivamente a Ginevra. Tra il 1541 e il 1542 pubblica opere teologiche fondamentali. Nel 1541 esce l’edizione francese dell’”Institutio” e due opere pastorali: Piccolo trattato della Santa Cena di Nostro Signore Gesù Cristo” e la versione aggiornata delle “Ordonnances ecclésiastiques”.
Queste ultime prevedono l’istituzione del Concistoro, assemblea dei pastori e rappresentanti delle magistrature, con incarico di esercitare la disciplina sulla condotta dei fedeli. Nel 1542 Calvino pubblica il “Catechismo della Chiesa di Ginevra” e il “Formulario delle preghiere e dei cantici ecclesiastici”. Nel 1559 Calvino fonda l’accademia di Ginevra e la 4° edizione ampliata della “Institutio”, la vita a Ginevra di Calvino fu segnata anche da momenti drammatici come la morte sul rogo di Michele Serveto. Nel 1903 gli abitanti di Ginevra riconobbero l’errore di Calvino con una confessione pubblica di peccatore e una targa sul luogo del martirio di Serveto. A Calvino si deve la prima evangelizzazione calvinista al di fuori dell’Europa, nella baia di Rio de Janeiro (1555-1575) ad opera di marinai ugonotti francesi. Consumato dal lavoro e dalla debolezza nel fisico, Giovanni Calvino muore il 27 maggio 1564..

(1) Prosegue

EUGENIO STRETTI

Sito internet da visitare in
tedesco, francese, inglese, spagnolo:
http://www.calvin09.org

tratto da: TEMPORANEA,
Anno 2 - numero 5 - ottobre 2008, p. 3;
redazione:
Chiesa Metodista di Genova Sestri
Chiesa Valdese di Genova Sampierdarena
Chiesa Valdese di Genova Centro
Chiesa Ispano americana


Il ritratto di Giovanni Calvino è tratto da: wikipedia.org
voce: 'Giovanni Calvino',
(mercoledì, 29 ottobre 2008, alle ore 16,40).

RELIGIONI: CHE TEMPO FA?


Tempi della città, tempi della fede

Un convegno svoltosi al Conservatorio di musica di Torino ha posto un problema centrale nell’organizzazione delle città e delle varie attività lavorative: il senso che le diverse confessioni religiose danno al tempo, o meglio, ai tempi, tempi di vita, tempi lavorativi, occasioni di festa e di celebrazioni religiose.

Sara Platone

Nel Tempio della musica, il Conservatorio torinese «Giuseppe Verdi», gli esponenti delle diverse comunità religiose cittadine hanno dato vita, lunedì 6 ottobre, a un convegno su «I tempi della città e i tempi delle religioni», un progetto nato dal rapporto tra il Comitato Interfedi e l’assessorato al Commercio e alle Attività produttive per cercare di cogliere le dinamiche di una città in rapido cambiamento.
Il convegno si è aperto con la lettura dell’articolo 3 della Costituzione italiana da parte dell’assessore al Commercio e Attività produttive Alessandro Altamura riguardo l’uguaglianza di tutti i cittadini, che ricorda come il compito della Repubblica sia anche quello di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
L’incontro a più voci ha dato ampio spazio sia alle spiegazioni teologiche e filosofiche dei tempi religiosi, sia a considerazioni pratiche su come armonizzare ritmi cittadini e scadenze religiose. A ogni relazione ha fatto seguito un intervallo musicale, a opera degli studenti del Conservatorio, che, disposti in ordine orario nell’auditorio, hanno eseguito diversi brani delle tradizioni religiose, scandendo con la musica il tempo della parola. Tra i brani eseguiti vale la pena segnalare la Cantata 106 di Bach dedicata al tempo di Dio.
Per la tradizione protestante si è ragionato sul cambiamento della concezione del tempo legata alla chiesa, notando come la riforma protestante abbia inciso anche sulle dinamiche temporali. La concezione di puntualità a esempio, nasce – ha detto il pastore Platone – nella Ginevra di Calvino, dove l’ozio è considerato disdicevole, perché il tempo è vissuto come un dono di Dio, che bisogna onorare. Il senso di responsabilità individuale che la Riforma ha fortemente coltivato si applica anche al trascorrere del tempo della vita. Oggi, la situazione è molto diversa, bisogna saper trovare nuove risposte: se le dinamiche economiche impongono ritmi sempre più veloci di lavoro e di efficienza, ecco allora il bisogno di rallentare, per poter vivere in modo pieno il proprio tempo e potersi così anche dedicare alla spiritualità.
Sulla stessa linea di pensiero, gli esponenti del cristianesimo cattolico romano don Aldo Bertinetti e della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (leggi: Mormoni) Sergio Griffa, sostenitori anch’essi dell’importanza del dedicare spazio ai momenti religiosi, che non sono solo necessariamente di contemplazione spirituale, ma possono essere dedicati ad attività di aiuto verso il prossimo. La domenica, come spazio per Dio, coinvolge cattolici, ortodossi, protestanti.
Per il rabbino Alberto Somekh, il padre ortodosso Lucian Rosu e l’islamico Umar esistono invece tempi predefiniti dalla religione, che a essa vanno dedicati, da rispettare. In particolare il tema ebraico-biblico del shabbat rappresenta un elemento fondante nel rapporto con Dio. Concezione completamente differente hanno i buddhisti e gli induisti, rappresentati rispettivamente dai monaci Dai-Do Strumia e da Svanimi Hamsananda Giri, per i quali il tempo non ha una dimensione lineare e misurabile, ma piuttosto circolare, ciclica, che si ripete e nella quale siamo immersi. Passato, presente e futuro sono un’unica essenza, all’interno della quale noi viviamo: noi siamo il feto di ieri, l’uomo di oggi e il cadavere di domani insieme. Ne consegue che ogni istante, irripetibile, è completo e perfetto in se stesso, e in quanto tale va valorizzato. Secondo questa visione (legata anche all’idea della reincarnazione) non c’è la necessità di programmare un tempo del riposo, perché qualsiasi esperienza, lavorativa o spirituale, va vissuta in pieno, con gioia, senza proiettarsi su che cosa avverrà appena terminata.
Queste riflessioni intorno al tempo verranno, prossimamente, raccolte negli atti del convegno, nei quali si potranno trovare in modo più dettagliato le spiegazioni teologiche, storiche e filosofiche che stanno alla base delle differenti posizioni religiose. Frutto di questo convegno sarà anche un pratico libricino, pensato soprattutto per commercianti e datori di lavoro, che indicherà un calendario preciso delle varie scadenze del pluralismo religioso in città e una breve spiegazione delle festività. Per essere chiari: se una badante romena vuole osservare dei tempi di digiuno legati alle pratiche religiose ortodosse, o un lavoratore marocchino islamico intende osservare il riposo del venerdì e il Ramadan, piuttosto che la festa induista lungo il fiume per non parlare del sabato ebraico (ma anche quello avventista in casa evangelica), bisogna informare la «controparte» in vista dell’ottenimento di permessi motivati sul lavoro. È un piccolo passo ma necessario in una città come Torino, dove soltanto gli ortodossi romeni sono più di trentamila e dove la fine del Ramadan è stata recentemente festeggiata al PalaIsozaki con più di diecimila persone di cui più di un terzo italiani convertiti all’Islam, seconda religione in Italia. C’è chi cresce e c’è chi diminuisce. E tutto questo cambia la realtà del nostro vivere comune.

tratto dal settimanale RIFORMA,
Anno XVI - numero 41 - 24 ottobre 2008, p. 5;
e dal sito: www.riforma.it
in data: mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 13.40.

Il Sacramento della CENA DEL SIGNORE

tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca
del settimanale RIFORMA:

Il «giusto uso» della Cena del Signore

Qual è il giusto uso della Cena del Signore? Attraverso la Cena i credenti sono costituiti in un corpo unico che è la chiesa, corpo di Cristo (Efesini 1, 23-2, 16) cui hanno scelto di appartenere con il battesimo. Partecipare alla Santa Cena quindi significa essere membri della chiesa nella quale il credente riceve i segni della presenza di Cristo attraverso lo Spirito Santo. Partecipare alla Cena significa una precisa responsabilità di fronte a Dio e alla società: «… chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore» (I Corinzi 11, 29). La missione della chiesa è di chiamare tutti intorno a quel tavolo sotto l’autorità di Gesù Cristo, malgrado e nonostante il mondo?
Elena Pezzini – Lodi


Questa lettera solleva due belle e ardue domande, una all’inizio («qual è il giusto uso della Cena del Signore?») e una alla fine («la missione della chiesa è di chiamare tutti intorno a quel tavolo sotto l’autorità di Gesù Cristo?»), mentre al centro c’è un’affermazione che fa da cerniera tra le due domande, ma al tempo stesso ne solleva essa stessa parecchie. L’affermazione è questa: «partecipare alla Santa Cena significa essere membro della chiesa nella quale il credente riceve i segni della presenza di Cristo attraverso lo Spirito Santo». Cominciamo da questa affermazione, poi esamineremo le domande.

1. L’affermazione della nostra lettrice è molto seria perché mette giustamente in luce due fatti importanti. Il primo è che ogni celebrazione della Cena avviene in una comunità cristiana concreta, che la vive e interpreta in un certo modo, conferendole una particolare fisionomia e significato: un’eucaristia cattolica romana e una Cena zwingliana sono vissute entrambe, dai rispettivi fedeli, come «Cena del Signore», ma non sono certo la stessa cosa.
Il secondo fatto importante messo in luce dalla nostra lettrice è che c’è un nesso reale tra il pane-corpo di Cristo nella Cena (Lutero lo chiamava Leibbrot = lett. «corpo-pane») e la chiesa-corpo di Cristo che ogni comunità cristiana è, come dice l’apostolo Paolo: «Siccome v’è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane» (I Corinzi 10, 17). Qui comunità eucaristica (cioè quella raccolta intorno al tavolo della Cena) e comunità ecclesiale (cioè la chiesa locale nella quale questo avviene) sembrano sovrapporsi e identificarsi: l’unico pane costituisce i molti che lo ricevono in un’unica comunità; la condivisione del «pane-corpo» della Cena crea tra i partecipanti un legame tale da renderli un unico corpo. Questo dice, mi sembra, l’apostolo Paolo.

La nostra lettrice ne deduce che «partecipare alla Santa Cena significa essere membri della chiesa» in cui la si celebra: l’«unico corpo» frutto dell’«unico pane» è la comunità cristiana concreta nella quale la Cena ha luogo e di cui fanno parte tutti quelli che ricevono l’«unico pane». Chi partecipa alla Cena in una comunità «fa corpo» con quest’ultima, diventandone «membro».
È questa deduzione che francamente non mi convince e che mi sembra faccia dire a Paolo qualcosa che Paolo non dice. Per parte mia penso che partecipando alla Cena in una comunità particolare (che può essere la mia o una diversa dalla mia) affermo due cose. Anzitutto affermo la mia appartenenza a Cristo e al suo corpo, che però non è semplicemente la comunità particolare nella quale ricevo il pane e il vino, ma è la chiesa di Dio sparsa per il mondo, i cui confini (se ci sono) Egli solo conosce.
In secondo luogo affermo la mia comunione (che può essere parziale o completa) con la comunità concreta nella quale partecipo alla Cena. Questa comunione consiste nella comune confessione di Cristo Signore e Salvatore e nella fraternità cristiana che essa suscita. Ma essere in comunione parziale o completa con una comunità non vuol dire esserne membro, nel senso di una appartenenza formale e giuridica. Posso a esempio, come valdese, partecipare alla Cena in una chiesa battista, senza per questo diventare battista – e viceversa.

Cristo non è battista, né valdese, né luterano, né cattolico romano, né anglicano, e neanche lo è il suo corpo, né quello della Cena né quello che ogni chiesa è. È vero che il corpo-pane e il corpo-chiesa sono strettamente collegati, ma non sono identici, e la chiesa di cui siamo membri non è solo quella locale ma quella universale, e l’appartenenza a Cristo ci mette in comunione con tutto il suo corpo, non solo con la comunità concreta di cui facciamo parte. Occorre qui ribadire – perché è facile dimenticarlo – che la Cena è del Signore, non della chiesa, di nessuna chiesa particolare e di nessuna confessione. In ogni chiesa io la ricevo da Lui, tramite la chiesa, questo sì, ma non dalla chiesa.
Nella Cena, ogni chiesa riceve, non dà: Gesù è l’invisibile, ma reale, donatore. La Cena è sua, non nostra. Accogliendoci alla sua mensa Cristo ci consacra come membra sue e del suo corpo che è la chiesa universale. L’appartenenza alla chiesa universale ci dà la libertà di partecipare alla Cena in ogni chiesa cristiana particolare, indipendentemente dall’esserne membro oppure no. La cosa decisiva non è essere membro (nel senso di essere iscritti a una chiesa e farne concretamente parte), ma è essere in comunione con tutti coloro che nel mondo confessano Cristo come Signore e Salvatore.
In questa comunione e sulla sua base partecipiamo alla Cena là dove ci viene offerta nel Suo nome (e non nel nome di una chiesa), perché riconosciamo in quell’offerta l’invito di Cristo stesso – senza per questo diventare membri della chiesa particolare in cui questo accade. Ecco perché oggi in molte chiese evangeliche si pratica l’«ospitalità eucaristica» (che la chiesa cattolica e le chiese ortodosse ostinatamente rifiutano), cioè si accolgono alla mensa del Signore credenti appartenenti ad altre chiese e confessioni, appunto per esprimere il fatto che la comunione che il Signore offre alla sua mensa è più grande della comunione che ogni chiesa particolare può realizzare. Cristo cioè offre di più di quello che può offrire una singola chiesa, e ogni chiesa dovrebbe quanto meno non essere di ostacolo alla manifestazione della più grande e più inclusiva comunione di Cristo.

2. Possiamo ora affrontare le due domande.
[a] Alla prima: «Qual è il giusto uso della Cena?» risponderò ricordando che la più antica confessione di fede evangelica, l’Augustana del 1530, scritta da Melantone, dedica un articolo (il 13°) all’«uso dei sacramenti», in cui afferma che essi – il Battesimo e la Cena – sono «segni e testimonianze della volontà di Dio verso di noi» – che è la volontà di salvarci e rinnovarci. E Calvino chiama i sacramenti «pilastri della nostra fede» (che peraltro – precisa il Riformatore – è fondata sulla Parola di Dio), e ancora «specchi nei quali possiamo contemplare le ricchezze della grazia di Dio» (Istituzione IV, 14,6). Se è così, se cioè i sacramenti hanno un così grande valore, ed effettivamente lo hanno, essi non dovrebbero mancare in nessun culto cristiano. Ogni domenica il culto dovrebbe iniziare con il Battesimo e terminare con la Cena. Un culto senza Battesimo e senza Cena è monco.

Per quanto concerne in particolare il «giusto uso» della Cena come chiede la nostra lettrice, esso è quello che avviene nella fede, e questo concretamente significa: (1) nella gioia di essere invitati dal Cristo risorto e vivente alla sua mensa; (2) nella consapevolezza che non ne siamo degni, ma siamo affamati e assetati della giustizia di Dio, cioè di essere rivestiti con il manto della giustizia di Cristo, «che è venuto per cercare e salvare ciò che era perito» (Luca 19, 10); (3) nella certezza che il nostro peccato è stato cancellato nella morte di Cristo; (4) nella gratitudine festosa per la salvezza e la grazia di cui siamo resi partecipi nella fede e nella Cena; (5) nel desiderio di migliorare la qualità della nostra vita cristiana; (6) nella coscienza della fraternità universale dei credenti in Cristo e quindi di una comunione che sconfina oltre tutte le frontiere che li separano; (7) nell’impegno ad abbattere le barriere che dividono l’umanità, lacerando il suo corpo e causando innumerevoli sofferenze; (8) lavorando affinché il pane quotidiano sia condiviso nell’umanità come nella chiesa lo è il pane della Cena: condividendolo, si moltiplica; (9) pregando con l’invocazione Maranà tha = «Vieni, Signore!» (I Corinzi 16, 22); (10) aspettando il banchetto celeste con tanti invitati inattesi: «ne verranno da oriente e da occidente, e da settentrione e da mezzogiorno, e si porranno a mensa nel regno di Dio» (Luca 13, 29).

[b] La seconda domanda è: «La missione della chiesa è di chiamare tutti intorno a quel tavolo sotto l’autorità di Gesù Cristo?». La risposta è «sì» – un «sì» pieno e rotondo, senza «se» e senza «ma». Tutti sono invitati, non dalla chiesa, ma da Gesù stesso: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, ed io vi darò riposo» (Matteo 11, 28). Davvero tutti sono invitati? Anche Giuda, che già aveva venduto Gesù per trenta denari? Sì, anche Giuda. Anche Pietro, che di lì a poco lo rinnegherà tre volte? Sì, anche Pietro. Anche gli altri discepoli, che tutti, senza eccezioni, si daranno alla fuga e lasceranno Gesù solo? Sì, anche loro. Gesù celebra la prima Cena della storia – la Cena modello per tutti i tempi – con Giuda e gli altri piccoli Giuda che sono i suoi discepoli (noi!), cioè appunto con i peccatori e i perduti.

Le chiese – molte chiese – non hanno seguito l’esempio di Gesù. Le chiese ortodosse non invitano tutti, ma solo gli ortodossi. La chiesa cattolica romana non invita tutti, ma solo i cattolici. Le assemblee dei Fratelli non invitano tutti, ma solo i cristiani battezzati da adulti. E così via. Pochi giorni or sono l’attuale pontefice ha dichiarato che possono partecipare alla Cena solo i «puri» e i «senza peccato» – ha detto proprio così, forse senza rendersi conto che è vero proprio il contrario, e cioè che la Cena è il banchetto della grazia offerta non ai giusti, ma agli ingiusti, non ai «senza peccato» (vorrei proprio sapere dove sono), ma ai peccatori – certo non ai peccatori impenitenti, ma a quelli che, sapendo di essere peccatori, si affidano alla misericordia di Dio come il pubblicano della parabola in fondo al tempio. Di Gesù dicevano i suoi avversari: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro» (Luca 15, 2). Ecco, la Cena è proprio questo: Gesù che accoglie i peccatori e mangia con loro. Chi è «puro» e «senza peccato» non ha bisogno di Cristo né della sua Cena. Mangi pure per conto suo, cibandosi della sua purezza illusoria, e lasci Cristo a noi peccatori.

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 4 luglio 2008

citazione dal sito: www.chiesavaldese.org
in data: mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 13,15.

PER LA CONVIVENZA TRA DIVERSI


Perosa inaugura il monumento

L’esilio dei valdesi

Sabato 18 ottobre a Perosa Argentina è stato inaugurato un monumento che ricorda l’esilio forzato di migliaia di valdesi alla fine del 600 dalla val Chisone verso la Germania. All’inaugurazione hanno partecipato oltre al vicemoderatore della Chiesa valdese, Eugenio Bernardini, e al vescovo di Pinerolo, Piergiorgio Debernardi, anche Dieter Hofmann il borgomastro di Rutesheim/Perouse città tedesca fondata proprio dai valdesi emigrati dalla val Chisone.


Davide Rosso


Un monumento per ricordare l’esilio dei valdesi fuggiti alle persecuzioni a fine ‘600 dalla val Chisone è stato inaugurato sabato 18 ottobre a Perosa. Alla cerimonia hanno presenziato le autorità civili (il sindaco di Perosa Giovanni Laurenti, promotore dell’iniziativa, il presidente della Comunità montana Andrea Coucourde, i consiglieri regionali Marco Bellion e Giampiero Clement) e religiose (il pastore di Pomaretto Sergio Manna, il vicemoderatore Eugenio Bernardini e il vescovo cattolico di Pinerolo Pier Giorgio Debernardi). Alla manifestazione ha partecipato anche una folta delegazione della cittadina tedesca di Rutesheim/Perouse fondata proprio dai valdesi fuggiti dalla val Chisone.

Nell’occasione Laurenti e il borgomastro di Rutesheim/Perouse Dietrich Hofmann hanno anche sottoscritto un gemellaggio fra le due cittadine. «Il monumento – ha detto Debernardi – deve rimanere a monito di quanto successo» e deve ricordare, ha sottolineato Bernardini, «che l’altro che vive al mio fianco non è una minaccia ma qualcuno con cui convivere nella pace». Insomma un monumento, quello che poi è stato inaugurato nei giardini prospicienti il municipio perosino, che vuole ricordare sì avvenimenti di tre secoli fa ma anche invitare alla riflessione sull’oggi in un ottica, che non può però che essere di convivenza, anche perché – ha concluso il pastore Manna: «la diversità può essere difficile ma spesso è bella e arricchente».

tratto dal settimanale: RIFORMA,
anno 144 - n. 41 - 24 ottobre 2008, p. 12;
e dal sito: www.riforma.it
in data: mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 07.30.

BRUNO CORSANI DOTTORE DELLA CHIESA


Il coraggio di essere vivi fino alla morte – 
Bruno Corsani 1924-2008
di Gianni Genre


Il suo incedere particolare, con un passo deciso ma mai affrettato, accompagnato dal tintinnio del suo famoso mazzo di chiavi, lo rendeva riconoscibile in qualsiasi momento della giornata: all’inizio delle innumerevoli lezioni in cui ha insegnato a molte generazioni di studenti a chinarsi sul testo biblico o nei (rari) momenti di tempo libero in cui sbrigava le faccende domestiche o andava alla ricerca di un nuovo libro.
Bruno Corsani aveva il portamento elegante, direi signorile, di certi uomini meridionali (era nato e cresciuto a Napoli!) che si distinguono dalla massa anche senza parlare; anzi la discrezione, il tatto lieve con cui trattava tutto e tutti – dando ad esempio del lei anche agli studenti – non è mai venuta meno.
Vi era in lui, nell’insegnamento come nelle quotidiane conversazioni e nella predicazione, una sorta di "pudore evangelico" che ha caratterizzato tutta la sua testimonianza, ovvero tutta la sua esistenza. Credeva fermamente che la parola evangelica potesse essere comunicata in questo modo piano, tranquillo, perchè si sarebbe – essa stessa – fatta strada nel cuore di chi ascoltava: pur essendo uomo di studio e quindi di parole, credeva nella forza della Parola più che nella capacità di convincimento delle parole.
Una persona mite, nel senso evangelico del termine, che sapeva ascoltare – e per questo sapeva comprendere. Un uomo mansueto che aveva l’umiltà e la speranza necessarie per affidare a Dio la propria sorte e la sorte del mondo e quindi non accettava di rassegnarsi al carattere definitivo del male.

Questo dottore della chiesa, che ha reso uno straordinario servizio ai due rami della nostra chiesa (insegnò anche alla facoltà Evangelica di Buenos Aires all’inizio degli anni ’50) non è stato soltanto un esegeta appassionato del testo biblico. Nella tensione propria di quella modernità che agitava il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, (e che aveva respirato nelle aule della Facoltà di Lettere a Torino e poi alle Facoltà di teologia a Roma, ad Edimburgo e a Basilea) univa il rigore esegetico al lavoro ermeneutico. Senza mai forzare il testo, ma andando da una parola biblica all’altra, manteneva il suo pensiero in movimento senza sottrarsi però ad esprimere una convinzione di fondo o un’opzione che poteva essere del tutto minoritaria; non strumentalizzava mai il testo (e ci metteva continuamente in guardia dal facile pericolo di farlo) ma non esitava ad esprimere una scelta di campo nel faticoso ma appassionante lavoro di scavo e di approfondimento delle parole bibliche.

Bruno Corsani, esegeta ed interprete, era un cristiano ed un riformato gioioso e consapevole: sapeva cioè che il suo rapporto con la persona e la figura di Gesù, cui ha dedicato tutta la sua vita, era mediato dai testi canonici, essi stessi carichi di interpretazioni e tradizioni interpretative che fanno parte dell’eredità di ognuno di noi e nutrono le nostre convinzioni più profonde.

Era profondamente legato, anche attraverso la genealogia della sua famiglia e della famiglia della sua sposa Mirella Comba, alle nostre chiese ed all’evangelismo italiano. Univa, nel suo ministero, lo scrupolo e la serietà accademica alla piena aderenza e disponibilità nei confronti delle persone nella vita della nostre chiese, modulando il suo sapere a seconda dell’interlocutore.
Dopo la laurea in lettere classiche a Torino e lo studio della teologia a Roma, Edimburgo e Basilea, e dopo un primo periodo di insegnamento a Buenos Aires, fu pastore a Torino, con la cura particolare di Corso Oddone e, poi , fino al 1994, successore di Giovanni Miegge e titolare della cattedra di Nuovo Testamento alla nostra Facoltà. Dottore honoris causa a Basilea nel 1994.
Ricchissima la sua bibliografia, con un’attenzione particolare ai vangeli sinottici, alla Lettera ai Galati, alla Seconda ai Corinzi, all’Apocalisse.

Dalla sua sposa, che lo ha accompagnato in tutto il ministero e con particolare premura negli ultimi anni, ha avuto tre figli: Paolo, Ezio e Valerio. Tutti – ed è un privilegio - lo hanno accompagnato e sono stati da lui accompagnati nell’affrontare il congedo.

Il titolo di queste poche righe di memoria e di riconoscenza è preso in prestito da un altro grande pensatore protestante scomparso tre anni fa.
Sono stato rimandato alla breve testimonianza di Paul Ricoeur quando ho incontrato il prof. Corsani durante quest’ultimo periodo sinodale. Era in ospedale, stremato, eppure assolutamente interessato a seguire ciò che si stava discutendo in Sinodo: mi è parso allora di comprendere ciò che Ricoeur dice nei frammenti sulla morte che sono stati raccolti dai suoi ultimi manoscritti sotto il titolo "Vivo fine alla morte". Quella gaiezza di cui parla che, nella dimensione della grazia, oscilla fra la lotta o l’appetito per vivere e la grazia dell’incuranza. La gioia di vivere fino alla morte, pienamente interessati a ciò che accade intorno a noi e mai assillati dai pensieri che si concentrano sulla nostra piccola esistenza personale: questo ci ha testimoniato il nostro fratello maggiore anche negli ultimi, dolorosi, tempi della sua esistenza. Non è forse questo un modo pudico ma concretissimo per declinare il tema della grazia così caro a Corsani, tanto da avergli fatto dedicare il suo commento più importante propria alla Lettera ai Galati, annunzio della libertà che scaturisce dalla Grazia di Dio?

Concludo con due brevi pensieri che contengono la consapevolezza del congedo prima di essere accolti nella memoria di Dio che è perdono e prossimità ritrovata.
Il primo è ancora tratto dai manoscritti di Ricoeur ma sappiamo abitava saldamente il cuore di Bruno Corsani; si tratta di un foglietto scritto dal filosofo ad un’amica poche settimane prima della morte: "Cara Marie, proprio nell’ora del declino si innalza il termine resurrezione. Al di là degli episodi miracolosi. Dal fondo della vita, sorge una potenza, che dice che l’essere è essere contro la morte. Credetelo con me".
Il migliore modo per raccogliere l’eredità spirituale e per dire la nostra gratitudine al Signore per ciò che abbiamo ricevuto da questo dotto ed umile fratello, dal pastore e professore Bruno Corsani, non è forse credere anche noi, insieme a lui, in questa potenza di resurrezione che sorge dal fondo della vita ed è più forte della morte?

Il secondo è un breve testo biblico, poco conosciuto, che Corsani riporta come ultima parola per una sua dispensa ciclostilata su passi scelti del vangelo di Luca. Dopo un attento studio sul tema della preghiera (partendo dall’episodio della vedova e del giudice iniquo, Luca 18:1-8), Corsani chiude la dispensa riportando un passo dell’Ecclesiastico: "Iddio accoglie colui che lo serve, e la preghiera di lui arriva fino alle nubi" (Ecclesiastico 35, 20).
Ma abbiamo forse bisogno di sapere altro?

28 ottobre 2008



tratto dal sito internet: www.chiesavaldese.org
in data: 
mercoledì, 29 ottobre 2008, ore 07.15.




martedì 28 ottobre 2008

Alfabetiere occitano per le scuole

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lunedì 27 ottobre 2008

sabato 25 ottobre 2008

Culto a Biella - Domenica 26 ottobre 2008



Chiesa Evangelica Valdese di Biella

Via Fecia 9/c - Biella

Domenica 26 ottobre 2008
- 24a  DOPO PENTECOSTE

DOMENICA DELLA RIFORMA

predicazione del pastore Maurizio Abbà

Culto Evangelico alle ore 10

nella notte tra Sabato 25 ottobre e Domenica 26 ottobre, 
alle ore 03.00 torna in vigore l'ora solare:
le lancette dell'orologio vanno spostate indietro di un'ora.


Al Re dei Re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, siano onore e potenza eterna
(I Timoteo 6,15.16)

Il Signore disse a Isacco: «Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza» (Genesi 26,4)

Cristo è diventato servitore dei circoncisi a dimostrazione della veracità di Dio per confermare le promesse fatte ai padri (Romani 15,8)

Padrone dell’universo, sappi che i figli d’Israele soffrono troppo: essi meritano la liberazione, ne hanno bisogno. Ma se, per ragione che ignoro, Tu non vuoi, non ancora, allora libera gli altri popoli, le altre nazioni, ma fa’ presto.

               Rabbi Israel, il Magghid di Kozhenitz



Testo Biblico per la predicazione:

Genesi 18,20-33

20 Il SIGNORE disse: «Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave,
21 io scenderò e vedrò se hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così non è, lo saprò».

22 Quegli uomini partirono di là e si avviarono verso Sodoma; ma Abraamo rimase ancora davanti al SIGNORE.
23 Abraamo gli si avvicinò e disse: «Farai dunque perire il giusto insieme con l'empio?
24 Forse ci sono cinquanta giusti nella città; davvero farai perire anche quelli? Non perdonerai a quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono?
25 Non sia mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l'empio, in modo che il giusto sia trattato come l'empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?»
26 Il SIGNORE disse: «Se trovo nella città di Sodoma cinquanta giusti, perdonerò a tutto il luogo per amor di loro».

27 Abraamo riprese e disse: «Ecco, prendo l'ardire di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere.
28 Forse, a quei cinquanta giusti ne mancheranno cinque; distruggerai tutta la città per cinque di meno?» E il SIGNORE: «Se ve ne trovo quarantacinque, non la distruggerò».

29 Abraamo continuò a parlargli e disse: «Forse, se ne troveranno quaranta». E il SIGNORE: «Non lo farò, per amore dei quaranta».

30 Abraamo disse: «Non si adiri il Signore e io parlerò. Forse, se ne troveranno trenta». E il SIGNORE: «Non lo farò, se ne trovo trenta».

31 Abraamo disse: «Ecco, prendo l'ardire di parlare al Signore. Forse, se ne troveranno venti». E il SIGNORE: «Non la distruggerò per amore di venti».

32 Abraamo disse: «Non si adiri il Signore, e io parlerò ancora questa volta soltanto. Forse, se ne troveranno dieci». E il SIGNORE: «Non la distruggerò per amore dei dieci».

33 Quando il SIGNORE ebbe finito di parlare ad Abraamo, se ne andò. E Abraamo ritornò alla sua abitazione.



venerdì 24 ottobre 2008

RELIGIONI IN DIALOGO NEL BIELLESE


la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Biella, la Comunità Ebraica di Biella, Novara e Vercelli, il Centro Mandala Samten Ling di Graglia, la Diocesi di Biella, la Chiesa Evangelica Valdese di Biella e Piedicavallo, la Comunità Islamica di Biella e la Comunità Monastica di Bose in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale invitano a partecipare alla conferenza-dibattito sul tema

“La Carta dei Valori: diritti e doveri”

Auditorium di Città Studi, via G. Pella, 2/b Biella
Mercoledì 19 novembre 2008


Programma

9.00 Inizio dei lavori e saluto del Prefetto

9.10 Introduzione storica a cura del moderatore

9.30 Interventi degli studenti e replica dei relatori

10.30 Pausa

10.40 Interventi degli studenti e replica dei relatori

12.30 Conclusione dei lavori


Relatori

Rabbino Luciano Caro, per la Comunità Ebraica

Fratel Guido Dotti, per la Chiesa Cattolica e la Comunità di Bose

Adama Mbodj, per la Comunità Islamica

Lama Paljin Tulku Rinpoce, per la Comunità Buddhista di tradizione Tibetana

Avvocato Prof. Massimo Tucci, per la Chiesa Evangelica Valdese
 


Modera i lavori

Prof. Andrea Giorgis, professore ordinario di diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino

DIVERSI MA INSIEME: SI' E' POSSIBILE!


Aosta: insieme per la pace

Si è svolta ad Aosta una bella giornata di fraternità e di collaborazione tra le diverse confessioni religiose: cristiani, ma anche Bahài e islamici si sono ritrovati per un’occasione che non nasce dal nulla: il Gruppo interreligioso è attivo ormai da una decina di anni e coinvolge la città anche con delle manifestazioni musicali e di festa di rilievo.

Leo Sandro Di Tommaso

Ci avviamo verso la fine dell’Anno europeo del dialogo interculturale, che si è svolto all’insegna dello slogan «insieme nella diversità». La Valle d’Aosta, nonostante la sue piccole dimensioni e i suoi piccoli numeri, è una regione culturalmente viva e piena di fermenti, di iniziative, di gruppi che operano in vari settori aperti al dialogo a livello religioso, a livello sociale a livello artistico. Come si diceva in un precedente articolo, da dieci anni ormai esiste in questa regione il gruppo interreligioso «Insieme per al pace», formato dalla Comunità Bahài, dalla Chiesa avventista, dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa della Scienza cristiana, dalla Chiesa valdese e dalla Lega islamica autonoma della Valle d’Aosta. I rappresentati delle varie religioni si radunano mensilmente per organizzare gli incontri che si svolgono durante l’anno, con cadenze stabilite e aperti a tutta la popolazione, nei vari luoghi di culto o in luoghi scelti di comune accordo.

Come avviene ormai da sei anni, anche quest’anno l’associazione «Insieme per la pace» ha celebrato il suo evento annuale di incontro con la popolazione domenica 12 ottobre. La «festa» si è svolta al teatro Aurora, a partire dalle 16, alla presenza di un pubblico abbastanza numeroso rispetto alle proporzioni della nostra piccola città, e che poi è cresciuto di numero (allo spettacolo serale si è assestato intorno alle 150 persone).

Due rappresentanti incaricati dal gruppo (Michela Tumminelli, avventista, e chi scrive, valdese) hanno accolto fraternamente il pubblico, formato da credenti di varie religioni, hanno spiegato brevemente gli scopi e l’attività dell’associazione e, nel ricordo affettuoso della signora Carla Jacquemod, attiva per anni nel Sae, animatrice delle attività ecumeniche e interreligiose in Valle d’Aosta, molto conosciuta e stimata in Italia, hanno invitato il figlio di Carla, Riccardo, impegnato in vari organismi di cooperazione, a moderare la tavola rotonda e il dibattito.

Riccardo Jacquemod per prima cosa ha presentato i relatori: il pastore Giuseppe Platone (che ha sostituito Paolo Naso), il teologo avventista Hans Gutierrez, la signora Ranzie Mensah (della comunità Bahài di Aosta) e Luca Osman Colletti (della Lega musulmana della Valle d’Aosta). In seguito il moderatore ha illustrato il tema dell’evento: «Insieme nella diversità? È possibile! », invitando i relatori a un primo giro di interventi.

Il pastore Platone, anche prendendo spunto dal libro da lui curato per la Claudiana (Religioni e libertà: quale rapporto?), nel primo intervento ha messo l’accento sugli aspetti storici e giuridici della libertà religiosa, riferendosi soprattutto alla situazione di stallo riguardante il regime delle Intese. La signora Ranzie Mensah, da anni in Italia (cantante e animatrice culturale), ha parlato della realtà della convivenza e dell’integrazione a partire proprio dalla sua storia, dalla sua esperienza. Luca Osman Colletti ha tradotto in termini molto simpatici e con grande semplicità espositiva l’esigenza della reciproca conoscenza, del dialogo interculturale e interreligioso a partire dal Corano. Hans Gutierrez, incentrando la sua esposizione su una interpretazione originale del Salmo 133, ha prospettato la possibilità dell’integrazione mettendo in guardia dai pericoli che risiedono all’interno delle religioni stesse (constatazione, d’altronde, già presentata da Platone).

Nel secondo giro di interventi i relatori, stimolati dalle domande di Jacquemod, hanno approfondito proposte e punti di vista in un dibattito tra loro, che è difficile riferire in un articolo di cronaca. Anche gli interventi del pubblico sono stati incisivi e puntuali. Nell’impossibilità di relazionarne dettagliatamente, si può sintetizzarne il succo a partire dalla constatazione di Platone che oggi il dialogo interreligioso è al primo posto all’ordine del giorno delle opportunità, ma pure delle urgenze derivanti dai vari problemi portati dall’immigrazione. Questo non vuol dire – come è stato fatto osservare – che tale dialogo sia solo necessario e inevitabile: esso è soprattutto possibile e, come tale, si può concretizzare con iniziative comuni, come avviene non solo in Valle d’Aosta, ma un po’ ovunque in Italia e nel mondo, sebbene i modelli siano diversi.

Dopo la tavola rotonda tutti i presenti hanno partecipato al buffet tipico, preparato dalle varie comunità: mangiando, ci si è conosciuti o riconosciuti, si sono scambiate impressioni, si è fraternizzato. Alle 21 è poi iniziato lo spettacolo animato dal gruppo aostano Mamima Swan, che persegue lo scopo di coinvolgere e instaurare relazioni tra individui di qualsiasi età, formazione e cultura, e facendo conoscere culture musicali «altre», anche distanti da quella più spiccatamente occidentale e colta. I Mamima Swan, guidati da Matteo Cigna, percussionista, musicista e insegnante, puntano anche a moltiplicare le occasioni di scambio attraverso la ricerca, la didattica e l’organizzazione di concerti, tenendo corsi all’interno e all’esterno e progetti di musicoterapia, tutti pensati in forma di laboratorio. Il gruppo «Insieme per la pace», condividendo questa impostazione che racchiude aspetti del proprio percorso, li ha ringraziati dopo un’esibizione che definire «perfetta» sarebbe troppo poco: è stata coinvolgente ed entusiasmante. La danza, il canto, i ritmi, da una parte; le capacità espressive e strumentali non solo ma soprattutto di Doudou, senegalese uomo-orchestra, la grazia e la potenza delle danzatrici, la capacità registica e umana di Cigna: sono tutti elementi che, uniti all’ispirazione che presiede all’attività del gruppo, ha fatto esclamare alla fine a Ranzie Mensah, che li ha ringraziati a nome di «Insieme per la pace», che nei Mamima Swan si concretizza lo spirito del vivere insieme nella diversità.

tratto dal settimanale: RIFORMA,
Anno XVI - numero 41 - 24 ottobre 2008, p. 8;
anche dal sito internet: www.riforma.it
in data venerdì 24 ottobre 2008, ore 11.00.

Il Diritto di vincere la paura


(NEV)
Editoriale
La paura alla mia porta

di Luca Baratto, pastore e curatore del programma di Radiouno “Culto Evangelico"

Mi è capitato di assistere ad una discussione in cui un interlocutore sosteneva che alla parola “omofobia” non dovesse essere attribuito l'atteggiamento violento verso i gay. “Una fobia è una paura e non si può incolpare nessuno di aver paura. Bisogna invece avere pazienza e spiegare”. Un ragionamento dettato da buone intenzioni, ma in definitiva poco convincente perché omette di segnalare lo stretto rapporto che esiste tra paura e violenza. Una società dominata dalla paura è una società destinata inevitabilmente a diventare più violenta. Ce lo dicono i fatti di cronaca. Nel nostro paese, oltre ai reati di cui da sempre, italiani e stranieri, si rendono colpevoli, sono già evidenti le avvisaglie di una nuova violenza: a Roma e a Parma, un cinese alla fermata dell'autobus e uno studente africano imbattutosi in un gruppo di vigili urbani sono stati pestati perché stranieri; e ancora a Roma, due omosessuali sono stati aggrediti perché omosessuali. 
La paura dei tanti genera, legittima e giustifica la violenza dei (finora) pochi. È un dato di fatto, ma, oserei dire, è anche una verità cristiana. Se ci sono infatti delle persone che hanno tutta l'autorità morale, spirituale e intellettuale per denunciare i pericoli che genera la paura quando questa avvolge il comune sentire di una società, questi sono proprio i cristiani. Da sempre chi legge la Bibbia sa che il contrario dell'amore non è l'odio, ma la paura: “Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura ... chi ha paura non è perfetto nell'amore ” (1 Giovanni 4.18). Nel linguaggio cristiano l'amore è quella forza capace di cambiare la realtà e creare un mondo nuovo; la paura è il suo contrario che rende oscuro il futuro e, soprattutto, rende forti le ansie degli esseri umani e flebile la parola di salvezza dell'evangelo.
Nell'Italia di oggi è proprio questa la parola cristiana che dovrebbe udirsi con più forza: un appello a non concedere troppo alla paura, a guardarsi dai suoi pericoli, che sono tanti. La paura infatti impedisce di leggere la realtà per quello che è. L'insicurezza della nostra società dipende anche dalla percezione chiara di un declino sociale ed economico che si evidenzia con l'aumento dei prezzi degli alimentari, dei carburanti, la difficoltà di trovare lavoro, la marginalità crescente. Qual è la causa, con chi prendersela? Con gli speculatori di borsa che in questi giorni stanno bruciando capitali su capitali? E chi li ha mai visti a Tor Bellamonaca o a Ponticelli, dove invece sono visibilissimi gli immigrati, gli stranieri, un'umanità spesso molto simile a quella di tanti italiani delle periferie cittadine che combattono quotidianamente per sbarcare il lunario. La paura crea dei fantasmi e individua il nemico nei 'diversi'; e per non lasciar dubbi si inventano nuovi reati, come quello di clandestinità, proprio per essere sicuri che essi appaiano a tutti colpevoli. Blandire, se non addirittura cavalcare le paure di una società, rispondere non ai problemi reali (che ci dimostrerebbero che l'Italia senza stranieri non sarebbe né più ricca – anzi - né più sicura di oggi), ma dar credito ai fantasmi creati dall'insicurezza collettiva, rende ancora più stringente il rapporto tra paura e violenza. Se può forse essere vero che gli italiani non soffrono di un pregiudizio radicato contro gli stranieri, è invece vero che stiamo costruendo comode autostrade affinché il razzismo che nasce dalla paura si manifesti in tutta la sua pericolosità.
Certo la paura è ineliminabile: prima o poi giunge il giorno in cui essa viene a bussare alla tua porta. La differenza sta nel modo in cui si reagisce al suo arrivo. C'è chi chiude i chiavistelli, serra tutte le uscite, pensa di salvarsi con la repressione, accetta di guardare il mondo esterno solo da angusti rifugi che spesso si trasformano in trappole senza uscita (è un classico dei thriller il chiudersi in casa con l'assassino). L’amore che sconfigge la paura, invece, non può sopportare di rimanere al chiuso, ma vive all’aria aperta, ci mostra la vita alla luce del sole, ci porta ad incontrare e a conoscere.
Se la paura venisse a bussare alla tua porta, tu che faresti? C'è una risposta che forse sta sopra tutte le altre, e che ha pronunciato a conclusione di un suo sermone uno dei cristiani che più di ogni altro ha dedicato la sua esistenza alla predicazione dell'amore che sconfigge la paura, e di una società in cui i diversi si possano integrare gli uni con gli altri, Martin Luther King: “La paura ha bussato alla mia porta; l’amore e la fede hanno risposto; e quando ho aperto, fuori non c’era nessuno.”


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