7. Non commettere adulterio (Esodo 20,14)

Commentare questo comandamento è difficile, perché mentre noi con adulterio intendiamo in genere una questione che tocca principalmente la sfera della morale, nell’Antico Israele la questione è soprattutto giuridica.
La definizione di adulterio la troviamo per esempio in Levitico 20,10: “Se uno commette adulterio con la moglie di un altro, se commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adultera dovranno essere messi a morte”. È sottinteso che chi commette adulterio sia un maschio e l’adulterio sta nel fatto di avere un rapporto con una donna sposata.
Se quello stesso uomo avesse un rapporto con una donna non sposata per la legge di Israele non si tratterebbe di adulterio, anche se lui fosse sposato. L'adulterio sta nel fatto che l’uomo, sposato o meno, ha rapporti con la donna di un altro, sta nel fatto che sottrae la moglie al suo prossimo, al marito della donna che ne veniva considerato proprietario.
Quindi il comandamento preso in sé non vieta all’uomo sposato di avere rapporti sessuali con altre donne non sposate, o schiave, o prostitute; vieta all’uomo di avere rapporti con altre donne sposate. L’adulterio non è un peccato che l’uomo sposato commette contro la propria moglie, ma contro il marito della donna con cui si ha un rapporto.
Tra l’altro, questo comandamento in sé non vieta nemmeno la poligamia, che anticamente era praticata, poi sempre meno fino a che la monogamia ha anche assunto un valore morale.
Dietro a questo comandamento sta quindi una questione innanzitutto giuridica: è necessario essere certi di chi sono gli eventuali figli che nascono da un rapporto sessuale. La questione morale c’è, ma è in secondo piano. Nella Torah ci sono altre prescrizioni che disciplinano la sessualità in quanto tale, mentre qui al centro della questione c’è la certezza della paternità.
Questa questione della certezza della paternità, insieme all’idea che la moglie – almeno nelle fasi più antiche – fosse considerata proprietà del marito (come dimostra il decimo comandamento) è all’origine del comandamento del divieto di adulterio,
che per questa ragione è formulato soltanto al maschile: è il maschio che commette adulterio rendendosi colpevole verso l’altro maschio, cui “ruba” la moglie.
Oggi noi non possiamo ovviamente accettare i presupposti che stanno dietro a questo comandamento, che in quel tempo aveva come primo scopo quello di tutelare la famiglia, e questo per due ragioni:
innanzitutto la famiglia era l’unica istituzione sociale a poter garantire il sostentamento e quindi la vita dei singoli, che molto difficilmente potevano vivere da soli. L'adulterio e eventuali figli nati da questi rapporti poteva far esplodere la famiglia e creare grosse difficoltà materiali, oltre a mettere in crisi la trasmissione ereditaria del pezzo di terra che ogni famiglia aveva in possesso.
Ma c’è anche una questione teologica: la famiglia è il nucleo che si tramanda di generazione in generazione l’eredità del capofamiglia la terra che i figli erediteranno, e che è la terra che Dio ha dato a quella famiglia quando Israele è giunto nella terra promessa dopo la liberazione dall’Egitto.

Come attualizzare oggi questo comandamento? Oggi che l’adulterio è considerata una questione morale e non più giuridica, oggi che la nostra legge afferma, almeno in teoria, la parità tra uomini e donne e la moglie non è subordinata la marito (anche se il nuovo diritto di famiglia è solo dell’anno 1975; prima di allora il “capofamiglia” era comunque sempre l’uomo), oggi che veniamo dopo la rivoluzione sessuale degli anni ‘60 e ‘70 e che la famiglia è mutata così tanto.
Tre piccoli pensieri, che pongo alla vostra riflessione:

1. Intanto possiamo dire che la fedeltà all’interno di una coppia è ben di più che una questione sessuale. La sessualità nei secoli è stata da un lato demonizzata, identificata tout-court con il peccato, considerata origine del peccato (la dottrina del peccato originale di Agostino, secondo cui il peccato si trasmette per via sessuale).
E d’altro lato, demonizzandola, si è dato alla sessualità, forse involontariamente, un’enorme importanza. Questo grande peso negativo dato alla sessualità, ha fatto sì che a molti sembrasse sufficiente non “tradire” sessualmente il partner per essergli/le fedeli.
Ma forse ci sono molti altri modi di tradire il partner, ovvero di sostituirlo/la con qualcuno o qualcosa altro, che può anche essere un hobby o uno sport cui si dedica tutto il tempo libero, oppure il lavoro…

2. Paolo Ricca nella trasmissione radio “Uomini e Profeti”, il cui testo è stato pubblicato poi nel libro “le dieci parole di Dio – le Tavole della libertà e dell’amore” (Morcelliana, 1998), dice che nella nostra società moderna c’è stato un divorzio tra la sessualità e l’amore e che la sessualità viene consumata – come si consuma ogni cosa nella società dei consumi – credendo che “sia possibile vivere la sessualità prescindendo totalmente dal sentimento dell’amore”, cosa che Ricca definisce “errore profondo … che abbrutisce la sessualità e isterilisce l’amore”.
Dopo essere stata demonizzata per secoli, ora la sessualità è esaltata e soprattutto spettacolarizzata, è diventata – anche se ovviamente non è così per tutti – un qualcosa da consumare, appunto. Così facendo viene banalizzata e viene banalizzata la relazione sessuale.
Sesso senza amore rischia di portare a vedere nell’altro un oggetto funzionale al nostro piacere e non una persona, non un prossimo. Sempre Ricca dice che questo divorzio tra sessualità e amore è una delle radici della violenza con cui spesso si vive la sessualità e il rapporto tra i sessi, vedi tutti i casi di femminicidio che accadono mediamente ogni due giorni. 
 
3. infine, vorrei provare a attualizzare questa parola partendo dalla considerazione che nella Bibbia le parole fedeltà/infedeltà vengono usate principalmente per descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo o tra Dio e i credenti, più che per parlare del rapporto moglie-marito.
Tutto l’Antico Testamento è incentrato sul fatto che Dio ha stabilito un patto unilaterale con Israele, patto che Israele viola continuamente con la sua infedeltà, mentre Dio, nella sua grande misericordia, rimane fedele al suo patto e alle sue promesse.
Dio però non si rassegna all’infedeltà di Israele e continua a chiamarlo alla fedeltà; Dio opera senza stancarsi per trasformare il suo popolo da infedele e fedele. E lo stesso fa con noi cristiani.
Non è un caso che i termini prostituzione e fornicazione siano usati nell’Antico Testamento come metafore dell’idolatria: adorare gli dèi pagani è a volte definito fornicare, ovvero tradire la fedeltà all’unico Dio.
Che cosa corrisponde – o dovrebbe corrispondere – da parte nostra alla fedeltà di Dio? Che cosa chiede il Dio fedele al credente che spesso è infedele? Chiede ovviamente fedeltà anche da parte sua, ma chiede un’altra cosa che deriva dalla fedeltà, ma non è la stessa cosa: chiede fiducia.
La stessa cosa che vale per il rapporto con Dio vale nel rapporto tra esseri umani, nella chiesa e nella coppia: c’è bisogno di potersi fidare l’uno dell’altro. L’antico comandamento che vieta l’adulterio aveva tra i suoi scopi principale proprio questo: che si potesse avere fiducia che i figli nati da una donna fossero del marito e non di un altro.
Oggi per noi ci sono tante altre questioni che caratterizzano la vita di coppia, ma proprio nella complicazione che caratterizza la vita di coppia di oggi, rimane essenziale la fiducia dell’uno nell’altro partner della coppia.
Forse non è esagerato dire che quando viene meno la fiducia, viene meno il rapporto stesso.
Questa bisogno di fiducia vale per ogni rapporto umano, per ogni rapporto che voglia essere fraterno, a partire proprio dalla coppia.
Ci aiuti il signore a vivere e a coltivare questa fiducia in tutti nostri rapporti.

Nessun commento: