martedì 27 settembre 2016

Predicazione di domenica 25 settembre su Romani 14,7-9 a cura di Massimiliano Zegna

Romani 14,17-19

perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione.


Vorrei cominciare questa mia predicazione con la lettura di alcuni brani della prefazione che ha fatto Martin Lutero all'Epistola ai Romani veramente molto interessante e importante.

In questa epistola cogliamo il pensiero centrale del Nuovo Testamento, il Vangelo nella sua espressione più pura. Sarebbe bene che un cristiano non imparasse soltanto l’epistola a memoria, parola per parola, ma che la meditasse continuamente come pane quotidiano dell’anima. L’epistola non può mai venire letta e meditata con sufficiente attenzione. Più la si legge, più la riteniamo preziosa e più la si gusta. Perciò anch’io voglio renderle un servizio, per quanto Dio mi concede, e con questa prefazione introdurne la lettura, sì che ognuno la possa intendere bene. Fino ad oggi questa lettera è stata molto oscura con commenti e ogni genere di chiacchiere, mentre essa stessa è una luce capace di illuminare tutta la Sacra Scrittura.
Anzitutto dobbiamo conoscere la lingua usata nell’epistola, dobbiamo sapere che cosa san Paolo intenda con parole come legge, peccato, grazia, fede, giustizia, carne, spirito e simili, altrimenti si legge l’epistola senza trame vantaggio. La parola legge non va intesa qui in senso umano, quasi che nell’epistola venisse insegnato quali opere si debbano o non si debbano fare, come avviene nelle leggi umane, secondo le quali si cerca di adempiere la legge con opere, senza parteciparvi col cuore. Dio giudica secondo i sentimenti del cuore. Perciò la sua legge esige la dedizione del cuore e non si appaga delle opere, e condanna le opere compiute senza dedizione del cuore, come ipocrisia e menzogna.

Anche quando osservi esteriormente la legge con opere per paura di punizione o per desiderio di ricompensa, fai ogni cosa senza vero piacere e senza amore per la legge, ma piuttosto di malavoglia e per costrizione, e preferiresti agire diversamente, se non vi fosse la legge. Ciò significa che tu sei in fondo al cuore nemico della legge. Che cosa importa che insegni agli altri a non rubare, se poi nel cuore sei un ladro, e lo saresti volentieri apertamente, se tu lo potessi? Sebbene poi anche l’opera esterna non si farà attendere a lungo in simili ipocriti. Così dunque ammaestri gli altri, ma tu stesso non sai quello che insegni e neppure hai rettamente inteso la legge, perché essa accresce il peccato, come dice san Paolo al capitolo 5 (v. 20). Esigendo essa ciò che l’uomo non è in grado di compiere, lo rende maggiormente nemico della legge”

Fede – scrive ancora Martin Lutero - è una fiducia viva e audace nella grazia di Dio, tanto certa di questa che morrebbe mille volte piuttosto che dubitarne. E una tale fiducia e conoscenza della grazia divina rende lieti, baldanzosi, e giocondi dinanzi a Dio e a tutte le creature per l’opera dello Spirito Santo nella fede. Perciò l’uomo diviene volonteroso, senza costrizione, e lieto nel fare del bene a ognuno, nel servire ognuno, nel sopportare ogni cosa, nell’amore e nella lode di Dio che ha manifestato in lui tale grazia. È quindi impossibile separare le opere dalla fede, come è impossibile separare dal fuoco calore e splendore. Perciò guardati dai tuoi falsi pensieri e dalle chiacchiere vane, che vogliono essere intelligenti, dare giudizi sulla fede e le opere buone mentre sono sommamente stolti. Chiedi a Dio che operi la fede in te, altrimenti qualunque cosa tu voglia o possa immaginare e fare, rimarrai eternamente senza fede”


Dopo aver letto alcuni commenti riguardanti questo brano dell'epistola di Paolo ai Romani mi sono reso conto della grande attualità di questo scritto che segna il passaggio in contesti religiosi e multiculturali diversi.

Scrive don Sergio Carrarini, parroco di Verona, in un interessante commento ecumenico all'epistola che “per compiere questo passaggio (simile a quello che hanno dovuto fare gli ebrei diventati cristiani) anche noi dobbiamo superare la vecchia mentalità, legata alla legge e alle pratiche religiose, per cogliere l’essenziale della fede (ciò che è irrinunciabile) e metterlo come punto di partenza di una nuova sintesi teologica, di una nuova prassi religiosa più in sintonia con la cultura moderna.
Per dialogare in verità con altre culture e religioni bisogna sfrondare ciò che non è importante, ciò che è incrostazione del passato, e mantenere saldo ciò che è fondamentale. Ci faremo aiutare da Paolo in questa “potatura” radicale della nostra tradizione religiosa, per rinvigorire la pianta della Chiesa e farla rifiorire nell’annuncio del vangelo agli uomini d’oggi”.

Nei versetti 17-19 del capitolo 14 che abbiamo letto vi sono frasi significative che vanno al di là del problema su cosa mangiare o non mangiare.
Per restare sul tema del mangiare oggi vi è più consapevolezza grazie alla medicina e all'educazione alimentare di ciò che fa meglio alla nostra salute e al nostro corpo ed alle differenze fra ciascuno di noi: c'è chi è diabetico, chi intollerante al glutine, chi non tollera il lattosio.
Su questo sarà il nostro medico o le nostre letture consapevoli, che servono a capire quali sono gli alimenti più consoni al nostro corpo. E questo riguarda la tolleranza o l'intolleranza alimentare
Però poi Paolo pone un problema riguardante il rapporto fra diverse concezioni religiose e modi di porsi rispetto al cibo.
Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro a se stesso, però se pensa che una cosa è impura, per lui è impura”
La mia riflessione riguarda questo aspetto innanzitutto: vi sono tradizioni alimentari varie fra popoli diversi per motivi religiosi o culturali. Ad esempio per gli ebrei e gli islamici è considerato impuro il consumo di carne di maiale, per gli induisti è vietato cibarsi di carne bovina.
Quindi per questi popoli se una cosa di questo tipo è impura va bene così. Però la comprensione e la tolleranza significano che per altre sensibilità umane o religiose è invece possibile cibarsi di qualunque tipo di carne ovina, bovina, equina. L'importante è che non vi siano veti incrociati o regole assolute o peggio ancora imposizioni. Sarebbe infatti grave se i cristiani imponessero ai musulmani o agli ebrei di mangiare carne di maiale o vice versa se i musulmani vietassero ai cristiani di mangiare quello che a loro aggrada. Poi è chiaro che quando si ospita a casa propria una persona, si fa in modo di chiedere che cosa preferisca mangiare unitamente alla disponibilità che vi è nella propria cucina.
Simile discorso vale per ogni tipo di integralismo alimentare. Se uno è vegetariano o vegano fa bene a seguire la propria dieta ma sarebbe inopportuno che imponesse a tutti di seguire il suo stesso comportamento alimentare. Viceversa se uno è carnivoro non deve imporre ad un altro le proprie abitudini alimentari. Io uso come metro di misura quello che mi insegnava mia nonna secondo cui la cosa importante è mangiare un po' di tutto quel che piace senza esagerare nelle quantità.
Una cosa importante è invece valorizzare come proprio in questi giorni sta facendo il Salone del Gusto e Terra Madre a Torino quello di scegliere gli alimenti più genuini di tutto il mondo per una conoscenza reciproca di sapori nuovi a beneficio dei produttori e dei consumatori e soprattutto per la salute.
Anche se contemporaneamente bisogna aiutare i bambini che muoiono di fame e di sete e accanto alla nostra giusta ricerca dell'alimentazione migliore dobbiamo aiutare chi è privo di qualunque tipo di alimentazione.
Ben vengano le campagne contro gli sprechi alimentari e gli aiuti verso chi ha poco da mangiare. Positive sono le campagne di sostegno per chi ha perso casa e lavoro a causa del terremoto anche attraverso raccolte fondi a questo scopo.

La questione cibo diventa per l'apostolo Paolo anche l'occasione per questa importante riflessione: “il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione”.

La parola pace è dunque scritta due volte in queste tre brevi frasi e diventa essenziale per la tolleranza reciproca.
Del resto guardate oggi cosa conduce la guerra. Oltre al terrorismo e agli attentati non vi neppure più la consapevolezza di che cosa si vuole ottenere da parte delle grandi o piccole potenze. E' indicativa una delle ultime stragi di civili in Medio Oriente. Si è tentato di compiere una tregua fra i bombardamenti per permettere gli aiuti umanitari. Poi durante la tregua si sono fatte piovere bombe su chi era già colpito dalla guerra. “E' stato un tragico errore” hanno detto ma nessuno si è presa la responsabilità di quanto accaduto. E probabilmente anche i grandi della terra non riescono neppure più a fermare e capire chi sta da una parte e chi dall'altra del conflitto per contrastare il terrorismo e la guerra. Confusione produce confusione. Guerra produce altre guerre. Violenza produce altra violenza.
A questo punto ci chiediamo noi, poveri puntini nell'universo, che cosa possiamo fare per interrompere queste stragi continue che ormai non ci procurano neppure sgomento perché siamo abituati a leggere parecchi numeri di morte che non ci fanno neppure impressione.
Io penso che possiamo fare anche noi qualcosa, come si dice, “nel nostro piccolo, della nostra piccola chiesa”.
Anche il solo fatto di essere convinti della giustezza della nostra vita alla ricerca della pace può essere di stimolo l'uno verso l'altro a credere nel cambiamento.
Poi sarà difficile vedere noi la fine delle guerre ed il trionfo della pace però potremo dire di aver portato il nostro granellino di speranza.
Qualcuno di voi sa che io sto aiutando gli studenti della terza media di Mosso nella loro impresa di salvaguardia dell'Isola di Budelli in Sardegna. Queste ragazze e ragazzi continuano a commuovermi per la loro caparbietà dimostrando che anche un pugno di piccole donne e uomini di una classe di una scuola media in uno sperduto paesino di montagna può avere qualche ruolo nel mondo.
E così la scorsa settimana questi ragazzi sono andati in Sardegna, hanno visitato Budelli, hanno riportato sulla spiaggia rosa una sacchetto di sabbia che qualche turista pentito ha deciso di restituire dopo averla trafugata. Inoltre hanno portato a casa un sacchetto di rifiuti per capire come mai erano stati buttati in quel posto meraviglioso.
Qualcuno dirà che sono solo gesti simbolici e che non cambieranno le cose. Io credo però che questi ragazzi stanno comprendendo come si può contribuire alla edificazione di una società nuova. E tutti noi abbiamo la possibilità di portare un nostro sacchetto di sabbia nel terreno che riusciamo a coltivare con l'aiuto di Dio.



giovedì 1 settembre 2016

Predicazione di Massimliano Zegna di domenica 28 agosto 2016 su Luca 17,11-19 (traduzione della predicazione tenuta in piemontese)

Dall'Evangelo secondo Luca (capitolo 17 versetti 11-19)

Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontani da lui, e alzarono la voce, dicendo: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!” Vedutili, egli disse loro: “Andate a mostrarvi ai sacerdoti”.
E mentre andavano, furono purificati. Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo; ed era un samaritano. Gesù, rispondendo, disse: “I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?” E gli disse: “Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato”.


Sarebbe piaciuto molto al nostro Tavo Burat questo racconto dei dieci lebbrosi che si trova soltanto nell' Evangelo di Luca.
Lo dico con una certa sicurezza perché Tavo in modo evangelico amava tutto quanto era considerato piccolo, minoritario, emarginato, debole.
E poi come Gesù anche Tavo amava viaggiare e conoscere cose e persone nuove. Ci sono due letture che in genere si possono dare agli Evangeli specialmente nei brani dove vi sono parabole in cui l'interpretazione non è sempre chiara e comprensibile per le nostre orecchie che leggiamo questi testi duemila anni dopo.
La prima lettura è quella di carattere letterale ossia quanto viene scritto può essere interpretato parola per parola senza alcuna interpretazione. La seconda lettura che è quella che sosteniamo noi cristiani valdesi protestanti, quella storico critica ossia una interpretazione derivata dal fatto che gli usi e i costumi sono naturalmente modificati rispetto a chi ha scritto i testi duemila anni fa.

Noi riconosciamo però che l'intera Bibbia ha avuto una ispirazione divina e proprio dalla Sacra Scrittura dobbiamo attingere evitando quelle che sono state interpretazioni successive soprattutto da parte della chiesa cattolica ufficiale.
Quanto sto dicendo potrebbe sembrare contradditorio: i protestanti dicono di aver fede nella “Sola Scriptura” (che significa di avere come base di riferimento soltanto i testi biblici) e poi dicono di adottare il metodo storico critico nell'interpretazione dei testi.
Secondo me non vi è contraddizione in quanto la lettura attenta di un testo antico non significa non tenere conto dei mutamenti che vi sono in ogni società, in ogni popolo e in ogni epoca. Significa semplicemente depurarlo da ogni descrizione paesaggistica, temporale o di costume ma cogliere sempre i significati essenziali.
All'epoca di Gesù ad esempio non c'erano né i computer, né gli aerei, né le automobili, né i telescopi però tutto quanto abbiamo oggi ci allontana o ci avvicina a Dio?

Secondo me può essere sempre più difficile avere fede perché si è distratti da tutto quanto succede nel mondo, giorno dopo giorno, e perché ci sono troppi idoli e vitelli d'oro da adorare. E per idoli non intendo solo i famosi personaggi del nostro tempo (cantanti, attori, artisti, calciatori ecc.) ma mi riferisco anche alla ricchezza fine a stessa che fa accumulare oggetti di puro valore materiale senza più tener conto di quanto giorno dopo giorno si può assimilare in termini di nuove conoscenze.

Prima dicevo di quanto è cambiato il mondo grazie ai computer, alle automobili, agli aerei, ai telescopi però se qualcuno si fermasse agli oggetti in sé potrebbe acquistare auto sempre più veloci, computer sempre più innovativi, telescopi sempre più potenti ma se non apprezza quello che recano in sé questi nuovi oggetti ossia la possibilità di visitare con un'auto sempre più nuovi territori, la possibilità attraverso il computer di avere sempre più nuove conoscenze, non riuscirebbe a vivere tutte le opportunità che ci può dare il mondo attuale.
Però anche scienziati che hanno fatto scoperte meravigliose di nuovi pianeti e di nuovo mondi nell'universo si fermano quando si arriva al punto di scoprire chi è Colui che ha dato vita o acceso il motore di tutto questo.
Quando studiavamo il catechismo e ci dicevano che Dio poteva conoscere tutto e tutti rimanevamo meravigliati ma tutto questo era avvolto nel mistero. Al giorno d'oggi possiamo comprendere qualcosa in più e possiamo capire come si possa avere più monitor accesi contemporaneamente con le immagini provenienti dai cinque continenti oppure dialogare attraverso internet e i social network con persone di ogni parte del mondo.
Per me la scienza e la conoscenza ha significato un modo nuovo e straordinario di approcciarmi a Dio.
Ma ritornando al passo evangelico che volevo trattare oggi forse questo è un brano la cui interpretazione letteraria coincide con quella simbolica perché il racconto appare chiaro e lineare ancora oggi nella sua semplicità.
I lebbrosi sono uomini e donne colpiti da una gravissima malattia
nota sin dall’antichità: la lebbra è una malattia infettiva cronica che colpisce la pelle e i nervi del corpo, può procurare gravissime mutilazioni e attaccare anche gli organi interni. Il batterio della lebbra, difficile da debellare, si trasmette per via respiratoria o per contatto. Oggi si può curare ma è stata a lungo un terribile flagello per l’umanità.

Conosciuta sin dall’antichità, questa malattia infettiva è stata considerata nel passato come una forma di punizione divina a causa delle terribili mutilazioni e deformazioni che procura al corpo. Secondo le antiche religioni, infatti, i peccati dell’animo si ripercuotevano sul corpo, causandone così l’abbrutimento. Poiché erano ritenuti perseguitati dalle divinità, i soggetti affetti da lebbra venivano anche emarginati dalla società.
Nel Medioevo dopo l’esplosione di violente epidemie si decise, per limitare la diffusione di questa e di altre malattie contagiose, di isolare le persone malate. Furono allora costruiti i primi lazzaretti; dove venivano reclusi appestati e lebbrosi, mentre tutte le persone che presentavano deturpazioni del volto o del corpo dovevano indossare campanelli o sonagli per permettere agli altri viandanti di accorgersi per tempo della loro presenza e di allontanarsi al loro passaggio.
Fu solo alla fine dell’Ottocento che il medico norvegese Gerhard Hansen riuscì a identificare la causa della lebbra.

La lebbra ha ancora una certa diffusione, soprattutto nell’America Meridionale. L’Organizzazione mondiale della sanità parla di 4.000 morti e di mezzo milione di contagiati nel 2003. Per dire con certezza che il paziente ha la lebbra è importante ricorrere alla biopsia, cioè prelevare una piccola parte della pelle e al microscopio cercare il bacillo di Hansen. Nonostante questo sia stato individuato come causa della malattia sin dalla fine dell’Ottocento, soltanto nel 1945 furono scoperte le prime cure per la lebbra. La guarigione, se avviene, richiede tempi molto lunghi; è importante assumere diversi farmaci e a lungo.

Anche nel racconto evangelico i lebbrosi dovevano far sapere della loro presenza pur fermandosi lontano da lui ma alzando la voce per segnalare la loro presenza dissero: “Gesù. Maestro, abbi pietà di noi”.
Dopo che Gesù disse loro di recarsi dal sacerdote furono tutti purificati ma solo uno tornò indietro per ringraziarlo. E questi era l'unico straniero, il samaritano.
I samaritani erano una mescolanza di israeliti e di diversi popoli venuti in Israele dopo la caduta di Samaria che era la capitale delle dieci tribù. Samaria era caratterizzata dall'idolatria. Essi avevano conservato i loro usi pagani pur pretendendo di servire il Signore. Possedevano la legge di Mosè e avevano costruito un tempio sul Monte Garizim. La Samaria era una provincia nel centro della Palestina tra la Giudea e la Galilea all'epoca di Cristo. E infatti Gesù nel brano letto stava passando sui confini della Samaria e della Galilea nel recarsi a Gerusalemme. Non è la prima volta che Gesù si reca in Samaria. Al capitolo dieci (versetti dal 25 al 37) vi è una delle parabole più note dell'Evangelo di Luca quella del buon samaritano in cui si narra di un uomo che percorrendo la strada che da Gerusalemme va' a Gerico si imbatte in briganti che lo spogliano lo feriscono e lo lasciano a terra mezzo morto. Passa un sacerdote lo vede e passa sul lato opposto, passa un Levita (un servitore del tempio) e anche lui lo vede e passa sul lato opposto.
Poi arriva il Samaritano considerato uno straniero, un eretico e un miscredente, si ferma, ne ha pietà fascia le sue piaghe versando olio e vino. Poi lo porta sulla sua cavalcatura e lo conduce ad una locanda e si prende cura di lui. Poi dà perfino dei denari all'oste e gli dice che se l'uomo avesse avuto bisogno di qualcosa in più al suo ritorno avrebbe pagato la differenza.

Questa vicenda mi ha fatto venire in mente il tragico episodio in cui recentemente una donna viene uccisa a Roma dopo essere stata strangolata e bruciata. E nessuno si è fermato.

E' veramente una brutta situazione quando si ha bisogno di aiuto e nessuno ti ascolta.

Il significato della parabola è chiaro, perché Gesù ha parlato di che cosa vuol vogliono dire le parole della Legge: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua e il tuo prossimo come te stesso”. E a chi gli aveva chiesto chi fosse il prossimo, Gesù gli ha raccontato appunto questa parabola per dirgli che delle tre persone che avevano incontrato il malcapitato, chi aveva interpretato la legge di Dio nel modo giusto non era né il sacerdote né il levita ma quello che era considerato uno straniero e un miscredente.
Nel caso dei dieci lebbrosi non si dice di che località fossero gli altri nove lebbrosi ma l'unico che è tornato per ringraziarlo era proprio quello considerato il miscredente e lo straniero.
Il significato è chiaro in quanto Gesù ama le persone considerate più deboli ed anche più lontane dal luogo in cui si vive normalmente.
Questo non significa amare solo gli estranei o coloro che vivono con altre fedi religiose ma è un insegnamento anche per chi oggi si dice cristiano. Il messaggio secondo me è quello di amare non solo i nostri genitori, i nostri parenti, i nostri amici, coloro che hanno la nostra fede religiosa, quelli che parlano la nostra lingua o i nostri dialetti. Il modo per amare di più quelli che vivono normalmente insieme a te è proprio quello di amare anche quelli che sono più lontani.

Anche Tavo Burat quando faceva la sua predicazione in piemontese metteva sempre in rilievo che non riteneva la nostra lingua migliore delle altre ma invitava tutti ad esprimersi nel proprio modo di parlare per far sì che la comprensione fosse condivisa nel modo più semplice e migliore possibile.
Tavo conosceva molte lingue e in particolare il francese ma non invitava a conoscere il solo piemontese ma ad aggiungere ad esso altre conoscenze linguistiche (magari le più piccole o minoritarie come il gaelico) senza dimenticare le proprie radici.
La sua battaglia era contro ogni tipo di omologazione ma questo non significava perdere di vista l'universalità del messaggio evangelico.
La fratellanza è sempre stata la caratteristica del linguaggio cristiano e quando l'uomo giungerà in mondi ancora sconosciuti bisognerà estendere le proprie conoscenze magari a Marte, Venere, Saturno ammesso che vi siano esseri animati con cui possiamo dialogare o inanimati che possiamo conoscere ed ammirare.
Anche il Padre Nostro, la preghiera che Gesù ci ha insegnato, dice “Padre Nostro che sei nei cieli”, lasciando intendere che possono esserci più sistemi solari e quindi più mondi.
Partiamo però dalla terra, dalla regione in cui viviamo, amiamo le nostre montagne, amiamo i nostri cari e le persone che ci circondano ma non dimentichiamo mai che Gesù è vissuto in Medio Oriente per insegnarci che l'amore non ha confini; ha scelto di vivere in una delle terre più travagliate per farci capire che nell'ultima parte della Bibbia vi è una nuova Gerusalemme, ossia quella che oggi è una terra insanguinata ma domani, come si legge nel penultimo capitolo dell'Apocalisse “Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. Di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più)”.

Care sorelle, cari fratelli facciamo in modo che le porte delle nostre anime non siano mai chiuse per nessuno. Amen