lunedì 6 agosto 2018

Predicazione di Domenica 5 agosto 2018 su Isaia 61,1-12 a cura di Marco Gisola

Isaia 62, 1-12

Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa,
finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante.
Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore pronunzierà;
sarai una splendida corona in mano al Signore, un turbante regale nel palmo del tuo Dio.
Non sarai chiamata più Abbandonata, la tua terra non sarà più detta Desolazione,
ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei, e la tua terra Maritata;
poiché il Signore si compiacerà in te, la tua terra avrà uno sposo.
Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te;
come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio.
Sulle tue mura, Gerusalemme, io ho posto delle sentinelle; non taceranno mai, né giorno né notte.
Voi che destate il ricordo del Signore, non abbiate riposo, non date riposo a lui,
finché egli non abbia ristabilito Gerusalemme, finché non abbia fatto di lei la lode di tutta la terra.
Il Signore l’ha giurato per la sua destra e per il suo braccio potente:
«Io non darò mai più il tuo frumento per cibo ai tuoi nemici; i figli dello straniero non berranno più il tuo vino, frutto delle tue fatiche; ma quelli che avranno raccolto il frumento lo mangeranno e loderanno il Signore; quelli che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del mio santuario».
Passate, passate per le porte! Preparate la via per il popolo!
Aggiustate, aggiustate la strada, toglietene le pietre, alzate una bandiera davanti ai popoli!
Ecco, il Signore proclama fino agli estremi confini della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco la tua salvezza giunge; ecco egli ha con sé il suo salario, la sua retribuzione lo precede”». Quelli saranno chiamati Popolo santo, Redenti del Signore, e tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata.



La Bibbia ci racconta la storia della giustizia e dell’amore di Dio e spesso sono proprio i profeti a raccontarci questa storia nel modo più appassionato. Appassionato e, per noi – almeno per me – complicato; complicato per due ragioni: primo, perché le parole dei profeti si intrecciano strettamente con i fatti storici, con ciò che sta accadendo nel popolo di Israele e al popolo di Israele e che coinvolge anche altre popolazioni vicine.
Secondo, perché il loro linguaggio è spesso poetico, quindi difficile, pieno di immagini che solo gli studiosi del testo ebraico ci sanno sviscerare. Oltre a ciò, ci complica la lettura di questo lungo libro profetico il fatto che probabilmente il libro di Isaia è frutto dell’unione di testi di epoche e autori diversi che qualcuno ha messo insieme.
La prima parte del libro è la più antica, mentre la seconda, quella che ci interessa oggi, è riferita al periodo dell’esilio in babilonia e del ritorno dall'esilio.
Che cosa era successo? Per capire il profeta, dicevamo, bisogna dare un’occhiata ai fatti storici a cui si riferisce. Domenica scorsa avete ascoltato un brano del profeta Geremia, che è il profeta a cui è toccato il difficile compito di annunciare agli Israeliti l’esilio in Babilonia; siamo nel sesto secolo a.C. e l’esilio durerà circa cinquant’anni.
La seconda parte del libro di Isaia – quello che gli studiosi chiamano il secondo Isaia o, chi lo divide in tre parti, il terzo Isaia - è invece quella in cui il profeta annuncia il ritorno dall’esilio.
I babilonesi erano stati sconfitti dai persiani; il re persiano, Ciro, permette agli esiliati di tornare a casa. La parte finale del libro di Isaia è rivolta non più agli esiliati, ma a coloro che erano già tornati. Siamo dunque di nuovo in terra di Israele.
E se l’annuncio del ritorno a casa era stata un gran festa e il viaggio era stato un viaggio carico di speranze, l’arrivo in Palestina aveva provocato grosse delusioni: altre persone abitavano le loro case e coltivavano i loro campi. I babilonesi avevano deportato parte della popolazione ma avevano portato altre persone in Israele che si erano anche mescolati con gli ebrei che erano rimasti.
Insomma, le cose non erano come se le aspettavano, le case erano occupate, le terre erano coltivate da quelli che nei cinquant’anni di esilio avevano abitato la loro terra.
Ecco allora che nascono i dubbi e la rabbia, anche contro Dio: Dio ci ha salvati soltanto a metà, ci ha fatti tornare a casa, ma casa nostra non è più nostra… ci tocca lavorare come servi degli stranieri che occupano le nostre terre….
Il profeta – al cap. 59 – deve rassicurare gli ebrei: «la mano del Signore non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire».
Ed è sempre il profeta a pronunciare quelle parole famose che Gesù riprenderà nella sinagoga di Nazaret:
Lo Spirito del Signore, di DIO, è su di me, perché il SIGNORE mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri. (Isaia 61,1)
Nel capitolo che abbiamo letto oggi riprende l’annuncio di salvezza, in cui emerge tutta la passione di Dio per il suo popolo e non a caso una delle immagini utilizzate è quella del matrimonio: «come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio» (v. 5).
La salvezza è imminente e il profeta è chiamato a annunciarla. Possiamo dividere questo annuncio in tre parti:


1. La promessa
la prima parte la intitolerei: la promessa: «Per amore di Sion, io non tacerò»: il profeta parla, annuncia. E che cosa dice? Che cosa annuncia?
«le nazioni vedranno…. Sarai chiamata con un nome nuovo… sarai una splendida corona… non sarai più chiamata abbandonata… la tua terra avrà uno sposo...» Tutti verbi al futuro.
Il profeta dice e annuncia quello che Dio farà, quello che Dio ha promesso di fare. Non che Dio non abbia fatto ancora nulla: Dio ha già riportato gli esiliati a casa, ma c’è ancora qualcosa da fare e Dio lo farà.
Dio farà ancora cose nuove, lo promette: la novità è espressa dal cambiamento di nome, che non è un mero cambiamento di nome, ma di identità:
«Non sarai chiamata più Abbandonata, la tua terra non sarà più detta Desolazione, ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei, e la tua terra Maritata; (v. 4)
il tema centrale è quello dell’abbandono: gli Israeliti si sentivano abbandonati da un Dio che li aveva riportati in patria dove però non avevano trovato quello che si attendevano. La domanda era naturale: forse che Dio ci ha abbandonati?
Quante volte ci facciamo questa domanda? Quante volte persone che vivono tragedie inenarrabili si fanno o ci fanno questa domanda! Ma Dio ci ha abbandonato?
E questa domanda percorre anche la Bibbia, che non tace questa domanda, non la soffoca, perché è umana e in molte situazioni davvero drammatiche e inspiegabili è più che legittima. La risposta del profeta – o meglio: la risposta di Dio! - però è chiara: No, Dio non ha abbandonato il suo popolo, Dio non ti abbandona.
La sua promessa non viene meno: «non sarai più chiamata abbandonata». Anche se la promessa non è ancora pienamente compiuta, Dio è lì, non abbandona Israele.
Questo vale anche per noi: se anche oggi stai vivendo un dolore o un lutto, stai soffrendo la malattia o la solitudine, oggi non sei abbandonato.
La metafora del matrimonio mi sembra molto efficace: chi di voi è sposato o lo è stato sa che dal momento in cui si è deciso di sposarsi le cose non sono più state le stesse. E non parlo di preparativi, di feste o bomboniere…
Ma tu nel momento in cui hai preso questa decisione non sei più lo stesso, sei già proiettato in quella dimensione che vivi con particolare gioia (e magari anche ansia…)
Lo stesso vale per Israele: le cose vanno ancora male, ma deve sapere che già ora non è abbandonata.
E il compito del profeta è di dirglielo che non è abbandonata, anche se sta tribolando, anche se sta soffrendo, anche se si sente abbandonata, deve sapere che non lo è, non è abbandonata.
Compito del profeta, compito del cristiano è di annunciare a chi si sente abbandonato che non lo è.


2. La preghiera
Il secondo punto è la preghiera. Le sentinelle di cui parlano i vv. 6-7 non hanno il compito di annunciare al popolo la salvezza, ma di rivolgersi a Dio e sollecitarlo affinché venga presto:
«Sulle tue mura, Gerusalemme, io ho posto delle sentinelle; non taceranno mai, né giorno né notte.
Voi che destate il ricordo del SIGNORE, non abbiate riposo, non date riposo a lui, finché egli non abbia ristabilito Gerusalemme, finché non abbia fatto di lei la lode di tutta la terra
».
Non devono dare riposo a Dio finché non abbia ristabilito Gerusalemme! Un modo per noi inconsueto di parlare della preghiera.
Ma anche un modo molto istruttivo: che cosa devono chiedere le sentinelle a Dio nella loro preghiera, nel loro dialogo con lui? Devono chiedergli quello che egli ha promesso. È famosa quella affermazione di Bonhoeffer, che cito a memoria e suona più o meno così: Dio non esaudisce tutte le nostre richieste, ma adempie tutte le sue promesse.
A Dio possiamo chiedere tutto, possiamo affidargli nella preghiera tutte le nostre necessità, confidargli tutte le nostre paure, fargli tutte le nostre domande, possiamo anche condividere con lui la nostra rabbia, persino quella nei suoi confronti.
Ma oltre a ciò che noi desideriamo dirgli o chiedergli, questo brano ci ricorda che cosa non possiamo non chiedergli nel nostro dialogo con lui: di adempiere le sue promesse.
E perché dovremmo chiederglielo se lo ha già promesso? Appunto perché è un dialogo e il dialogo va molto oltre quello di cui c’è bisogno, il dialogo esprime una relazione.
Per questo la Scrittura ci insegna oggi a chiedere a Dio di compiere le sue promesse. Non è un atto di sfiducia, al contrario, è un atto di fiducia nel Dio che può e vuole compiere le sue promesse. E proprio perché Dio può e vuole, noi glielo chiediamo.


3. L‘annuncio
Il terzo punto lo chiamerei l’annuncio: il brano si conclude con l’annuncio vero e proprio, che in fondo ribadisce la promessa:
«Ecco, il Signore proclama fino agli estremi confini della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco la tua salvezza giunge; ecco egli ha con sé il suo salario, la sua retribuzione lo precede”». Quelli saranno chiamati Popolo santo, Redenti del Signore, e tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata.»
Finalmente la salvezza arriva, la metafora dello sposo lascia posto a quella del re trionfante. Bisogna fare strada al re che ha liberato il suo popolo e accoglierlo in gloria.
E di nuovo viene ribadito il cambio di nome e quindi di identità: «Quelli saranno chiamati Popolo santo, Redenti del Signore, e tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata»
«Popolo santo», esprime l’elezione di Dio: Dio ha scelto Israele e non lo ha ripudiato. L’esilio – lo diceva Geremia – era anche conseguenza dell’infedeltà di Israele, ma l’esilio non è stato il ripudio di Israele. Dio è sempre il Dio di Israele e Israele è sempre il suo popolo, anche in esilio.
«Redenti» esprime l’idea del riscatto, che percorre tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento: Dio riscatta il suo popolo, in Cristo Dio riscatta l’umanità; Dio riscatta, ovvero libera, spezza le catene. Dio paga un prezzo per riscattare, e questo prezzo esprime il suo amore per i riscattati.
Gerusalemme sarà chiamata «Ricercata, Città non abbandonata»; una bellissima immagine. Per riscattarti Dio ti viene a cercare. Ricercata è il contrario di abbandonata. Essere abbandonati significa che nessuno ci vuole, essere cercati significa che qualcuno ci vuole. Questo qualcuno è Dio, che è venuto a cercarci, che viene a cercarci per liberarci, per riscattarci.
Questo è anche il nostro nome. Anche tu ti chiami “ricercato”. Non nel senso dei western americani, dove il ricercato deve finire in galera. Qui il ricercato deve finire tra le braccia di Dio, di quel Dio
- che ti promette la liberazione, e te lo viene a dire attraverso la sua Parola;
- che ti insegna a chiederla nella tua preghiera, perché ne abbiamo bisogno ed è giusto chiedere a Dio la liberazione di cui abbiamo bisogno e che egli ci ha promesso;
- che viene a cercarti per darti la sua libertà e mostrarti che non sei abbandonato/a ma ricercato/a, e che questo è anche il tuo nome.
Possa questa consapevolezza di essere riscattati e ricercati da Dio nutrire la nostra fede e la nostra preghiera.

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