giovedì 10 aprile 2008

Dolcino, civiltà montanara e autonomia bioregionale - Terza e ultima parte - di Tavo Burat

Così Dolcino appare, emblematicamente, mitico eroe di una civiltà alpina che "resiste". Un personaggio maestoso e tragico, come i protagonisti dei romanzi del maggior scrittore svizzero di espressione francese, Charles Ferdinand Ramuz (1878-1947), proprio come Dolcino, in presa col destino o con le forze di una natura ostile, eroi simili a quelli della tragedia greca che guardano il volto misterioso del fato, cui non possono resistere; dovranno cedere, saranno sbalzati fuori dalla vita ma, lottando, fedeli alla loro passione, anche se soccombono, conservano una loro grande dignità. Penso soprattutto al protagonista di un suo importante romanzo, Farinet[1] , montanaro reale, fuorilegge valdostano diventato nel Canton Vallese un mito al quale il paese di Saillon, teatro delle sue gesta sino alla morte nel 1880, quando la gendarmeria gli diede una caccia spietata (come fosse un orso od un lupo) gli ha dedicato la piazza principale, un monumento, un'affascinante passerella sul precipizio dove fu trovato cadavere, una sequela di vetrate lungo il sentiero che conduce ad una simbolica e minuscola vigna, luogo di meditazione per tutti coloro che cercano libertà, pace e giustizia. Purtroppo Do1cino non avrà l'entusiastico e corale riscatto tributato a Farinet, e mai i luoghi teatro della sua vicenda epica, Prato, Varallo, Campertogno, Rassa, Trivero ... potranno rivaleggiare con Saillon. Do1cino ha avuto il torto di sfidare non gli interessi metropolitani confederali (Farinet coniava moneta in concorrenza con la zecca di Berna!), ma di ribellarsi in Italia alla Chiesa Cattolica Romana: bollato come eretico, e sanguinario bandito, ha patito per sette secoli calunnie e diffamazioni spietate. Tuttavia, chi, come Ramuz, ha saputo interpretare la civiltà alpina, ha ben colto il valore della sua figura emblematica: lo scrittore friulano Carlo Sgorlon, in un romanzo racconta "la moderna e sempre valida favola delle prevaricazioni dell'uomo sulla natura; favola antica della dabbenaggine e del miraggio del progresso che, alleati contro l'equilibrio della creazione, scatenano il sangue ferito della terra. Perché uccidono il passato, scambiandolo per passatismo, in nome di un avvenire che è furto, sconsacrazione, improvvisata padronanza del fuoco degli déi". In questo libro si staglia la figura di Siro, un montanaro contrario alla strada e alla diga progettata ed in fase di realizzo: il romanzo è ispirato alla tragedia del Vajont anche se i toponimi sono mutati. A chi diceva a Siro; "sei tu fuori dal tempo. Dov'è il pericolo? Nei lavori della strada?" replicava: "ma certo. Cominciano sempre con una strada. Se lasciate che la strada si faccia, poi sarà tardi per ogni cosa". Lui conosceva le loro tecniche, le aveva viste applicate in molte altre valli. Dopo la strada veniva gente che avrebbe messo le mani ingorde su ogni cosa. Avrebbe sventrato i boschi per farne da sci, costruito ogni possibile diavoleria, seggiovie, impianti di risalita, funivie per salire in cima alla montagna senza muovere un solo passo; avrebbe fabbricato alberghi, rovinato i nevai del massiccio, e le valli e le montagne sarebbero state percorse da una ragnatela di fili di acciaio e di piloni di cemento. Avrebbero deviato le acque... "Le acque? Cosa c'entrano le acque?" Non lo so. Dico per dire. So soltanto che rovinano tutto. "Siro, ragiona. La gente della valle aspetta da decenni che la strada sia fatta". Ma lui non voleva ragionare. Era sconvolto dalla sua passione, e continuava a dire che bisognava fare una lega di tutta la gente per bloccare il progetto che ci minacciava, correre in tutti i paesi a soffiare con ogni forza dentro l'antico corno di bue, per gettare l'allarme. Lo guardai negli occhi e ebbi l'impressione che non mi vedesse nemmeno. Mi sembra una sorta di eretico d'altri tempi. Un fra Dolcino uscito dai secoli remoti ed entrato chissà come nel nostro tempo di motori e di macchine. Non si era accorto che quell'epoca era finita, che il frate di Novara e la sua donna dai capelli rossi erano stati bruciati vivi, e la sua gente massacrata e dispersa. Si era perduto un grande sogno, quello delle antiche comunità montanare. Ma adesso i tempi erano cambiati, e sopravviveva soltanto un suo pallido fantasma nel fatto che la gente affamata andava a far legna nell'antico bosco demaniale. Tutto il resto era cambiato. Oggi i grandi feudatari esistevano sotto forma di banche e società finanziarie, le quali potevano anche riuscire in quello che era stato impossibile ai vescovi medievali. L'avrebbero fatto anche qui, e anzi avevano già cominciato a farlo, ma opporsi era una illusione mitica e fuori dal tempo.[2]
Ramuz e Sgorlon ci spiegano così, sia pure molto indirettamente, perché il movimento contro il Treno Alta Velocità -TAV- in Valle Susa abbia emblematicamente "recuperato" fra Dolcino: è la seconda volta, dopo gli anni di fine - principio secolo, quando il movimento operaio Valsesiano e Biellese onorò il "precursore", che un movimento popolare riscopre Dolcino e lo rivendica. In Valle Susa, e in internet circola una significante lettera, firmata "Dolcino e Margherita, da nessun luogo" (utopia!) che è un inno alla libertà della montagna, una strenua difesa di quella "bioregione" che una colossale strada ferrata vorrebbe ancor più sconvolgere[3]. Una valle già percorsa da autostrade, superstrade e ferrovia, sconquassata da una "grande opera" che prevede montagne scavate per quindici anni, con un milione di metri cubi di materiale pericoloso da trasportare da qualche parte; cinquecento camion in transito giorno e notte nella valle per trasportare i detriti scavati; tonnellate di polvere circolante nell'aria: le verifiche secondo le quali non ci sarebbe amianto nei terreni si sono rivelate inattendibili, il movimento "No Tav" ne ha portato alla luce le lacune dal punto di vista scientifico e la Procura di Torino ha aperto un' inchiesta. Si estende la desolazione di panorami cementificati, la distruzione di prati, l'ombra di viadotti, il grigio delle decine di piloni di cemento, antenne e tralicci aumentati in modo esponenziale, inoltre le falde deviate e prosciugate, le acque inquinate. Ma l'opera che costa miliardi e miliardi di curo non solo è dannosa, ma inutile, perché il rapporto tra trasporto merci e Pil cresce fino a quando lo sviluppo economico di un Paese non raggiunge una certa soglia, dopo la quale si stabilizza e decresce: i dati europei Eurostat evidenziano come in Europa il rapporto tra tonnellate per km di merci (indicatore di qualità di trasporto delle merci) e PiI, tra il 1997 e il 2002, è rimasto invariato; per l'Italia è stazionario[4]. II movimento che ha riconosciuto in Dolcino un emblema, antepone la tutela delle bioregione e della salute agli interessi di coloro che Sgorlon chiamava i "nuovi feudatari", cioè poche ma potenti lobby economiche, spesso trasversali negli schieramenti politici.
In realtà, si confonde il "progresso", che è liberazione dal bisogno e dal servaggio, con lo "sviluppo" che non deve essere infinito e che è destinato a schiantarsi a grande velocità contro la barriera del limite ecologico. Si sostiene che la TAV è indispensabile, altrimenti l'Italia non si modernizza, ma senza fondarsi su dati e fatti nazionali. E Luciano Gallino[5] si chiede se non siano proprio gli abitanti della Val Susa a fare, invece, il vero interesse nazionale, e che stiano spronandoci a pensare se è davvero conveniente trasformare l'Italia nella piattaforma logistica d'Europa, e se la perseveranza di realizzare la TAV senza valide ragioni sia conseguenza dell'incapacità di esplorare in modo corretto altre opportunità di cui disponiamo.
Forse questi Dolcino e Margherita strenui difensori della bioregione alpina, e cioè di una regione-comunità in osmosi con il territorio, sono trascendentali, più attinenti ai personaggi mitici, tramandatici dalla tradizione popolare, che a quelli storici. Da Robin Hood a Farinet, la leggenda sembra consegnarci, meglio dei documenti, una realtà più significante, certamente più coinvolgente e affascinante. Andrè Malraux[6] lasciò scritto: “solo il leggendario è vero” Prima di lui, Beaudelaire aveva esclamato: “Sei sicuro che questa leggenda sia proprio vera? Ma che m’importa, se mi ha aiutato a vivere!”. E Alessandro Dumas va ancora oltre: “Si può violare la storia, purché ci faccia un bel figlio!”.
Dolcino e Margherita, furono torturati atrocemente ed arsi il 1° giugno 1307. Malgrado sei secoli di demonizzazione, il movimento operaio li riconobbe precursori della lotta per il riscatto degli oppressi, ed a Dolcino innalzò sul monte Massaro un obelisco alto 11 metri, abbattuto vent' anni dopo, nel 1927 , dal regime fascista. Ancora una volta si credeva di averla "fatta finita" con siffatti simboli scomodi. Il bisettimanale della curia scrisse allora che "quel povero cumulo di pietre aveva cessato di essere, come si augurò e si credette dai promotori, un faro ed un punto di riferimento " Ma non fu cosi: nel 1974, l'anno in cui il pensiero laico trionfò respingendo con un referendum la proposta di abrogare la legge che introduceva il divorzio nell'ordinamento giuridico italiano, sui ruderi di quell'obelisco sorse un cippo. Oggi Dolcino e Margherita fanno sentire le loro voce "altra", come eroi dell'autonomia e della salvaguardia delle bioregione. Per dirla con Giuseppe Giusti, "dopo morti sono più vivi di prima.

[1] Ferdinand Ramuz, Farinet ou la fausse monnaye (1932) riedito a cura degli "amis de Ramuz" e dagli "Amis de Farinet", Rezè (Francia), 1999. Sul personaggio storico Samuel Farinet (1845 - 1880) si veda la prefazione di Pascal Thurre a Farinet, citato; in italiano: Tavo Burat; Il Robin Hood delle alpi vive ancora. La leggenda di Samuel Farinet il fabbro e liutaio, invita alla libertà ed alla fraternità, in "Riforma" a XIII n° 18 (13.5.2005) e Corrado Mornese, Farinet il falsario dal grande cuore, in Banditi e ribelli dimenticati, cit. p. 131 - 134 e 338 - 342. In un altro racconto, La guerre des papers, Ramuz narra la vicenda di una comunità montana insorta contro la burocrazia metropolitana conservatrice e oppressiva.
[2] Carlo Sgorlon, L'ultima valle (Romanzo), ed, Oscar Mondatori, Milano 1989 pp. 54-55 e introduzione di Carlo Toscani pp. 5-13: a pag, 40 rievoca il "sacro macello" compiuta dall'inquisizione in una valle (nella realtà a Teglio in Valtellina) quando "si era diffusa l'Eresia dello Spirito Santo predicata da un artigiano e tutta lo popolazione della vallata gli era andata dietro con passione" (v. pure a p. 49). Altrove la "simpatia ereticale" di Sgorlon riappare quando rievoca l'eresia di Domenico Scandella, detto Menocchio, un mugnaio della Valcellina (Friuli) messo al rogo nel 1599, la cui vicenda è stata compiutamente studiata da Carlo Ginzburg (Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del '500, Einaudi, Torino 1999). C.F Ramuz aveva narrato una psicosi simile all'Ultima valle nel suo romanzo La grande peur dans la montagne (1926). I romanzi di Ramuz sono stati editi anche in italiano dalla Jaka Book, Milano.
[3] Prima lettera di Dolcino e Margherita ai Valsusini in lotta, www.socialpress.it.
[4] Si veda in proposito la lettera dell'eurodeputato Vittorio Agnoletto, Quei ripensamenfi sulla TAV, lettera al "Corriere della sera", 12. X. 2006, p. 53, Sul "No Tav": Alleanza per l’opposizione a tutte le nocività, Treni ad alta nocività: Perchè il treno ad alta velocità è un danno individuale un flagello collettivo, Nautilus, 1993 e 2006; Antonio G. Calafati, Dove sono le ragioni del si? La TAV in Val Susa nella società della conoscenza, Seb 27, Torino, 2006.
[5] "La Stampa", 7.12.2005.
[6] Andrè Malraux (1901 - 1976) grande scrittore e uomo politico francese, archeologo e specialista del sanscrito, collaboratore della resistenza anticolonialista (e quindi antifrancese) in Indocina, poi combattente "rosso" e ferito nella guerra di Spagna, esponente della Resistenza, internato nei campi di concentramento nazisti da cui riuscì ad evadere per riprendere la lotta, è autore di romanzi che escludono gli elementi individualisti consueti alla narrativa tradizionale per poggiare invece sul motivo assoluto della aventure, dell'azione sollecitata da una volontà imperiosa, in cui l'eroe ritrova la coscienza della solidarietà umana: i suoi numerosi romanzi (1921-1949) sono raccolti in volume unico, La voix du silente (1951).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sempre appassionante leggere di Dolcino.. ero una ragazzina quando tenti anni fa andavo con i miei alla festa di Fra Dolcino....

Grazie Tavo!
( come stai?)

Ciao Claudio!

Cuoredifiamma