giovedì 14 aprile 2016

Giornata della legalità - Predicazione di domenica 3 aprile 2016 su Romani 13,1-7 a cura di Marco Gisola

Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio. Perciò chi resiste all'autorità si oppone all'ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna; infatti i magistrati non sono da temere per le
opere buone, ma per le cattive. Tu, non vuoi temere l'autorità? Fa' il bene e avrai la sua approvazione,
perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della punizione, ma anche per motivo di coscienza.
È anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio. Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore.

Oggi è la domenica della legalità, domenica che il nostro sinodo ha istituito su proposta delle chiese valdesi del Sud Italia. In questa domenica tutte le nostre chiese sono invitate a riflettere su questo tema e a commentare questa parola che l'apostolo Paolo scrive al cap. 13 della sua lettera ai cristiani di Roma, in cui li invita a sottomettersi all’autorità.
Come protestanti abbiano qualche difficoltà davanti a questo testo perché la storia del protestantesimo è spesso stata storia di disobbedienze all’autorità da un lato e storia di persecuzioni da parte dell’autorità dall’altro. Come coniugare questa storia con le affermazioni dell’apostolo Paolo che dice che bisogna “stare sottomessi” all’autorità? E per quale ragione Paolo arriva a dire questo, quando l’autorità del suo tempo era l’impero romano, un funzionario del quale – Pilato – aveva fatto crocifiggere Gesù?
Proviamo a superare il primo imbarazzo e vediamo il testo un po’ più da vicino.
1. la prima cosa che possiamo vedere in questo testo è che per Paolo è chiaro che l’autorità civile – chiamiamola così – è al di fuori della chiesa, per certi versi al di sopra della chiesa, nel senso che non è la chiesa a fare le leggi per la società.
Per le prime generazioni cristiane questo era evidente ed era scontato, perché il cristianesimo era una piccola minoranza, la maggior parte delle persone che vivevano nell’impero erano pagane. Per tutti c'era un’autorità civile che era l’imperatore, anch’egli pagano.
Oggi grazie a Dio non c’è più un impero e non c’è più un imperatore, non siamo più sudditi ma cittadini. Ma quello che Paolo registra nel suo tempo vale ancora oggi: per tutti i cittadini - non importa a quale religione appartengano o se non appartengano a nessuna comunità religiosa – c’è un’unica legge, che è quella dello stato, che può piacere o meno, può essere più o meno giusta, ma è la stessa per tutti.
Non è una comunità religiosa che fa le leggi che regolano la convivenza civile, ma è un’autorità superiore alle comunità religiose, ed è un’autorità uguale per tutti. Paolo non avrebbe usato questa parola, ma a pensarci bene questo è un aspetto del principio della laicità dello stato.
Questa situazione in cui si trova Paolo e le prime generazioni cristiane finirà nel quarto secolo quando l’impero diventerà cristiano e tutti i sudditi dell’impero dovranno essere cristiani.
Ci sarà una sola comunità religiosa, legata a doppio filo con lo Stato, cioè l’impero; tra chiesa e impero ci sarà un’alleanza che durerà secoli, un’alleanza piena però di conflitti e lotte (ad es. la famosa lotta per le investiture) per decidere chi sta sopra e chi sta sotto.
Per Paolo è chiaro che le due autorità sono distinte. Questo è un principio che è ritornato preziosissimo in questi ultimi secoli in cui viviamo di nuovo in una società plurale, sia all’interno del cristianesimo (le diverse chiese cristiane), sia per la presenza di persone di altre religioni o atee in mezzo a noi.
Esiste un’autorità che sta sopra le comunità religiose e che fa le leggi per tutti, che dovrebbe fare le leggi per il bene comune, garantendo uguali diritti per tutti, senza guardare le appartenenze religiose.
In Italia la laicità è un po’ monca, perché la chiesa cattolico-romana ha una posizione privilegiata attraverso il concordato che dà certi privilegi solo alla chiesa cattolica come l’insegnamento della religione cattolica fatto da insegnanti scelti dalla chiesa e pagati dallo Stato, ecc.
Però il recente dibattito sulla proposta di legge sulle unioni civili ha mostrato che il dibattito c’è, che le varie opinioni si confrontano (possiamo ovviamente discutere sui toni) e che, nonostante tutto sarà il parlamento a decidere. Il principio della laicità dice che non sono le comunità religiose a decidere per tutti, ma sono gli organi rappresentativi dei cittadini, in questo caso il parlamento.
L’autorità civile è fuori dalla chiesa, non sono le chiese cristiane a decidere per tutti. Questo è presupposto dalle parole di Paolo in Romani 13. La chiesa non ha il compito di governare il mondo, la società, ma quello di annunciare al mondo l’evangelo di Gesù Cristo.
E poiché l’evangelo è l’evangelo di Gesù Cristo, che dall’autorità è stato crocifisso senza opporre resistenza, la chiesa annuncia l'evangelo senza avere potere, senza alcuna autorità se non quella dell’evangelo stesso.

2. Fermiamoci un momento su questa affermazione di Paolo: “Non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio”. Questa affermazione a prima vista è sconcertante, però non va fraintesa: Paolo non vuol dire che l’autorità è divina, e non dice che tutto quello che l’autorità fa e decide è automaticamente voluto da Dio. Dice che il fatto che vi sia un’autorità è voluto da Dio.
Questo non dà all’autorità un potere assoluto, come se appunto l'autorità fosse divina, ma anzi, al contrario: intanto chiarisce che, se l’autorità viene da Dio essa è sotto Dio; e dire questo all’interno dell’impero romano, nel quale si praticava il culto dell’imperatore era già un’affermazione decisamente controcorrente.
Se viene da Dio è sotto Dio e Dio è anche il limite di quell’autorità, che quindi non è assoluta, ma relativa, perché solo Dio è assoluto.
Paolo spiega che cosa vuol dire che l’autorità viene da Dio quando scrive: “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene”. Come possiamo interpretare questa frase?
La parola ministro in greco è diacono, cioè servitore. Ministro dunque non indica un potere ma un servizio. Il politico, secondo questa ottica di Paolo, è un servo non un padrone. E chi serve? Secondo Paolo serve Dio, ma non esercitando un compito religioso, bensì un compito civile.
È “un ministro di Dio per il tuo bene”. Il modo laico di servire Dio da politico è quello di cercare il bene, oggi diremo il bene comune, il bene di tutti, i diritti di tutti.
Se l'autorità si mette al servizio del bene comune, allora adempie il suo compito, la sua vocazione, potremmo dire utilizzando un termine religioso. L’autorità è ministro di Dio anche se non ne è consapevole, anche se non crede in Dio (come era del resto la situazione al tempo di Paolo, con l’autorità che era quella imperiale romana e pagana).
Per il cristiano chi esercita un autorità è un servitore di Dio. E anche se Paolo non lo dice, è ovvio che Dio rimane sopra l’autorità e che quindi, se gli eventi portano a dover scegliere tra Dio e l’autorità, bisogna scegliere Dio.
Questa parole di Paolo non contraddicono quelle di Pietro nel libro degli Atti degli Apostoli: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini.”
Se l’autorità non è “ministro per il bene” come dice Paolo, ma per il male, allora – non lo dice Paolo, ma lo dice Pietro negli Atti e penso che Paolo sarebbe stato d’accordo – è lecito disobbedirle. Se per obbedire all’autorità devo disobbedire a Dio, allora devo scegliere Dio.
E forse l’ultima parola vuol proprio dire questo: Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore. L’onore lo si deve all’autorità se fa il suo dovere di cercare di bene il timore – che è ben più dell’onore – va reso a Dio.
Sappiamo che il timore di Dio, tipica espressione biblica, non c’entra con la paura, ma è la consapevolezza che Dio è santo e io no. Il timore di Dio è quello suscitato dalla santità di Dio di fronte alla mia miseria, dalla grandezza di Dio di fronte alla mia piccolezza, dalla bontà di Dio di fronte al mio peccato.
Che cosa c'entra tutto questo discorso con il tema della legalità? c’entra perché accanto al nostro impegno di singoli e di chiese per la legalità, dobbiamo partire dal presupposto che le autorità civili costituite sono lì per la legalità e per i diritti, per il bene, e il bene di tutti.
In questo senso e se sono serve del bene, bisogna sottomettersi all’autorità, noi diremmo riconoscere che essa ha un compito, che è il bene comune.
Ma ciò vuol anche dire costantemente ricordare alle nostre autorità qual è il loro compito, ovvero quello del bene per tutti, e denunciarle quando pensano solo al bene loro proprio o solo a quello di qualcuno e non di tutti.
Uno studioso della legge dirà che questo è il diritto di ogni cittadino che elegge i suoi governanti, l’apostolo ci ricorda che questo nostro stare sotto ma contemporaneamente anche di fronte all’autorità è non soltanto un diritto, ma anche un nostro compito come credenti.

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